Imperfetto /1

di in: Bazar

Un tale Kariboni, critico cinematografico molto impegnato e lui stesso autore di alcuni cortometraggi o per meglio dire corti, entrava un giorno d’inverno nello studio di un medico dietologo perché essendo leggermente in sovrappeso e risultando alcuni suoi valori ematici non nella norma aveva appunto bisogno di essere visitato da un medico dietologo.

Il medico dietologo, un tale Mazzucchelli, faceva dapprima accomodare il Kariboni su una sedia di poco discosta sulla parte sinistra della sua scrivania, conversava con il Kariboni stesso sui presunti motivi dei valori ematici non nella norma e del leggero sovrappeso del Kariboni, e in seguito, con atteggiamento di medico dietologo molto solerte e coscienzioso, accompagnava il Kariboni verso una bilancia situata in un angolo del suo studio di medico dietologo, lo faceva pesare, constatava con mossa bonaria il non eccessivo sovrappeso del Kariboni, lo faceva quindi sdraiare su un lettino non distante dalla bilancia, gli auscultava il cuore e altri organi interni, e infine, fatto riaccomodare il Kariboni sulla sedia di poco discosta sulla parte sinistra della sua scrivania di medico dietologo, gli prescriveva una dieta che il Kariboni doveva seguire per almeno qualche mese se non voleva incorrere in complicanze che avrebbero potuto mettere a repentaglio dapprima la salute del Kariboni e in un secondo tempo addirittura la vita stessa del Kariboni inteso non tanto come critico cinematografico molto impegnato e già autore di alcuni cortometraggi o per meglio dire corti quanto piuttosto la vita dello stesso Kariboni inteso come essere vivente nel mondo.

Congedatosi dal medico dietologo con molti ossequi e ringraziamenti per il tentativo che il medico dietologo aveva intrapreso di salvaguardargli la salute di critico cinematografico e la vita di essere vivente nel mondo, il Kariboni si recava quindi in un ufficio delle imposte a seguito di una lettera nella quale gli ufficiali dell’ufficio delle imposte gli avevano fatto notare che, secondo alcuni accertamenti, risultava che il Kariboni stesso non aveva compilato alcuni fogli della dichiarazione dei redditi. Qui il Kariboni veniva ricevuto da un ufficiale dell’ufficio delle imposte al quale spiegava che nella dichiarazione dei redditi in questione aveva erroneamente comunicato che aveva compilato i fogli che invece non aveva compilato, al che l’ufficiale dell’ufficio delle imposte lo congedava scusandosi per il disturbo arrecatogli.

Succedeva poi che, uscito dall’ufficio delle imposte, il Kariboni tornava a casa, dove scriveva una critica cinematografica molto acuta e interessante e comunicava via telefono con alcuni conoscenti a proposito del progetto di un cortometraggio o corto che voleva girare ormai da tempo per mostrare il grado di degrado della città nella quale viveva.

Bisogna sapere infatti che il Kariboni viveva in una città governata da amministratori senza scrupoli e avidissimi di danaro, che non restauravano gli edifici che andavano in rovina e non facevano niente per incentivare la costruzione di nuovi edifici. Ne conseguiva dunque che il Kariboni viveva in una città in fase di disfacimento o avanzata disfazione, e a nulla valevano le proteste che lui e altri cittadini impegnati come lui avevano fino a quel momento inscenato anche con manifestazioni di piazza e slogan urlati nel megafono.

Succedeva inoltre, alcuni giorni dopo, che il Kariboni passeggiava per le vie della sua città in disfacimento e pronunciava tra sé e sé parole durissime contro i governanti malvagi che avevano ridotto la città a quel grado di degrado. Gli veniva perfino in mente di improvvisare una manifestazione di piazza per gridare tutta la sua rabbia, ma essendo quello il cosiddetto periodo di Natale e dell’anno nuovo, gli altri cittadini di quella città in degrado erano impegnati a guardare le vetrine dei negozi, dove poi entravano per comprare regali da farsi a vicenda, e non avevano voglia di ascoltare la rabbia del Kariboni contro i governanti. Tornava dunque a casa deluso, il Kariboni, e proseguiva nei pensieri della realizzazione di un corto che avrebbe mostrato una volta per tutte gli scempi compiuti dai governanti malvagi che avevano ridotto la città nello sfacelo.

Il Kariboni, infatti, aveva studiato su molti libri la storia della città e aveva visto che in un passato nemmeno troppo lontano la città era famosa in tutto il mondo degli esseri viventi per le sue bellezze di paesaggio e di architettura, e dunque era giunto alla conclusione che la colpa del degrado era tutta dell’avidità di danaro degli attuali governanti impostori.

