Invito alla lettura dei tardi microgrammi walseriani

di in: Con Robert Walser

Un poeta può essere in qualche modo malato e tuttavia in buona posizione come poeta. Se un uomo sano scrive male, allora è malato in qualità di poeta. Se un uomo malato scrive bene, allora appartiene in qualità di uomo a coloro che sono sani”.1Robert Walser

“[L]a malattia può esser stata la culla di osservazioni straordinarie che individui malati hanno dato alle stampe per altri malati e che perciò non sono state scritte per l’intelletto sano. Sì, spesso è la malattia a lavorare ad un libro. […] I libri di frequente non sono che sintomi di uno spirito malato”.2(Jean Paul)

Grafia e scrittura

Invito alla lettura dei microgrammi non può essere qui da intendere nell’accezione grafica e grafologica, non nel senso di decifrazione dei caratteri di Walser, operazione riuscita sinora solo ai due germanisti ed esegeti, in senso metaforico e proprio, Bernhard Echte e Werner Morlang. Non si può trattare che di un invito alla lettura dei testi stampati ricavati dalla micrografia, testi in tedesco solo in minima parte dei quali reperibili anche in traduzione italiana. 3
Come i due decifratori della scrittura walseriana nel senso di grafia, anche i lettori che si avvicinino alla scrittura letteraria dell’autore dovranno esercitare attività esegetica. La apparente frammentarietà grafica e contenutistica invita alla ‘ricostruzione’, alla interpretazione, allude insistentemente ad una struttura profonda (in senso grafico: coerenza tra le diverse modalità esecutive delle singole lettere; in senso letterario: ricerca di coesione tra concetti spesso contraddittori) e al tempo stesso sembra precluderne l’accesso con l’ammiccante graziosità stilistica – sia grafologica che linguistica – che incanta, immobilizza chi ad essa guardi.
Chi osservi la micrografia walseriana e chi legga i testi stampati non si potrà sottrarre al ruolo attivo a lui richiesto di ermeneuta.
Ma perchè leggere i microgrammi walseriani, provvisori, frammentari, senza un continuum narrativo, e non invece ciò che oggi l’industria letteraria ci propina? Oppure, perché non dedicarsi a quel romanzo di 1400 pagine, come Walser scrive in uno dei testi del quinto volume, che “non lo ha del tutto soddisfatto”, romanzo in cui “solo a pagina 1100 l’autore riesce a dare una qualche idea dell’aspetto dell’eroina”, la quale “si rammarica della propria sorte nella società umana, sebbene abbia a suoi piedi tenute di campagna, castelli ecc.”? Con questo “libro colossale”, tra i due secoli divorato dalle persone erudite Walser si riferisce ad Anna Karenina. 4
Cercherò solo in parte di illustrare il piacere della lettura dei ‘difficili’ microgrammi, che sembrerebbero rendere in misura ancora maggiore Walser ‘scrittore per scrittori ’ e per una cerchia ristretta (ma non troppo, negli ultimi anni) di germanisti 5; vedrò piuttosto di mostrare in appendice, traducendo una breve prosa, il fascino di questi testi.

Robert Walser e Jean Paul

Walser è dunque autore che richiede tempo per la lettura, sia sul piano grafico-grafologico, sia su quello, prima ancora che della interpretazione, della comprensione (‘decifrazione’ in riferimento caratteri). Ma quale è il ‘premio’ che si ricava dalla lettura? Non il gusto della storia conchiusa e paga di sé, non la sensazione di personaggi a tutto tondo, non Bildungsromane dall’intento pedagogico (il protagonista di Jakob von Gunten si augura di diventare “un magnifico zero, rotondo come una palla”6, non storielline dall’elvetico intento moralistico o anti-moralistico, non acquisizione di nuove conoscenze (per es. per l’ambientazione esotica o storica). Walser non ci offre nulla di tutto questo, bensì ci regala la continua messa in discussione del noto, ci induce e ci seduce al dubbio. Egli attiva i meccanismi cerebrali. Nei testi degli ultimi due volumi frequenti epifanie, illuminazioni si alternano a brani, righe o versi palesemente schwach, deboli, in cui il Nostro non riesce a far virtù di Stoffmangel, cioè di mancanza di materiale. C’è da dire che si tratta di testi provvisori, poco più che bozze. Non sappiamo cosa egli avrebbe eliminato; Walser è infatti autore che ama rivisitare opere note – ad es. le fiabe dei Grimm – e riscrivere se stesso (basti pensare alla rielaborazione stilistica di Der Spaziergang per la raccolta Seeland ).
L’esperienza del lettore che si avvicini ai testi stampati dei microgrammi è per molti aspetti analoga a quella di Dürrenmatt nel leggere Jean Paul, peraltro autore amatissimo da Walser:

Jean Paul è uno di quegli autori che non sono mai riuscito ad affrontare, né mai ci riuscirò. Continuamente provo a leggerlo, ora la sua ‘Propedeutica estetica’, ora comincio uno dei suoi romanzi; sono addirittura riuscito a portare a termine ‘La loggia invisibile’ mentre mi sono disperatamente arenato mentre leggevo ‘Espero’, di cui Keller era così entusiasta, ‘Titano’, ‘Anni acerbi’ e ‘La cometa’ […] Vado avanti con la lettura per un po’, sono entusiasta o mi illudo di esserlo (ché è facile ingannarsi), trovo brani significativi, poi la trama si perde in una selva di singolari stranezze e storie secondarie. Ma riesco fino a un certo punto ad orientarmi, cerco di mantenere lo sguardo d’insieme […] tuttavia basta un’interruzione nella lettura e sono perso. Tanto più procedo, tanto più oscuro diventa l’autore […] una lingua contorta ricca di allusioni che non comprendo, inoltre osservazioni su allusioni che non ho capito. La lettura diventa una scienza segreta […] poi di nuovo frasi che mi entusiasmano. 7

Jean Paul, come Walser scrittore per scrittori – si direbbe – risulta a questi stessi di difficile comprensione. Walser è dunque autore solo per pochi adepti a lui spiritualmente affini e simpatizzanti di ghirigori di scrittura, complicazioni linguistiche, capricci stilistici? Stando alla testimonianza di Peter Bichsel, altro connazionale dell’autore di Biel, chi riesca ad affrontare autori come Jean Paul – e Walser – non potrà non farsene vanto:

[…] sono tornato a leggere Jean Paul, ho imparato faticosamente a leggerlo di nuovo. Ora sono nuovamente un lettore di Jean Paul. Ne sono orgoglioso come se avessi imparato una lingua straniera. Certo con poche persone mi potrò intrattenere su questo autore, ma sicuramente di tanto in tanto darò noia ad alcune parlando di lui.8

Nei microgrammi di Walser, a differenza che nei testi di Jean Paul, non si può parlare di ‘digressioni’ dalla storia in quanto quest’ultima, quella storia da Laurence Sterne continuamente frammentata e poi volutamente lasciata a metà, la storia da Jean Paul insidiosamente intramezzata da fogli intercalari e simili e sempre frettolosamente conclusa (se conclusa) dopo 600-700 pagine di narrazione e divagazioni, questa storia nei microgrammi di Walser non esiste più. Le digressioni scientifiche, filosofiche, politiche, morali, pedagogiche, mitologiche di Jean Paul si trasformano nell’Ich-Buch di Walser. L’autore elvetico afferma nel corso delle passeggiate con Carl Seelig: “Ho visto tempo fa certe edizioni ridotte di opere di Jean Paul e di Gotthelf. Sono insopportabili. Il bello di questi scrittori sta proprio nell’andar per le lunghe e per vie traverse, nella sovrabbondanza delle loro misure”9. Tali edizioni sono per Walser intollerabili in quanto viene eliminata la componente soggettiva della scrittura; egli è convinto che in questo abbandonarsi alla propria soggettività risieda la causa del proprio insuccesso, come riferisce a Seelig nel 1943:

Sa perchè ho fatto poca carriera come scrittore? […] possedevo troppo poco istinto sociale […] mi lasciavo andare troppo al mio piacere personale e non me ne difendevo abbastanza. Questo soggettivismo ha irritato i lettori dei ‘Fratelli Tanner’. A loro parere non è lecito allo scrittore smarrirsi nella sua soggettività. Sentono come arroganza che uno prenda troppo sul serio il proprio io. Come sbaglia lo scrittore supponendo che il resto del mondo s’interessi alle sue faccende private! 10

E’ questo l’elemento che noi rinveniamo in ogni pagina e in ogni frase dei microgrammi: la soggettività dell’autore allo stato puro, non mediata da strutture narrative o da personaggi che rappresentino singoli aspetti del suo io. “Quanto a me, scrivo per mio piacere. Sono una pianta rara”11, osserva Walser. Mutatis mutandis rispetto all’epoca jeanpauliana, la soggettività non si esprime più in forma di digressioni sui vari settori dello scibile ma in forma di ‘chiacchiera’ sul mondo culturale e sulla letteratura. Tuttavia, già – di nuovo – tale caratterizzazione della scrittura walseriana come chiacchiera ci riconduce stilisticamente all’autore settecentesco che, osserva Bichsel, “non si può leggere ma solo ascoltare […] Jean Paul fa sì che noi ci veniamo a trovare nella situazione dell’ascoltatore che, visto che è lì, in un certo posto, ascolta alquanto controvoglia il narratore troppo comunicativo . […] Nessun altro autore è così vicino alla narrazione orale […]”12.
Geschwätzigkeit
, ossia loquacità, è la parola che Benjamin usa a caratterizzare il modo espressivo walseriano.13A sottolineare la capacità di ascolto che la chiacchiera di Walser presuppone, Peter Utz ha recentemente coniato il neologismo Ohralität, che si potrebbe rendere in italiano con ‘sonoralità’14: il carattere ‘orale’ della scrittura walseriana è legato alla sua recettività nei confronti dei suoni, della sonorità del linguaggio. Dunque, i suoi testi sono, più che orali, ‘sonorali’.
Ancora, a Jean Paul rimanda implicitamente un’osservazione squisitamente letteraria che testimonia le predilezioni artistiche di Walser, considerazione che sembrerebbe quasi studiata ad hoc per caratterizzare i romanzi dello scrittore settecentesco15:

Detto apertamente, già da settimane desidero studiare un’opera dotta, magari di difficilissima comprensione. Gli editori sembrano, sotto questo aspetto, non avermi ancora capito. E’ palese che essi preferiscono inviarmi libri il cui contenuto è radicato nella vita di ogni giorno, mentre io vorrei leggere libri che sommessamente e in grande stile, a partire da premesse belle e copiose, aspirano a sfociare nella scientificità. 16

Walser e la letteratura

Una buona parte dei testi di narrativa dei microgrammi si pone come personalissima riflessione dell’autore sul mondo culturale e letterario del tempo, mondo al quale, come scrive Echte nella postfazione, egli apparteneva sì come artista (i suoi testi uscivano regolarmente in riviste germanofone), ma dal quale si era pressochè autoescluso come persona. 17 Afferma Mattia Mantovani che tra le ‘leggende’ walseriane più diffuse è da annoverare quella cha vede l’autore di Biel “nei panni del poeta sognatore, che vive nella solitudine della propria mansarda avvolto in immagini e fantasticherie, e che quindi non ha o non avrebbe alcun rapporto col mondo circostante”18. Che tale leggenda sia “completamente falsa”19 è provato dai testi microgrammatici dedicati alla cultura e alla letteratura dell’epoca. Il Nostro infatti non può che sorprendere il lettore per l’erudizione di cui i microgrammi costituiscono testimonianza. Egli si esprime con invidiabile lucidità sui più svariati fenomeni culturali del tempo, su opere classiche, su autori di alto e di bassissimo rango; emergono, oltre che le sue preferenze in merito ai colleghi suoi contemporanei (egli mostra costantemente avversione per taluni autori, in primo luogo per Hermann Hesse, ma anche per Jakob Wassermann), le sue idee sulla letteratura, direi la sua concezione – benintesto asistematica – della letteratura:

Credo che il libro migliore, il più bello sia per me quello che mi fa uscire dal mondo in cui vivo fisicamente per farmi vivere e respirare nello spirito, con l’anima nel mondo che si sprigiona dal volume stesso, libro che principalmente mi interessa in quanto è un mondo a sé; con ciò ho forse accennato in cosa secondo me consiste l’essenza dell’opera letteraria.20

Walser non auspica un’utopia fatta solo di libri a lui congeniali. Tutt’altro, e l’argomentazione è certo sottile:

Si è intrapresa una battaglia niente affatto sensata contro il cattivo libro e il risultato di tale impresa è che il buon libro oggi è sostanzialmente più che mai caduto in disgrazia, che nessuno oggi lo richiede. Apparentemente oggi l’umanità vuole vivere rinunciando inequivocabilmente alla lettura del buon libro. Con l’intento di togliere al pubblico il piacere del libro scadente non si è riusciti a inculcargli il desiderio del libro buono […] Ma non potrebbe essere stato proprio il libro cattivo, malvisto da coloro che sostengono quello buono, ad aver protetto con la sua percettibilità la sorella più bella? Il buon libro, mostrandosi vicino a quello cattivo, si poteva vantaggiosamente distinguere da questo. Quindi proprio il libro cattivo, con la sua presenza, potrebbe involontariamente aver favorito quello buono […] si farebbe bene a reinserire il cattivo libro nei circuiti dai quali è stato inoculatamente cacciato, affinchè accompagni il buon libro o si affianchi ad esso. 21

Walser, lettore onnivoro, divoratore tra l’altro di libelli di Trivialliteratur, auspica la coesistenza di libri di vari livelli qualitativi affinché poi il lettore autonomamente, lessinghianamente, pervenga ad un proprio giudizio. Questa la posizione del ‘teorico’ Walser; molto chiara anche la sua posizione come lettore all’interno del contesto culturale e letterario del tempo:

Sono convinto che i lettori odierni ricorrano a libri composti molto tempo fa in quanto la generazione attuale di coloro che sono attivi letterariamente ha poco tempo per scrivere bene. Molti ritengono che per il gusto della nostra epoca ci sia bisogno assolutamente di qualche frustata, ma a mio avviso quel che conta è la modalità con cui si attua questo risveglio delle coscienze.22

Le tematiche toccate nei tardi microgrammi sono per lo più già note al lettore che conosca l’autore di Biel; questi argomenti vengono ora ripresi forse con tono diverso, in modo ironico, arguto, umoristico, distaccatamente comico o inaspettatamente serio, ma sempre con l’apparente non-progettualità – Benjamin parla di “inselvatichimento del linguaggio del tutto involontario (almeno in apparenza) e tuttavia attraente e affascinante”23 – che contraddistingue la scrittura dell’artista svizzero. Un ruolo privilegiato assumono qui, come si annunciava sin dai primi anni della produzione bernese, sunti e rifacimenti di opere letterarie e non, descrizioni di spettacoli teatrali nonché osservazioni saggistiche sulla vita culturale dell’epoca. Dal punto di vista della tipologia testuale, molto raramente si possono caratterizzare in maniera univoca le singole composizioni (in termini di testo descrittivo, commentativo, narrativo); una prosa può cominciare, ad es., con una osservazione gnomica al presente, illustrata utilizzando un’opera letteraria di cui vengono riferiti episodi marginali e commentati aspetti apparentemente secondari; a partire da questi ultimi vengono individuate analogie ad es. con un’opera di arte figurativa, laddove quanto lì descritto può essere paragonato a quanto visto nel corso di una passeggiata. Quindi il testo si interrompe con un’osservazione contingente o metalinguistica.
Alcune prose si concludono con un epilogo poetico – in senso tecnico -, conferma questa della vocazione sinestetica di Walser.24
Più e più volte l’autore nella sua opera si sofferma sulla commistione di generi che egli spesso realizza e che è il fondamento della teoria romantica: “Per me ogni saggio è un po’ un romanzo, ogni poesia è un po’ un monologo teatrale”25; “Oh, scrivo qui un saggio in prosa che ha il carattere di una lettera e che di nuovo somiglierà ad una poesia ”26.
Improntata alla mescolanza dei generi è secondo Walser la più nota opera teorica di Lessing, ossia la Hamburgische Dramaturgie , così caratterizzata nei microgrammi:“Se non si prende a male che io faccia un’osservazione forse malevola, chiamo la Drammaturgia di Amburgo una poesia che mi sembra essere sia obiettiva che poetica”27.
I testi tardi del Nostro non mancano di autoreferenzialità; tale tendenza si registra non solo ad es. laddove l’autore paragona esplicitamente un viale ad una poesia di Robert Walser28, ma anche e soprattutto nei brani in cui egli, in maniera inosservata, inserisce nel flusso narrativo osservazioni utili per la comprensione delle opere giovanili. E’ quanto si rileva, per citare solo un caso, in Diese Frau wusste nichts über mich; qui Walser rende nota la propria singolare interpretazione della fiaba grimmiana Aschenputtel fornendo al lettore indicazioni essenziali – a posteriori – per la comprensione del proprio dramolet Aschenbrödel, composto nel 1900-1901. Il Nostro, ignorando lo happy ending grimmiano, guarda “nel mezzo, nel cuore [della] storia, e nel bel mezzo della narrazione la ragazza della fiaba si rifiuta di sottomettersi agli eventi fiabeschi. Cenerentola vuole essere così come è”29. La figura walseriana può scegliere tra “lusso e splendore” e la “modestia” della propria povertà e non nutre alcun dubbio: volendo vivere in armonia con la propria interiorità e disdegnando le leggi della società improntata a successo e ad “arrivismo”30, Cenerentola trova una vera possibilità di esistenza solo nella condizione del servire (Dienen). Walser contrappone al rassicurante lieto fine grimmiano, che appare creato artificiosamente ed imposto dall’esterno alle figure, la volitività della protagonista che rende artefice del proprio destino, sottraendola così alle convenzioni della fiaba e restituendo in tal modo al personaggio una propria vita.

La patria e l’industria culturale

Tra i temi prediletti di Walser è da annoverare la patria31, in merito alla quale egli si esprime non più in modo volutamente ingenuo come ne I temi di Fritz Kocher, in cui il tono infantile è giustificato dalla finzione alla base dell’opera, impostata come una raccolta di temi di scuola. Qui il protagonista scrive “con le dita temanti” di essere “un fervente repubblicano” e di nutrire “ il desiderio di servire con entusiasmo la […] patria”32. Nei tardi microgrammi la dizione è al tempo stesso più concreta e più allusiva: “Chi ama la Svizzera immagina subito montuosità e lunghe note di corni alpini che risuonano lente su alte superfici innevate”33. Nel prosieguo dell’argomentazione egli si serve della figura del paradosso, indicativa della sua capacità di andare oltre i meri fatti, non accontentandosi di soluzioni banali e risposte facili:

Lo svizzero indossa per così dire una maschera nazionale imposta forse da talune necessità. Laddove egli sembra essere allegro, è più serio di quanto si pensi e laddove lo si vede comportarsi in modo ingenuo, è più consapevole di quanto si possa ritenere. 34

La Gebirgigkeit, nella cultura svizzera quintessenza di eroica elveticità, è oggetto di riflessione in diverse prose e poesie; l’immagine canonica delle Alpi viene messa in discussione da Walser in modo eminentemente letterario, ossia, come Peter Utz ha mostrato in uno dei capitoli più significativi della sua monografia, “attraverso l’erosione del linguaggio”35. Si riportano tre esempi dai numerosi a disposizione:

Man sieht im Garten einen Zwerg
weit hinten einen hohen Berg
und noch andere Berge

und andere Zwerge.36
Im Gebirge stehen die Tannen
kaffeekannenhaft da.