Nel frattempo il Kariboni seguiva la dieta prescrittagli dal medico dietologo e si preparava i cibi che il medico dietologo gli aveva prescritto di assumere. Quelli e non altri, gli aveva detto il medico dietologo. E il Kariboni infatti si preparava quelli e non altri cibi. Prima non si era mai particolarmente interessato ai cibi e cose del genere. Ma da quando era stato visitato dal medico dietologo era diventato un vero patito fanatico della scienza della nutrizione, e calcolava con operazioni matematiche la quantità di grasso e di altre sostanze che i cibi rilasciavano nei suoi organi interni che avevano a che fare con l’assorbimento e lo smaltimento dei cibi stessi. Elaborava perfino dei diagrammi dai quali risultava che la colpa del suo sovrappeso e dei suoi valori ematici non nella norma era da attribuirsi alle cattive abitudini alimentari di alcuni suoi antenati sia di parte materna che paterna, e allora, nel chiuso della sua stanza da lavoro di critico cinematografico, ingiuriava non si sa perché i governanti maledetti della sua città, che pensavano solo ai soldi, e diceva che era colpa anche loro se i suoi valori ematici non erano nella norma.

Essendo un uomo vivente soggetto a facili collere spesso senza motivo, nessuna donna aveva sopportato di stargli vicino più di poco tempo, e allora si verificava il fatto che il Kariboni viveva da solo e non aveva molte frequentazioni. A parte i conoscenti che sentiva telefonicamente per ragioni di lavoro connesse al corto che doveva mostrare l’ingordigia dei porci governanti, il Kariboni frequentava con una certa regolarità solo il Lapizzi e il Manera, due maestri elementari che la pensavano come lui su come andavano le cose in quella città in degrado e più in generale nel mondo degli uomini viventi.

Si trovavano a casa di uno dei tre, a turno, una volta la settimana, e cominciavano subito a lamentarsi di tutto. Il Lapizzi e il Manera si lamentavano dello stipendio infame che gli dava il governo corrotto per il loro lavoro di maestri elementari. Il Manera, in particolare, diceva che ormai era diventato impossibile aver a che fare con i bambini che gli facevano pernacchie e ruttavano e scorreggiavano mentre lui faceva lezione e poi, nella pausa tra le lezioni del mattino e quelle del pomeriggio, quando si trovavano nella sala mensa gli tiravano addosso resti e avanzi di cibo già masticati. Secondo il Manera, la colpa di quel comportamento dei bambini era da attribuirsi totalmente ai governanti corrotti e malvagi che facevano capire ai genitori dei bambini che nel mondo degli esseri viventi contavano solo i soldi e le macchine e i vestiti, e allora i bambini, corrotti a loro volta dai genitori che pensavano solo ai soldi, alle macchine e ai vestiti, pernacchiavano e ruttavano e scorreggiavano quando lui faceva lezione. E che bisognava fare qualcosa, intraprendere un’azione, mobilitare le coscienze, diceva.

Così diceva anche il Lapizzi, aggiungendo che a lui, quando faceva lezione, oltre che le pernacchie i rutti e le scorregge dei bambini toccava sopportare anche i pezzi di calce che si sbriciolavano dal soffitto e gli cadevano in testa. Anche questo, ovviamente, per colpa dei governanti porci schifosi che avevano le ville al mare e in montagna e non si interessavano degli edifici che andavano in rovina.

Il Kariboni ascoltava attentamente e pensava e poi diceva che una volta per tutte sarebbe stata necessaria una presa di coscienza e lui aveva in progetto di girare un corto che avrebbe messo i cani governanti con le spalle al muro. Al che il Lapizzi e il Manera assentivano con grandi cenni del capo e dicevano che sì sì c’era proprio bisogno di una presa di coscienza, e che lo girasse in fretta il Kariboni quel corto perché bisogna farla vedere a quelle bestie schifose bastarde dei governanti.

Nel frattempo il Kariboni seguiva la dieta prescrittagli dal medico dietologo Mazzucchelli, ma per quanto la seguisse con scrupolo non dimagriva e anzi sembrava che i suoi valori ematici tendessero ad essere sempre più non nella norma. E allora lentamente il Kariboni si sentiva montare le furie anche nei confronti del medico dietologo Mazzucchelli, sospettando che anche lui fosse al soldo dei governanti bestie e gli avesse prescritto la dieta con l’unico scopo di privarlo delle forze necessarie per realizzare il corto che aveva in mente e infine per toglierlo definitivamente di mezzo dalla circolazione degli esseri umani viventi. Mosso e spinto da questo sospetto, il Kariboni si recava quindi dal Mazzucchelli e scopriva in effetti che non esisteva un medico dietologo di nome Mazzucchelli, e che il Mazzucchelli che lo aveva visitato in qualità di medico dietologo e che in quanto tale gli aveva prescritto la dieta era in realtà un agente del governo dittatore schifoso che si era travisato da medico dietologo per togliere dalla circolazione proprio il Kariboni con le sue idee di fare un corto di protesta, di denuncia e di impegno civile.