In der Luft badet man wie in Badewannen,
[…]37 Die Bergescheinen gewoben wie von einem Zwerge.38

L’uso ironico-giocoso della rima ed i paragoni inusitati che accostano oggetti banali dell’esperienza quotidiana ad elementi paesaggistici tipici delle montagne elvetiche provocano un effetto di straniamento volto a realizzare il rimpicciolimento delle Alpi e la messa in ridicolo dei miti ad esse connessi (si pensa inevitabilmente a Guglielmo Tell)39.
Non erosione, ma esplicita deformazione linguistica è invece quella che Walser attua quando riferisce episodi autobiografici che vedono al centro noti personaggi del mondo culturale e giornalistico dell’epoca. E’ quanto si rileva nelle ultimissime pagine del quinto volume. In particolare la composizione Diese Geschichte hier ist eine eher drollige als schöne si configura come spassosa e corrosiva rappresentazione dei rapporti professionali tra coloro che costituivano i ‘pilastri’ dell’industria culturale del tempo, laddove i nomi di tali autorità vengono umoristicamente deformati sì da suggerire le connotazioni che stanno a cuore a Walser: l’idea della aggressività in Krokodilowski (che sta per Korrodi, redattore del prestigioso quotidiano elvetico Neue Zürcher Zeitung), quella dell’innocuità in Wasserglas (ossia lo stesso Walser), della statica passività in Ofenrohr (cioè l’editore Füssli), o ancora l’implicito suggerimento di allettante marginalità in Picknick (il redattore della Prager Presse Otto Pick).40Questi i protagonisti di una storia di corridoio – qui evocata con distaccata comicità – di cui Walser finì per diventare vittima: nel 1925 egli pubblica presso la Prager Presse una prosa in precedenza rifiutata da Korrodi. Orgoglioso di questo riconoscimento di Pick, egli comunica al suscettibile redattore della Neue Zürcher Zeitung di aver collocato altrove con successo la sua creazione. A questo punto Korrodi si intromette nelle trattative tra lo scrittore e Füssli e fa sì che l’editore nel 1926 respinga una raccolta di prose di cui Walser aveva inviato il manoscritto. L’autore di Biel allora spedisce a Füssli una lettera volta a screditare Korrodi, il quale esige – invano – le scuse di Walser. Il contrasto tra i due si acuisce nel 1928, quando il redattore non reagisce adeguatamente alla caratterizzazione – fornita da Hans Wyssenberg – di Walser come ‘Schnörkel’, cioè qualcosa come ‘infiorettatore’, parola che il Nostro inizialmente esita a riferire (“Non la pronuncio, in quanto mi sembra una parola piuttosto infelice”)41, e sulla quale poi finisce per soffermarsi:

Non mi sarei aspettato di essere appellato dal redattore capo della Neue Zürcher Zeitung come infiorettatore, che assoluta scortesia! E’ forse questo il tono tipico della città sulla Limmat? [di Zurigo, n. d. r.] Nella Bahnofstraße si è incominciato ad essere insolenti?42

Walser etichetta poi con lo stesso appellativo Korrodi, il quale era venuto meno alla promessa di adoperarsi presso la Schiller-Stiftung per far attribuire all’autore di Biel un riconoscimento in denaro: “Tale vano promettere non è anch’esso uno svolazzo?”43
L’insistenza con cui Walser torna su questo episodio mostra quanto egli si senta ferito dalla sopra citata caratterizzazione, che misconosce l’essenza più profonda della sua creatività e del suo stile.

Walser barocco: aspetti della lirica

Un discorso a sé meriterebbero le poesie contenute nell’ultimo volume dei microgrammi. La lirica di Walser è tuttora decisamente in ombra nella ricezione critica rispetto alla narrativa e probabilmente anche rispetto al teatro. Jochen Greven, curatore dell’opera completa di Walser, già nel 1971 così mette in guardia il lettore: “L’imbarazzo che le tarde poesie di Walser provocheranno non si può ancora prevedere”44. Renata Buzzo Màrgari, proponendo nel 1992 alcune poesie dell’artista svizzero in traduzione italiana, si sofferma sull’”uso linguistico ‘maldestro’, basato sui più sconcertanti accostamenti di rime e di concetti”45. Nella sua acuta analisi della poesia Weiße Männer (1924) la studiosa afferma che la produzione lirica tarda pullula di “’sconvenienze’ linguistiche che possono apparire come segno di dilettantismo” e che sono invece spesso da intendere come “ostentazione dell’impaccio dilettantesco” volta ad “inscenare […] il proprio insuccesso in poesia”46.
Ciò che probabilmente in queste tarde poesie microgrammatiche più colpisce il lettore è, come scrive Morlang, “la diffusa tendenza di Walser […] a trascurare il piano semantico della lingua a favore di quello sonoro e formale”47. Il significante pare condurre vita propria, quasi ad esso non interessi coabitare all’interno del segno con il significato ad esso tradizionalmente abbinato. La componente connotativa finisce per ingoiare la denotazione. I suoni si emancipano dalla referenzialità, ponendo in essere potenzialità inesplorate, accattivanti e talvolta foriere di sorprendente intertestualità:

Sehr interessant ist übrigens auch Nora
in ihrer Bankdirektorsfrauenflora.48

Junge Frau, du mußt was lesen,
lieg nicht in der Sonne so,
Was da einstmals ist gewesen,
ist im Grunde nur ein Floh.

[…]

Ozon ist manchmal auch im Lesen,
Sage nicht, ich wäre roh.
Richte lieber an Theresen
einen Brief von Deinem Floh.49

O wunderherrlicher Gedichtbeginn!
Was kommt mir fernerhin noch in den Sinn? 50

Sie besaß eine rosarote Schleppe,
aber ihr Leben glich an Ausgetrockenheit
der schmachtenden Steppe. 51

Esempi di tale procedimento si rilevano in ogni pagina della sezione dedicata alla lirica. Se è vero, come osserva Leonardo Tofi, che Walser è accomunato a Balzac e a Roderick Hudson, lo scultore protagonista dell’omonimo romanzo di Henry James, dalla “capacità dell’artista di trovare incentivi in ogni luogo e in ogni momento”52, per l’autore elvetico ciò che egli stesso va scrivendo, la struttura fonica della lingua costituisce nella poesia – e non solo – lo spunto d’elezione per procedere nella creazione, per allineare parola a parola, accumulare verso su verso, dare vita – manieristicamente – a componimenti nei quali il massimo dell’astrazione intellettualistica viene prodotto con il massimo di percettibilità testuale. La poesia tarda appare particolarmente meritevole di essere scandagliata certo non solo per questa notevolissima peculiarità, ossia per la tendenza allo scollamento tra significante e significato, qualità che rimane comunque l’aspetto caratterizzante dell’ultima fase lirica walseriana. 53Di grande interesse saranno per lo studioso quei componimenti che rimandano ad atteggiamenti mentali e Gepflogenheiten inequivocabilmente tipici del Barocco. Esemplari in tal senso le due poesie Ich könnte mich veranlaßt sehen (Potrei sentirmi indotto, 1927) e Das Leben auf dem Lande hat das Schöne (Nella vita in campagna c’è di bello, 1928). Comune ad entrambe l’anticipazione – nella prima poesia anzi l’invocazione – dell’esperienza della morte, evocata con immagini di visionaria palpabilità che producono un effetto di serena pacatezza, di meditata e consapevole accettazione dell’ordo naturalis cui l’essere umano è sottoposto:

Ich könnte mich veranlaßt sehen,
an meinem Leichenhemd zu nähen.
Mein Fräulein, dieses zu verstehen,
müßten Sie sich ein bißchen verdrehen.
Sie sahen noch nie die Winde flehen
und hörten noch nie die Liebe stickstillstehen,
wir lieben es nicht, wenn die Winde wehen,
wenn aber der Schnitter beginnt zu mähen,
o, wenn ihn alle ein bißchen besser sähen.
Nach einem schönen Sarge will ich spähen,
der soll mich bis in den Sternenhimmel blähen.
O, wie rollen
jetzt meine wundervollen
dichterischen Augen ob dem Zeug, dem tollen,
das aus der Feder mir hat quillen sollen. 54

Potrei sentirmi indotto
a cucire il mio sudario.
Lei, Signorina, questo per capire,
si dovrebbe certo un po’ sforzare.
Non ha ancora mai visto i venti implorare
né ha ancora mai sentito l’amore venir meno, cessare,
non ci piace sentire i venti soffiare,
ma quando il mietitore comincia a falciare,
oh, se tutti lo potessero meglio vedere.
Voglio cercare una bella bara
che fino al cielo stellato mi faccia salire.
Oh, come scorrono ora
i miei occhi poetici, pieni di stupore,
sul materiale, su queste belle righe,
che dalla penna mi sono scaturite.