Al che il Kariboni sconcertato infuriato e imbufalito comunicava la notizia al Lapizzi e al Manera, i quali anche loro sconcertati infuriati e imbufaliti lo incitavano sempre più a girare il suo corto di denuncia perché era ora di farla finita con questi governanti animali che ci fanno andare allo sfascio e ci portano alla tomba prima del tempo. Conseguentemente il Kariboni cessava di seguire la dieta del traditore infingardo Mazzucchelli, non badava al sovrappeso e ai valori ematici sballati e si interessava piuttosto alla realizzazione del corto che avrebbe denunciato senza pietà le malefatte dei governanti. E basta anche con gli ufficiali dell’ufficio delle imposte, si diceva, che ti fanno solo perdere tempo e sono anche loro spie e mandanti dei governanti pieni di danaro.

Ma accadeva però, proprio mentre, tramite alcuni conoscenti, aveva preso contatto con dei movimenti internazionali libertari multietnici e multimediali che avrebbero sovvenzionato la realizzazione del suo corto, che i suoi valori ematici non nella norma e il suo sovrappeso gli causarono dapprima un malore diffuso in tutto il corpo e infine un infarto.

Veniva dunque portato in tutta urgenza e spiegamento di sirene nel reparto di rianimazione dell’ospedale cittadino, che come i restanti edifici della città era in disfacimento a colpa dell’incuria ed era infestato da topi e salamandre. Il primario del reparto, un tale Intragna, somigliava al sembiante nemmeno troppo vagamente al dietologo Mazzucchelli, e quando il Kariboni, ripresosi dopo la fase acuta dell’infarto, se ne accorse, cominciava a montare dentro il suo intimo di infuriamenti incontenibili e si diceva che l’Intragna in realtà era il Mazzucchelli e il Mazzucchelli l’Intragna e tutti al soldo dei dittatori governanti che volevano farlo fuori in tutti i modi e toglierlo dalla circolazione degli esseri umani viventi.

Accadeva però che, nonostante i sospetti e gli infuriamenti incontenibili del Kariboni, l’Intragna presunto Mazzucchelli o il Mazzucchelli presunto Intragna prestava al Kariboni le cure necessarie per rimettersi dall’infarto, e dunque il Kariboni veniva dimesso dall’ospedale senza che potesse affermare con assoluta certezza che l’Intragna era in realtà il Mazzucchelli e cioè un servo della gleba al servizio dei governanti balordi che volevano toglierlo di mezzo a causa del suo corto di denuncia.

Dimesso dall’ospedale, il Kariboni ricominciava ad incontrarsi regolarmente con il Lapizzi e il Manera, sempre più scontenti del loro lavoro di maestri elementari, con i bambini che non solo pernacchiavano ruttavano e scorreggiavano ma addirittura in taluni casi pisciavano e cacavano loro addosso mentre facevano lezione. E loro neanche protestare potevano, dal momento che i bambini lo avrebbero detto ai genitori ricchi e potenti che poi avrebbero magari fatto inviare il Lapizzi e il Manera al confino con la complicità dei maledetti governanti sempre pronti a mandare al confino chi non era ricco e potente e diguazzava nel danaro. Che dunque cercasse di girarlo in fretta il corto di denuncia e di protesta, dicevano al Kariboni il Lapizzi e il Manera, perché così non si poteva andare avanti per molto tempo e c’era bisogno di una seria presa di coscienza contro i corrotti impostori governanti.

È però necessario tenere in considerazione che, a parte gli eventi esterni, c’erano anche eventi per così dire interni a rendere difficoltosa e a rallentare la realizzazione del corto da parte del Kariboni. Il Kariboni, infatti, oltre ai disturbi legati al sovrappeso e ai valori ematici non nella norma, soffriva spesso di fortissimi attacchi di malinconia. Accadeva insomma che il Kariboni si svegliava al mattino, scendeva per strada e quando vedeva gli altri uomini viventi nel mondo gli venivano malinconie incredibili come di uno che ha capito che tutto è vano e non sa neanche più se è ancora vivo oppure già morto. Questi attacchi fortissimi di malinconia lo costringevano a letto anche per interi giorni, che il Kariboni trascorreva rimuginando sul tempo che passa la morte che si avvicina e cose simili di infinita tristezza e disillusione, e di conseguenza gli venivano a mancare le forze per fare qualsiasi cosa.