****

Das Leben auf dem Lande hat das Schöne
daß man sich kann mit sich selbst beschäft’gen.
Wie herrlich ist zum Beispiel der Gedanke
nur schon ganz einfach einmal an den Tod,
der keine Rolle in den städt’schen Köpfen
spielt, weil in Städten Lebenslustigkeit
von morgens früh bis abends nur noch Trumpf ist,
und unter Menschen eine ernste Miene sich
nicht schickt. Dort aber auf dem Lande kann man
gestorben sein nach Noten und Belieben,
das stört die Vöglein im Gesange nicht
und auch die Bäume nicht im grünen Prangen.
Ich ging dorthin und fand im Geh’n es reizend,
mich in die Dunkelheit hineinzudenken.
Ganz wie von selber kam mir die Idee,
es sei im Grunde ganz verständlich,
daß man nicht immerwährend leben könne.
Ewig ein Mensch zu sein, das gibt es nicht.
Nicht älter werden woll’n ist nicht Natur.
Gewissermaßen mit Vergnügen legte
ich mich in’s Grab. O, auf dem Lande, im Freien
darf man das schon, weil einem niemand
das bißchen Denken vom Gesichte abliest,
und Bäche, Wege, Weiden kein Interesse
haben, daß man in einem fort das Leben liebe,
von dem es sich doch erst noch fragt,
ob es sich viel aus solcher Liebe mache,
ob’s schön und stark und sinnreich sei dadurch.
Sich tot zu denken, o wie froh macht das,
wenn nur die andern weiterleben müßten,
und mich behelligte kein Wünschen mehr.55

Nella vita in campagna c’è di bello
che ci si può occupare di se stessi.
Come è splendido ad esempio il pensiero,
così, ogni tanto, della morte,
che non ha alcun posto nelle menti di coloro che vivono in città,
perché nelle città la gioia di vivere trionfa
dal mattino presto fino alla sera tardi,
e non si addice tra la gente
essere seri. Ma in campagna
si può essere morti a proprio piacere e piacimento,
questo non disturba gli uccellini nel cantare
e neanche gli alberi nel loro verde fulgore.
Andavo in questi luoghi e trovavo affascinante, camminando,
immaginarmi nelle oscurità.
Mi venne così spontaneamente l’idea
che sia in fondo ben comprensibile
che non si possa vivere per sempre.
Esser eternamente un uomo, no, non è possibile.
Non voler invecchiare non è cosa
che la natura consenta.
In certo modo con piacere
mi collocherei nella tomba. O, in campagna, all’aperto,
questo si può fare, certo,
poiché qui nessuno dall’espressione del volto indovina
quel che si pensa,
e ruscelli, strade e pascoli
non hanno alcun interesse che
si continui ad amare la vita,
in merito alla quale ci si chiede
se questo amore sia poi determinante,
se tutto diventi grazie ad esso
bello, forte e pregno di significato.
Pensarsi morto, o come rende felici,
se soltanto gli altri dovessero continuare a vivere
e non mi importunasse più alcun desiderio.

Se dal punto di vista metrico i versi del Nostro si discostano radicalmente dal canonico alessandrino del Seicento – nel primo componimento compaiono infatti versi liberi rimati, nel secondo versi ad andamento prevalentemente giambico non rimati -, la Weltanschauung che da essi trapela nonché i mezzi stilistici con cui questa viene espressa traggono linfa vitale dalla poesia barocca.
La prima poesia esordisce con l’idea della morte auto-indotta dall’io poetico (“Ich könnte mich veranlaßt sehen, / an meinem Leichenhemd zu nähen”) e che si ripresenta poi come personificazione dal “sapore medievaleggiante”56 (“Wenn aber der Schnitter beginnt zu mähen”) attivando l’immaginazione del soggetto scrivente in direzione metafisica: “Nach einem schönen Sarge will ich spähen, / der soll mich bis in den Sternenhimmel blähen”. “Sarg” può essere qui considerato il punto di incontro di due ossimori impliciti, uno lessicale (“schöner Sarg”) e l’altro più specificatamente teologico-concettuale: a questo termine si associa infatti normalmente l’idea della terra, del ‘basso’, mentre in Walser “schöner Sarg” è inteso come mezzo per l’ascesa al cielo, per salire verso l’’alto’. Il gioco barocco con antitesi, ossimori e ribaltamenti raggiunge l’acme nei quattro versi finali:

O, wie rollen
jetzt meine wundervollen
dichterischen Augen ob dem Zeug, dem tollen,
das aus der Feder mir hat quillen sollen.

All’attività metaforica – cucire il sudario – con cui la poesia si apre si sostituisce nell’epilogo il lavoro concreto del poetare (“[das] Zeug […], das aus der Feder mir hat quillen sollen”) che dà vita alla creazione artistica, la quale ora prende il posto dell’accessorio funebre dei versi iniziali. Tuttavia, l’immagine del tessuto evocato dal sudario non è scomparsa dall’orizzonte semantico-poetico del componimento; infatti uno dei significati del sostantivo ‘Zeug’ è quello di materiale nel senso di ‘Gewebe’, ‘Kleidung’ (cioè stoffa, vestito), significato che richiama il ‘Leichenhemd’ iniziale. Dunque, scrivere come attività autodistruttiva? Tutt’altro, come suggerito dall’etimologia di ‘Zeug’, che deriva da ‘zeugen’, cioè ‘generare’. Se il risultato della scrittura è ‘tolles Zeug’, in senso letterario così come – per la sensibilità di Walser – grafico, gli occhi di chi scrive e di chi legge non potranno fare a meno di soffermarsi sul prodotto artistico. Dunque l’attività letteraria, che si nutre del pensiero della morte e di questa consente la preparazione e la continua procastinazione, si pone per il soggetto come possibilità di vita eterna. Agli spazi cosmici e metafisici allude peraltro il verbo ‘rollen’ che, designando un movimento rotatorio, evoca la parabola del cielo stellato (‘Sternenhimmel’) dei versi precedenti. Ma, conformemente alla logica del paradosso sottesa al componimento, ‘rollen’ non è qui riferito allo sguardo rivolto verso l’alto dell’immenso, bensì verso il basso del foglio microgrammatico. Attraverso l’attività artigianale della scrittura – laddove questa risulti esteticamente appagante sia dal punto di vista grafico che letterario – l’io poetico scopre, quasi con sua sorpresa, di potersi costruire una ‘bara’ che lo faccia salire fino in cielo, ossia di potersi creare un proprio spazio, una propria nicchia su questo pianeta e di lasciare una traccia nell’esistenza delle generazioni a venire. Metatestualmente, la ‘tela’ tessuta richiama l’immagine dei fogli arabescati dei microgrammi, che si pongono come il peculiare ‘sudario’ che Walser ha vitalmente creato e in cui si è avvolto nell’ultima fase della sua produttività, in tal modo sopravvivendo alla tragedia del suo destino e al tempo stesso inscenando nella progressiva fragilità dell’atto grafico il proprio Verstummen.57 Non c’è dubbio che l’avvolgersi in questa tela sia, agli occhi di Walser, poetico: “Ci sono due categorie di individui che parlano e che scrivono: coloro che si concedono così come sono, e coloro che nel parlare e nello scrivere si coprono con un indumento. I primi sono umani, i secondi sono poetici”58.
La poesia Das Leben auf dem Lande hat das Schöne si apre anch’essa, certo in maniera meno impressionante, con la prospettiva della morte: “Das Leben auf dem Lande hat das Schöne / daß man sich kann mit sich selbst beschäft’gen. / Wie herrlich ist zum Beispiel der Gedanke / nur schon ganz einfach einmal an den Tod“. L’intero componimento gioca sul contrasto tra i moti interiori e il mondo esterno. Al paradosso ‘herrlich’/’Tod’ segue la contrapposizione ‘Lebenslustigkeit’/’ernste Miene’, ad indicare la sfasatura tra l’atmosfera della città e lo stato d’animo di chi scrive. La malinconica tendenza introspettiva dell’io poetico si può invece ben sviluppare in campagna, dove i più cupi pensieri non trovano alcuna resistenza esterna. Il ‘gestorben sein’ è certo in contrasto con ‘die Vöglein im Gesange’ e ‘die Bäume im Grünen Prangen’, ma proprio tale natura naturans paga della propria attività, apparendo allegramente ignara delle fantasticherie dell’essere umano, si presenta come lo sfondo ideale per l’anonimo e inosservato scomparire nel nulla del soggetto che in questo contesto si collocherebbe ‘mit Vergnügen […] in’s Grab’. Ad un’amara riflessione in merito all’essenza e al valore dell’amore nella vita terrena fa seguito la pointe barocca data dal paradosso “[s]ich tot zu denken / wie froh macht das”, paradosso evidenziato dalla assonanza tra ‘tot’ e ‘froh’, che suggerisce riposte analogie tra due termini diversissimi semanticamente. 59 La vera vita è nella morte e dopo la morte, questo l’epilogo barocco – nelle forme e nel contenuto – della poesia: l’unico pensiero che può rallegrare la nostra fragile esistenza terrena è quello dell’altra vita. La visionaria rappresentazione del proprio collocarsi nella tomba deriva da un peculiare sdoppiamento tra intelletto e corpo, il quale “si è reso autonomo ed è protagonista di uno spettacolo che propone allo spirito isolato”60; l’involucro terreno dell’anima sembra non appartenere più all’io poetico ed è semplicemente da questo osservato e descritto nella sua alterità. La ben contestualizzata messa in scena del proprio trapasso – in ambiente bucolico, tra i fiori e gli alberi – rientra nell’etica della graduale praeparatio mortis che è uno dei temi centrali della poesia barocca. Che il ‘pensarsi morto’ sia da considerarsi nucleo e apice emotivo del componimento è indicato peraltro dalla particella esclamativa ‘o’, cui non segue il canonico punto esclamativo (“Sich tot zu denken, o wie froh macht das”). Lo stesso procedimento si rileva nei versi precedenti (“O, auf dem Lande,”) nonché nella poesia sopra commentata Ich könnte mich veranlaßt sehen.61
“Lo stile delle lirica secentesca è assolutamente antitetico. Il suo movimento interno è dato dall’emozione che passa da un estremo all’altro. Tutto riceve forza ed efficacia dal proprio contrario”62, osserva Fritz Strich a proposito del Barocco. Walser: “Per quanto mi riguarda, vorrei che sia l’amore che l’odio fossero giudicati con cautela. Un sentimento trae il proprio nutrimento dall’altro”63. L’”incessante gioco di tesi e antitesi”64 così spiccato nell’opera tarda si profila molto chiaramente sin dalle prime creazioni, trova anzi proprio nella giovanile commedia in versi Schneewittchen la sua espressione più pregnante e sconcertante, cristallizzandosi nella figura del paradosso che costituirà la base concettuale, strutturale e stilistica di gran parte della produzione walseriana65:

Regina:
[…] L’odio vuole amare.
L’amore deve odiarsi se
non sa con ogni slancio amare. 66

Regina:
Non c’era dunque odio tra
i tuoi nani? Ignoravan essi
allora forse anche l’amore.
Ché l’odio alimenta amore,
come tu sai, e amore si
compiace di amar con più
intensità, e tu lo sai,
il freddo e amaro odio67

Biancaneve:
E’ l’odio che fa percepir
l’amor […]
Ed anelando all’amorecomprendo la sua essenza:
Se dall’odio l’anima è
toccata agogna essa all’amor. […] 68

Walser è decisamente sulla linea della Weltanschauung barocca. Il poeta secentesco Paul Fleming scrive:

E’ possibile che anche l’odio si possa amare?
Sì, amore, altrimenti non c’era nulla con cui tu potessi dimostrare
com’è forte il tuo fuoco, nulla se non col freddo ferro
del mondo temprato nel male. Tu, superna luce del sole,
mandi l’ardore dei tuoi raggi dentro il nostro ferro,
fai della nostra notte giorno. 69

Gli opposti coesistono senza alcuna possibilità di conciliazione se non nei termini di un illusorio, consapevole e transitorio Schein. Paradigmatico in tal senso il già citato dramolet Schneewittchen, che termina in una “gioia discorde”, in una “dolce festa”70 di fragilissima consistenza che non suggella la fine dell’opera, bensì rappresenta solo la parvenza dello happy ending, potenzialmente minato dagli scoppi d’ira della regina e dalla non-rimozione del passato da parte di Biancaneve. Questi moti interiori per ben due volte nel corso dell’opera riportano la fiaba, in modo circolare, al punto iniziale e nell’epilogo minacciano di iterare lo stesso movimento: “La fine bacia la sua fine, / pur se l’inizio ancor non è / alla fine giunto”71. La “figura stilistica del cerchio, del moto rotatorio” rilevabile strutturalmente in Schneewittchen è da intendere in chiave esistenziale, come sottilmente osserva Urs Herzog, come “forma protettiva indicante il tracciare orbite difensive, il rifugiarsi in sé, l’ermetico assicurarsi da pericoli esterni”72. Anche dalla prospettiva filosofica, come sottolinea Stefania Montecchio nel suo lucido contributo, la figura la quale meglio esprime la logica walseriana è quella “del cerchio, in cui ogni opposto scaturisce dall’altro senza soluzione di continuità”73. Cercare di armonizzare i contrasti vorrebbe dire snaturare quell’ordine universale in cui, per citare ancora il Nostro, “tutto ricorda il proprio contrario”74. Alla dinamica dell’eterno ritorno è improntato anche il tempo walseriano, che non è vettorialmente inteso, ma che si identifica in un “tempo circolare”, un “tempo senza tempo”75, privo di finalità che non sia il suo continuo autoprodursi. Come esemplificato nel fondamentale racconto lungo Der Spaziergang, “il tempo […] è tempo dell’attesa e l’attesa è attesa del tempo”76.
Sarebbe quanto mai parziale considerare le poesie dei microgrammi, così come le prose e i brani teatrali del Bleistiftgebiet, componimenti autonomi e come tali passibili di interpretazioni che non tengano conto del contesto in cui siano collocati. I microgrammi in toto sono piuttosto il risultato di un Gedankenstrom (“Lascia che il tuo pensiero sia un flusso […] Non andare a caccia di pensieri, poiché sono questi a venire incessantemente da te”)77che si riversa in una molteplicità di componimenti contenuti in uno stesso foglio o in fogli cronologicamente contigui. 78 Così, per citare solo due esempi, la poesia Es wird dir allmählich dämmern potrà essere adeguatamente compresa solo laddove la si consideri in relazione con il Prosastück – qui tradotto in appendice – Eben sprang aus einem Verlagshaus ein Buch heraus; è Bernhard Echte a fornire in appendice la preziosa indicazione della collocazione contigua dei due testi sullo stesso foglio, dato questo essenziale ai fini dell’interpretazione. In particolare la terza strofa “E’ stupido ritenere il pubblico / sciocco […]”79 dovrà essere interrelata alle acute riflessioni relative all’auspicato carattere ‘minuettesco’ della letteratura di oggi, osservazioni che si trovano appunto nella prosa qui proposta in versione italiana. Analogamente, la poesia Weil ich als Lustibus bekannt bin contentente ironiche deformazioni di nomi di letterati – Muschkatnüßler per Walter Muschg, Hoffmannsthäly per Hoffmannsthal – solo se vista intertestualmente con la sopra commentata prosa Diese Geschichte hier ist eine eher drollige als schöne e inoltre con la poesia Der beleidigte Korridor 80 potrà fornire l’esatta misura della componente ludico-umoristica della scrittura walseriana nonché della sorprendente lungimiranza critica e consapevolezza storico-letteraria dell’autore di Biel, creatore ante litteram di un labirintico web di rimandi ed autocitazioni in cui sfida il lettore a navigare.

Scrittura sovversiva

Talvolta acute, ironiche, sarcastiche, talvolta estranianti, di difficile comprensione, sconcertanti se non contraddittorie, talvolta di rara levità, delicatezza ed umanità; così sono le osservazioni che ‘der Schnörkel’, ossia l’’infiorettatore’ Walser, tratteggia lievemente su fogli sbiaditi di carta riciclata, ad es. negli spazi vuoti delle lettere di redattori di riviste che respingono i testi dello svizzero in nome, appunto, di una letteratura che ‘ha fretta’. A tale concezione dell’arte il Nostro affianca materialmente, insinuando la propria micrografia tra il testo dattiloscritto delle missive o tra i caratteri cubitali dell’intestazione, la propria letteratura, di cui un saggio viene proposto in appendice in traduzione italiana.
Il carattere artigianale del gesto grafico walseriano trova il proprio corrispettivo nell’osservazione metalinguistica, talvolta metagrafica. Il curatore Bernhard Echte ci informa che laddove si legge “Per il momento faccio una pausa. Sposto in un certo senso qualcosa”81, Walser effettivamente tempera la matita per poi procedere in modo più ‘affilato’, nell’accezione concreta e metaforica. La pausa imposta dalle circostanze – necessità di appuntare il lapis – diventa pausa nella produzione del significato, o meglio è essa stessa spunto per la scrittura. Tutto questo evidenzia il carattere contingente della creatività walseriana, l’influenzabilità del gesto grafico, la sua dipendenza da fattori esterni. Egli si adegua al dato traendo da esso spunto; non scrive infatti su fogli bianchi, bensì si insinua tra le righe stampate di carta riciclata. Sembrerebbe una sorta di autoannullamento. Walser parrebbe mostrare duttilità nel ricavare spazi da quanto rimane inutilizzato sulla carta stampata. Il procedimento ricorda molto da vicino il comportamento riservato, disciplinato e sottomesso di Walser nella clinica di Herisau. Sarebbe tuttavia fuorviante intendere il suo silenzio come sintomo di non-rivolta, non-ribellione. Non si tratta del silenzio che suggella l’accettazione del dato, bensì di un silenzio sovversivo, come sovversiva è la minimalistica letteratura walseriana. Non è difficile illustrare questo atteggiamento a partire da un foglio microgrammatico, ad es. dal numero 9A, ossia la cartolina inviata a Walser nel 1932 dal sopra menzionato redattore della Neue Zürcher Zeitung Korrodi. 82 L’autore di Biel, come sempre, con la sua lillipuziana grafia riempie i vuoti, questa volta anzi ignorando completamente quanto pre-stampato e quanto scritto da Korrodi sulla cartolina e ricoprendo con i tratti della sua matita l’intera superficie, dando così vita a sei componimenti. Le righe di Walser si incrociano perpendicolarmente con quelle di Korrodi e con l’intestazione. Egli riempie i ‘vuoti’ in modo tale da attirare su di sé l’attenzione e annullare gli spazi ‘pieni’, cioè quanto preesistente. In tal modo egli funge da catalizzatore. Oggi ciò che ci incuriosisce e ci interessa non sono i tratti eleganti, acuti e mondani di Korrodi, bensì quelli enigmatici e tremolanti di Walser: volendo leggere il foglio microgrammatico lo collochiamo sì da avere sotto ai nostri occhi orizzontali le righe di Walser, non quelle di Korrodi, che risulteranno dunque essere verticali rispetto alla micrografia. Walser sovverte, letteralmente, l’ordine preesistente. Questo ribaltamento illustra e realizza al tempo stesso la logica del paradosso così congeniale all’autore di Biel.

Microgrammi come Gesamtkunstwerk

Da quanto illustrato emerge che i microgrammi di Walser costituiscono una sorta di Gesamtkunstwerk, un’opera d’arte totale: dal testo stampato, inevitabilmente, vengono esclusi diversi aspetti della creatività dell’autore. Di queste componenti che esulano dalla stampa bisogna tener conto per comprendere pienamente il senso dell’operazione walseriana di stesura micrografica. Infatti, oltre al testo come sequenza concettuale e struttura formale (linguistico-stilistica) derivabile dalla pagina a stampa sarà da considerare il rapporto dialettico di questa sequenza con quanto originariamente stampato nei fogli che lo scrittore utilizzava e che talora hanno ispirato, magari per contrarium, talune sue considerazioni. I microgrammi di Walser vanno inoltre ammirati in originale, ossia nei 526 fogli redatti a matita, non solo per la loro componente visiva che ci induce a considerarli capolavoro di arte figurativa, ma anche per quella tattile; questi elementi connotativi si combinano inscindibilmente con il significato propriamente denotativo del testo. Infine, quest’ultimo andrebbe, più che letto, vorgelesen, cioè letto ad alta voce, ad evidenziare l’oralità, o sonoralità, dell’arte walseriana. Da tale rete di interdipendenze dialettiche si potrà ricavare il senso dei microgrammi in toto, vera opera sinestetica che coinvolge vista, tatto, udito, olfatto.
Nella nostra epoca di riproducibilità tecnica del prodotto letterario, come osserva Benjamin, l’aura che avvolge i microgrammi in originale andrà persa laddove essi vengano proposti in stampa. Sarei tentata di dire che i microgrammi in originale sono Dichtung, termine tedesco che ha un’aura quasi di sacralità, comunque di rispetto, in stampa sono, più semplicemente, Literatur.
Conformemente alla logica del paradosso così cara a Walser, i suoi microgrammi, miracolosamente scampati alla scomparsa prima, e poi alla dimenticanza grazie alla pazientissima e inverosimile opera di decifrazione di Echte e Morlang, si rivelano poi esser stati recuperati solo per essere ora esposti, in stampa, alla parzialità della lettura, questo nonostante la cura dell’apparato critico e delle tabelle fornite in appendice ai volumi. Walser si è cerebralmente ed affettuosamente preso gioco del lettore, creando un’opera unica, più che nel suo genere, nella sua commistione di più generi artistici.

*

È appena uscito da una casa editrice un libro83
(ottobre-novembre 1928)

È appena uscito da una casa editrice un libro che sembra avere il difetto di non essere un minuetto. Con minuetto intendo dire qualcosa che ha il tono di una conversazione, che non dice nulla di indiscreto, qualcosa che non ha troppo un carattere narrativo, che è grazioso e sa bene cha la propria grazia non può essere casuale. Perché proprio gli autori più abili, più eruditi pensano che si addica loro mostrarsi in pubblico spettinati? Scambiano la confusione per profondità e l’essere arruffati per liberazione? Dicono di non fare gli indiani e accarezzano l’idea di riportare successi con libriccini da indiani. Non facciamo assolutamente gli indiani, dichiarano, e neanche si spazzolano il vestito prima di cominciare a scrivere. Oggi il minuetto è antiquato? In apparenza si, ma in realtà non è affatto così, in quanto la leggiadria provoca tuttora sempre un effetto gradevole. Guarda come emerge repentinamente oggi un autore di libri, e poi dopo breve tempo si arena, come incantato dalla propria mancanza di profumo. A cosa gli serve brontolare: ‘Io sono la verità’. Una piccola dose di allusività è più vera di una grandissima quantità di imitazioni epocali, che si attengono strettamente al proprio tempo, riproduzioni che ogni volta non sono che indiscrezioni. Quando leggo qualcosa che abbia un ché di minuettesco per me è come se il tempo sia stato sempre tempo, lo spazio sempre spazio, l’essere umano sempre essere umano, l’erudizione sempre erudizione, il bello sempre il bello. Soavi illusioni, come siete care, come siete tutte pettinate, lavate, profumate come di violetta; grazie alla vostra capacità di essere modeste, di accontentarvi, avete un qualche valore eterno. Coloro che non vogliono assolutamente di tanto in tanto fare gli indiani spiegano che il minuetto non c’è più. Tuttavia io ed altre persone non riusciamo proprio a comprendere l’esattezza di tale affermazione. Di cose importanti e non importanti ce ne sono sempre state. Il minuetto non è importante, ma proprio per questo ha per così dire delle possibilità. Il minuetto ammette con un sorriso divertito di essere propenso, nel proprio abito buono, a fare un po’ l’indiano di tanto in tanto, cioè a fare ‘come se’, ad es. come se si rivelasse qualcosa di indiscreto. Da circa quarant’anni quegli scrittori che vogliono esser presi sul serio ci assicurano di non essere conversatori, e in questo in certo qual modo possono aver ragione. Sicuramente la letteratura seria non conversa, ma forse la sua totalità finisce per essere null’altro che uno spifferamento generale. Il minuetto sorride e volteggia con discrezione e forse questo atteggiamento non è poi così intenzionale. Se qualcuno dice ‘Io sono discreto’, l’asserzione è pretenziosa, dunque di per sé indiscreta. Quanto di antiminuettesco non è già stato scritto con l’andare del tempo e propinato alla gente, ma la grazia, la meticolosità si arrischia tuttora a far mostra di sé. Si ha il coraggio di osare qualcosa e ci si diverte. Quasi ci si meraviglia che qualcosa, che in effetti non ha più il diritto di esistere, possa eppure essere ancora qui. Forse lo si accetta, in quanto esso non suppone che si faccia questo?

  1. R. Walser, Das Gesamtwerk in 12 Bänden, a cura di J. Greven, Zürich-Frankfurt a. Main, Suhrkamp 1978, vol. 3, p. 383 („Ein Dichter kann irgendwie krank, aber als Dichter doch gutsituiert sein. Dichtet ein gesunder Mensch schlecht, so ist er eben als Dichter krank. Dichtet ein kranker Mensch gut, so gehört er als Menschen zu den Gesunden“). D’ora in poi si citerà da questa edizione delle opere di Robert Walser indicandola nel testo con la sigla GW seguita da numero romano per il volume ed arabo per la pagina. Allo stesso modo si procederà con i sei volumi dei microgrammi, segnalati con l’abbreviazione BG (R. Walser, Aus dem Bleistiftgebiet, voll. 1-4 curati e decifrati da W. Morlang e B. Echte, Frankfurt a. Main, Suhrkamp 1985-1990; voll. 5-6 curati da B. Echte e decifrati in collaborazione con W. Morlang, Frankfurt a. Main, Suhrkamp 2000). Se non diversamente indicato, le traduzioni dei testi e della critica sono mie. Laddove vengano citati singoli versi di poesie, la traduzione, non potendo render conto dell’assetto morfofonologico del componimento nella sua totalità, è naturalmente da intendersi come mero strumento per la comprensione del commento.  
  2. Jean Paul, Grönländische Prozesse, in Sämtliche Werke, a cura di N. Miller, München, Hanser 1974, Abteilung II, Jugendwerke und vermischte Schriften, vol. 1, pp. 383-384 („[D]as Krankenbet mag die Wiege von manchen vortreflichen Betrachtungen gewesen sein, die Kranke für andere Kranke in den Druk gegeben, und die darum auch nicht für den gesunden Verstand geschrieben sind. Ja die Krankheit arbeitet oft selbst an dem Buche […] Bücher sindoft nichts als Symptomen eines kranken Geistes“).  
  3. Alcuni testi narrativi tratti dai microgrammi sono reperibili in italiano in R. Walser, Una specie di uomini molto istruiti. Testi sulla Svizzere, tr. dal tedesco di Mattia Mantovani , Locarno, Dadò 2005.  
  4. BG V 351 352 („es [hat] [ihn] nicht total befriedigen können“; „indem [ … ] sein Verfasser erst auf Seite 1100 eine ungefähre Vorstellung übermittelte, wie eigentlich die Heldin aussehe“; „ihr Geschick in der menschlichen Gesellschaft beklag[t], wobei ihr Landsitze, Schlösser usw. gleichsam zu Füßen liegen“; „kolossale[s] Buch“; „verschlungen“).  
  5. Per un quadro delle tematiche e delle problematiche che emergono dai microgrammi walseriani si veda il pionieristico e meritevole lavoro di K. G. von Schwerin Minima Aesthetica. Die Kunst des Verschwindens. Robert Walsers mikrographische Entwürfe ‚Aus dem Bleistiftgebiet’, Frankfurt a. Main-Berlin, Lang 2001.  
  6. GW VI 8 („eine reizende, kugelrunde Null“); tr. it. di E. Castellani, Jakob von Gunten. Un diario, Milano, Adelphi1970, p. 12.  
  7. F. Dürrenmatt, “Über Jean Paul”, in Jean Paul. Text und Kritik. Sonderband, a cura di H. L. Arnold,3. Auflage, München, Edition Text und Kritik 1983, pp. 5-9, qui a p. 5.  
  8. P. Bichsel, “Es wird uns allen sanft tun”, Nachwort a Jean Paul,Maria Wuz, Frankfurt a. Main, Insel 1984, pp. 65-102, qui a p. 89.  
  9. C. Seelig, Wanderungen mit Robert Walser, Frankfurt a. Main, Suhrkamp 1977, p. 136; tr. it. di E. Castellani, Passeggiate con Robert Walser, Milano, Adelphi 1981, p. 147.  
  10. C. Seelig, Wanderungen, cit., p. 44; tr. it. Passeggiate, cit., p. 49.  
  11. BG V 366 („Ich selbst schreibe zu meinem Vergnügen. Ich bin eine Luxuspflanze“).  
  12. P. Bichsel, „Es wird uns allen sanft tun“, cit., p. 89.  
  13. Cfr. W. Benjamin, Robert Walser, in K. Kerr (cur.), Über Robert Walser I, Frankfurt a. Main, Suhrkamp 1978, pp. 126-129; tr. it. di A. Marietti, Robert Walser in W. Benjamin, Avanguardia e rivoluzione, Torino, Einaudi 1973, pp. 89-92.  
  14. P. Utz, Tanz auf den Rändern. Robert Walsers ‚Jetztzeitstil’, Frankfurt a. Main, Suhrkamp 1998, si veda il cap. 8, pp. 243-294.  
  15. Su Robert Walser e Jean Paul si veda E. Bernardi, Robert Walser und Jean Paul, in P. Chiarini-H. D. Zimmermann (cur.), Immer dicht vor dem Sturze…’. Zum Werk Robert Walsers, Frankfurt a. Main, Athenäum 1987, pp. 187-198 e A. Gößling, Abendstern und Zauberstab. Studien und Interpretationen zu Robert Walsers ‚Der Gehülfe und ‚Jakob von Gunten’, Würzburg, Königshausen & Neumann 1992. Gößling è volto a dimostrare un influsso diretto del romanzo jeanpauliano Hesperus su Der Gehülfe di Walser: [ … ] non si può ragionevolmente dubitare del fatto che tra le prime letture di Giuseppe [il protagonista di Der Gehülfe, n. d. r.], quei ‘grandi romanzi che possono tenere impegnati per mesi interi’, sia da annoverare lo Espero di Jean Paul (p. 14). Il contemporaneo di Walser Eduard Korrodi afferma che l’autore di Biel è considerato da accreditati letterati dell’epoca come un talento jeanpauliano (BG VI 664, nota).  
  16. BG V 15 (“Offen gesagt, sehne ich mich schon seit Wochen nach dem Studium eines womöglich überaus schwerverständlichen gelehrten Werkes. Die Verleger scheinen mich in dieser Hinsicht noch nicht so recht erfaßt, begriffen zu haben. Sie senden mir mit sichtlicher Vorliebe Bücher, deren Inhalt in’s gemeine Leben hineinzielt, während ich Bücher zu lesen wünsche, die leise und groß und von schönen und reichen Voraussetzungen sich herleitend in’s Wissenschaftliche zu münden bestrebt sind” ).  
  17. Cfr. B. Echte, Nachwort a BG VI 568-584.  
  18. M. Mantovani, “Ironia, idillio e disincanto: la Svizzera di Robert Walser”, saggio introduttivo a R. Walser, Una specie di uomini molto istruiti, cit., pp. 5-13, qui a p. 6.  
  19. Ibidem.  
  20. BG V 351 („Ich glaube, das beste, schönste Buch sei für mich jeweilen dasjenige, das mich aus der Welt, worin ich als Körper lebe, herauszieht, um mich im Geist, mit der Seele ganz und gar in der Welt leben und atmen zu lassen, die das Buch entstehen läßt, das mich ja denn auch hauptsächlich darum interessiert, weil es eine Welt für sich ist, womit ich vielleicht angedeutet habe, worin eine Dichtung überhaupt besteht“).  
  21. BG V 323-324 („Man unternahm einen kaum sehr geistreichen Feldzug gegen das schlechte Buch, und die Folge dieser Anstrengung ist, daß sich das gute Buch heute fundamentaler beklagt als je, daß ihm kaum noch irgend jemand nachfrage. Anscheinend will die heutige Menschheit lediglich leben, indem sie auf’s Lesen des guten Buches unzweideutig verzichtet. Indem man dem Publikum dies Vergnügen am Schundbuch wegzunehmen bestrebt gewesen ist, war man nicht imstande, ihm die Sehnsucht nach dem guten Buch einzuimpfen [ … ] Doch weshalb sollte nicht gerade das bei den Gutenbuchvertretern unbeliebte schlechte Buch es gewesen sein, das durch sein Wahrnehmbarsein die schönere Schwester irgendwie schützte? Wie konnte sich das gute Buch, wenn es sich in der Nachbarschaft des schlechten zeigte, vorteilhaft von ihm abheben. Demnach könnte ausgerechnet das schlechte Buch das gute unwillkürlich durch sein Zugegensein [ … ] empfohlen haben. [ … ] [M]an [täte] gut, das verjagte schlechte Buch in die Gehege, aus denen es unvorsichtigerweise vertrieben wurde, zurückzuführen, damit es das gute wie ehedem begleite oder parallelisiere“).  
  22. BG V 324 („Meiner Überzeugung nach greifen heutige Leser häufig deshalb nach längstverfaßten Büchern, weil die gegenwärtig schriftstellernde Generation zu wenig Zeit hat, sorgfältig zu schreiben. Wenn viele meinen, für den Geschmack der Jetztzeit bedürfe es unbedingt irgendwelcher Aufpeitschung, so ist meine Ansicht, daß es auf die Art des Aufweckens ankommt“).  
  23. W. Benjamin, Robert Walser, cit., p. 126; tr. it. di A. Marietti, Robert Walser , cit., p. 89.  
  24. Cfr. ad es. BG V 124, 151, 232.  
  25. GW XI 77 („Für mich ist jeder Essay etwas wie ein Roman, jedes Gedicht etwas wie ein theatralischer Monolog“).  
  26. BG IV 56 („O, ich schreibe hier einen Prosaaufsatz, der den Charakter eines Briefes hat und der wieder einem Gedicht ähnlich sein wird“).  
  27. BG V 333 („Falls man mir eine vielleicht üble Bemerkung nicht übelnehmen will, nenne ich die ‚Hamburgische Dramaturgie’ ein Gedicht, das mir ebenso nüchtern wie poetisch vorkommt“).  
  28. Cfr. BG V 150.  
  29. BG V 57 („in die Mitte, in’s Herz [der] Geschichte, und in der Mitte der Erzählung sträubt sich das märchenhafte Mädchen gegen die Märchenhaftigkeit. Aschenbrödel will sein, was sie ist“).  
  30. BG V 56, 57 („Pracht und Herrlichkeit“ ; „Bescheidenheit“ ;“Arrivieren“ ).  
  31. Su Walser e la Svizzera si può vedere la raccolta Europas schneeige Pelzboa. Texte zur Schweiz, a cura di B. Echte, Frankfurt a. Main, Suhrkamp 2003, e, in lingua italiana, la già menzionata pubblicazione R. Walser, Una specie di uomini molto istruiti, cit.  
  32. GW I 31 („mit bebenden Fingern“; „ein glühender Republikaner“; „den Wunsch, [dem] Vaterland eifrig zu dienen“ ) ; tr. it. di V. Rovelli Ruberl, I temi di Fritz Kocher, Milano, Adelphi 1993 , p. 46.  
  33. BG V 290 („Wer die Schweiz liebt, hat augenblicklich eine Vorstellung von Gebirgigkeit und von langgezogenen, über hochgelegene Schneeflächen sich hinziehenden Alphorntönen“).  
  34. BG V 290 („Der Schweizer trägt sozusagen eine nationale Maske, die ihm mancherlei Notwendigkeiten aufgenötigt haben mögen. Wo er fröhlich zu sein scheint, ist er ernster, wo man ihn naiv sich benehmen sieht, bewußteinshafter, als man gern annimmt“).  
  35. P. Utz, Tanz auf den Rändern, cit., p. 119.  
  36. BG II 301 (“Si vede in giardino un nano / dietro in lontananza un alto monte / e ancora altri monti e altri nani”).  
  37. BG VI 428 (“Sui monti stanno gli abeti / a mo’ di caffettiere. / Nell’aria ci si immerge come in vasche da bagno”).  
  38. BG V 438: (“I monti / sembrano mossi come da un nano”).  
  39. Sulla decostruzione del mito Tell in Walser cfr. A. Fattori, “Monologhi telliani: Friedrich Schiller, Robert Walser, Max Frisch”, in LINKS Rivista di letteratura e cultura tedesca, IV (2004), pp. 109-129.  
  40. In merito si veda anche GW VII 333 e BG VI 486.  
  41. BG V 371 („Ich spreche es nicht aus, da es mich ein ziemlich mißlungenes Wort zu sein dünkt“).  
  42. BG V 373 („Vom Feuilletonredakteur der Neuen Zürcher Zeitung hätte ich nicht erwartet, per Schnörkel tituliert zu werden, welche weitgehende Unhöflichkeit! Ist dies etwas spezifischer Limmatquaiton? Hat man an der Bahnhofstraße dreist zu werden begonnen?“).  
  43. BG V 375 („Ist eine derartige Versprecherei nicht auch ein Schnörkel?“). L’episodio è dettagliatamente illustrato nelle note ai testi (GW VI 664-5).  
  44. J. Greven, „Robert Walser-Forschungen“, in Euphorion, LXIV (1970), pp. 94-114, qui a p. 111.  
  45. R. Buzzo Màrgari, “Robert Walser. La funzione dello scrittore”, in Poesia, anno V, aprile 1992, n. 50, pp. 2-17, qui a p. 3. Sulle poesie giovanili di Walser si veda A. Rossi, Postfazione a R. Walser, Poesie, tr. it. di A. Rossi, Bellinzona, Casagrande 2000, pp. 93-105.  
  46. R. Buzzo Màrgari, Robert Walser, in A. Chiarloni e U. Isselstein (cur.), Poesia tedesca del Novecento, Torino, Einaudi 1990, pp. 131-138, qui a p. 134 e p. 137. Osservazioni sulla tarda lirica walseriana si trovano anche nel denso contributo di Stefano Beretta “La conoscenza del mondo attraverso l’esperienza estetica. Sui fondamenti della poetica di Robert Walser”, in Studia Theodisca, VIII (2001), pp. 27-48, si vedano in partic. le pp. 45-48.  
  47. W. Morlang, Gelegenheits- oder Verlegenheitslyrik?, Anmerkungen zu den späten Gedichten Robert Walsers, in K.-M. Hinz – Th. Horst (cur.), Robert Walser, Frankfurt a. Main, Suhrkamp 1991, S. 115-133, qui a p. 126.  
  48. BG VI 467 (“Molto interessante è del resto anche Nora / nella sua flora / di moglie di direttore di banca”).  
  49. BG VI 382 (“Giovane donna, devi leggere qualcosa, / non startene così al sole. / Ciò che è accaduto una volta, / in sostanza non è nulla. / [ … ] / C’è a volte ozono anche nella lettura, / e non dire che sarei rozzo. / Piuttosto manda a Teresa / una lettera su questo tuo nulla”).  
  50. BG VI 384 (“Oh strabiliante inizio di poesia! / Che cosa mi verrà ancora in mente?”).  
  51. BG VI 410 (“Aveva uno strascico rosa, / ma la sua vita somigliava, così inaridita, / alla steppa sguarnita”).  
  52. L. Tofi, Il racconto è nudo! Studi su Robert Walser, Napoli, ESI 1995, p. 21.  
  53. Osservazioni formali su alcune tarde poesie microgrammatiche, in particolare sul loro rapporto con il canone letterario, si possono trovare in A. Fattori, “’Lass Dein Denken einen Strom sei’’: Robert Walsers Mikrogramme”, in Schweizer Monatshefte, 82. Jahr, Heft 3-4, März-April 2002, pp. 60-63.  
  54. BG VI 418.  
  55. BG VI 474.  
  56. L . Tofi, Il racconto è nudo!, cit., p. 228.  
  57. Si veda in proposito il contributo di Bernhard Echte Guardando attraverso la lente presentato nel corso dell’iniziativa walseriana bolognese.  
  58. GW XI 363 („Es gibt zweierlei Arten Sprechende oder Schreibende: solche, die sich bequemlicherweise dabei geben, wie sie sind, und solche, die sich beim Sprechen oder Schreiben in eine Kleid hüllen. Erstere sind menschlich, die letzteren dichterisch”).  
  59. Osserva F. van Ingen (Vanitas un Memento mori in der deutschen Barocklyrik, Groningen, J. B. Wolters 1966) che nella lirica secentesca “il gioco di parole basato sul paradosso con i concetti di vita e morte [ … ] era tra le più diffuse modalità di addottrinamento gnomico” (p. 251).  
  60. H. Cysarz, Vom Geist des deutschen Literatur-Barocks, in R. Alewyn (cur.), Deutsche Barockforschung. Dokumentation einer Epoche, Köln-Berlin, Kiepenhauer & Witsch 1966, pp. 18-38, qui a p. 23.  
  61. Afferma van Ingen (Vanitas un Memento mori in der deutschen Barocklyrik, cit.) che la particella esclamativa ‘o’ segnala “brani caratterizzati da forte pathos che esprimono felicità o profonda tristezza” (p. 222).  
  62. F. Strich, Der lyrische Stil des 17. Jahrhunderts, in R. Alewyn (cur.), Deutsche Barockforschung. Dokumentation einer Epoche, cit., pp. 229-259, qui a p. 237.  
  63. BG I 21 („Ich für mich möchte sowohl die Liebe wie den Haß vorsichtig beurteilt wissen. Ein Empfinden bezieht seine Nahrung aus dem anderen.“).  
  64. L . Tofi, Il racconto è nudo!, cit., p. 56.  
  65. Sulla figura del paradosso in Walser si può vedere A. Cardinal, The Figure of Paradox in the Work of Robert Walser, Stuttgart, Heinz 1982; R. Huber, „Zur Ambivalenz in Robert Walsers Dramolett ‚Schneewittchen’“, in RUNA, Revista portuguesa de estudos germanisticos, n. 9-10 (1988), pp. 109-22; A. Fattori, Teatralità e teatro in Robert Walser. Sul carattere performativo del racconto ‘Der Spaziergang’, in Lia Secci (cur.), Metamorfosi della parola tra letteratura e filosofia. Miscellanea di studi offerta a Luigi Quattrocchi, Roma, Artemide 2001, pp. 203-219.  
  66. GW VII 125 („Königin: [ … ] / Haß will jetzt lieben. Liebe haßt / sich selbst, daß sie nicht heft’ger liebt“).  
  67. GW VII 132-133: („Königin: Haß unter Deinen Zwergen gab / es also nicht? Dann vielleicht auch / war ihnen Liebe gänzlich fremd./ Denn Haß nährt Liebe, wie Du weißt, / und Liebe liebt am liebsten doch, / du weißt ja, kalten, bittern Haß.“).  
  68. GW VII 133 („Schneewittchen: Haß macht die Liebe spürbar erst./ [ … ] / Mich sehnend nach der Liebe, ist / Lieb’ mir bewußt; bewegt durch Haß, / sehnt Seele sich nach Liebe hin“).  
  69. P. Fleming, Sonetto I, 16 („Ists möglich, daß der Haß auch kann geliebet sein? /Ja, Liebe, sonst war nichts, an dem du könntest weisen, / Wie stark dein Feuer sei, als an dem kalten Eisen/ Der ausgestählten Welt. Du, höchster Sonnenschein, / wirfst deiner Strahlen Glut in unser Eis hinein, / Machst Tag aus unsrer Nacht.“, tr. it. di A. M. Carpi, Paul Fleming. De se ipsum ad se ipsum, Milano, Cisalpino-La goliardica 1973, p. 46, nota 12.).  
  70. GW VII 143 („widersprech’nde Freude“; „süße[s] Fest“).  
  71. GW VII 140 („End küßt sich in dem End, wenn auch / Anfang noch nicht zu Ende ist“).  
  72. U. Herzog, Robert Walsers Poetik. Literatur und soziale Entfremdung, Tübingen, Niemeyer 1974, p. 73. Il lettore italiano potrà trovare una schematica, e invero a tratti opinabile, interpretazione psicoanalitica dei dramolets walseriani in S. Torri, “Sui drammi fiabeschi di Robert Walser”, in Rivista di letterature moderne e comparate, aprile-giugno 2000, fasc. 2, pp. 177-201.  
  73. S. Montecchio, “Creaturalità e bellezza in Robert Walser”, in Rivista di estetica, XXXIII (1993), n. 44-45, pp. 167-179, qui a p. 176.  
  74. GW IX 15 („[a]lles erinnert an sein Gegenteil“).  
  75. A. M. Carpi, Paul Fleming, cit., p. 49 e p. 50. Sull’analoga concezione del tempo nella lirica di Gryphius si veda ad es. W. Mauser, Was ist dies Leben noch? Zum Sonett ‚Thränen in schwerer Kranckheit’ von Andreas Gryphius, in V. Meid (cur.), Gedichte und Interpretationen, vol. 1, Renaissance und Barock, Stuttgart, Reclam 2002, pp. 223-230. Mauser afferma che in questa notissima poesia di Gryphius “il corso del tempo [ … ] non porta ad alcun progresso [ … ], ma riconduce incessantemente al punto di partenza” (p. 223).  
  76. S. Montecchio, “Creaturalità e bellezza in Robert Walser”, cit., p. 170. Sulla concezione walseriana del tempo si sofferma anche S. Beretta in “La conoscenza del mondo attraverso l’esperienza estetica”, cit., passim.  
  77. BG V 27 („Laß dein Denken einen Strom sein.[ … ] Jage nicht nach Gedanken, da sie unablässig zu dir kommen.“).  
  78. Su tale aspetto si può vedere A. Aebli, “’Diese art von belächelnswerten Sächelchen’. Ein Vorschlag zur Lektüretechnik des Bleistiftgebiets”, in Robert Walser. Text und Kritik. Zeitschrift für Literatur, a cura di H. L. Arnold, 4. Auflage, Neufassung, 12/12 a, München, Edition Text und Kritik 2004, pp. 181-191.  
  79. BG VI 486 („Dumm ist’s, wenn das Publikum / man für albern hält [ … ]“).  
  80. GW VII 333.  
  81. BG V 358 („Ich lasse hier zunächst eine Pause entstehen. Ich schiebe gleichsam etwas auf“).  
  82. Si veda il foglio microgrammatico numero 9a riprodotto nell’inserto illustrativo di BG VI.  
  83. Eben sprang aus einem Verlagshaus ein Buch heraus, BG V 319-320.