Nel periodo che qui si sta descrivendo il Kariboni andava peraltro soggetto ad un attacco di malinconia più forte del solito, e allora si decideva a chiamare al proprio capezzale di uomo immalinconito che sa che la vita è niente uno psicologo, tale Fanizzi, il cui nome con relativo numero verde il Kariboni aveva trovato sulle cosidette pagine gialle alle voce “psicologi”.

Si recava dunque il Fanizzi psicologo a casa del Kariboni immalinconito, e il Kariboni al subito vederlo gli veniva il sospetto di estrema somiglianza tra il Fanizzi psicologo e il Mazzucchelli medico dietologo e l’Intragna primario del reparto di rianimazione, e di repente obbedendo all’istinto cacciava via il Fanizzi psicologo gridandogli dietro servo del governo ladro, e di dire ai governanti porci che lui, il Kariboni, non si sarebbe fatto vincere dalle malinconie e avrebbe girato il corto che avrebbe messo in chiaro le cose una volta per tutte. Il Fanizzi psicologo, spaventato dalle urla violentissime del Kariboni, avvertiva allora l’ospedale psichiatrico cittadino che un certo Kariboni era un pericolo pubblico, e di andare il più presto possibile a prelevarlo per potergli erogare le cure del caso.

Si avviava dunque a velocità altissima rischiando numerosi incidenti un’autoambulanza in direzione della casa del Kariboni, dove due infermieri utilizzando mezzi di costrizione e somministrando forti sedativi caricavano il Kariboni sull’autoambulanza e trasportavano ratti il Kariboni in stato narcotico all’ospedale psichiatrico, dove il Kariboni si risvegliava con grande sorpresa, senza capire perché, in una stanza dalle pareti bianche e dove un ragno in un angolo stava tessendo una tela. Il Kariboni chiedeva all’infermiera di turno, tale Priscilla Ghislanzoni Simoneschi, informazioni sull’accaduto e veniva a sapere dalla Ghislanzoni Simoneschi trovarsi lui nell’ospedale psichiatrico diretto dal dottorissimo professorone Carlo Tullio Aldegheri che l’indomani a ora presta lo avrebbe visitato per erogargli le cure del caso.

La qual cosa si verificava in effetti l’indomani ad ora presta, con l’Aldegheri che faceva il suo ingresso nella stanza del Kariboni e il Kariboni che subitissimamente aveva l’impressione trattarsi l’Aldegheri della stessa persona che il Mazzucchelli medico dietologo, l’Intragna primario di rianimazione e il Fanizzi psicologo. Come conseguenza dava il Kariboni in escandescenze da pazzo e fuggiva lestissimo dalla stanza e poi dal reparto inseguito vanamente dall’Aldegheri e dall’infermiera di turno quella mattina, tale Enrichetta Muscionico Catenazzi, gridando che era tutta una congiura del governo ladro schifoso nei confronti di lui, Kariboni, spirito libero che voleva girare un corto per far vedere come stavano veramente le cose.

Di nuovo però accadeva che il Kariboni, fermato dalla guardia giurata operante all’interno dell’ospedale psichiatrico e consegnato nelle mani dell’Aldegheri, veniva dallo stesso Aldegheri visitato e poi curato con la massima sollecitudine e quindi smosso dai sospetti che fosse tutta una congiura ai suoi danni pensata dai governanti danarosi e pervertiti.

Dimesso quindi anche dall’ospedale psichiatrico con l’obbligo di prendere due volte al giorno mattino e sera medicamenti calmanti per quanto riguardava gli infuriamenti e vitalizzanti per quanto riguardava gli immalinconimenti, ecco il Kariboni che riprendeva a impegnarsi a realizzare il corto che doveva mostrare le cose così come erano e cioè una schifezza e una disfazione totale per colpa dei dittatori al governo infoiati di danaro.

Riprendeva il Kariboni ad incontrarsi peraltro con il Lapizzi e il Manera, ormai sull’orlo dell’esasperazione a causa dei bambini che pernacchiavano ruttavano scorreggiavano e adesso gli sputavano perfino in faccia quando facevano lezione. Che si doveva girare il più presto possibile il corto di denuncia e di mobilitazione sociale, gli dicevano il Lapizzi e il Manera, perché se no qui si correva il rischio di venire uccisi dai bambini figli dei genitori arricchiti servi del governo ladro.

Per stabilire contatti più stretti al fine di realizzare il corto di protesta, il Kariboni lasciava allora per un certo periodo la sua città in disfazione e si recava in un’altra zona del paese a lui peraltro molto cara e amica e congeniale per vari motivi, dove però erano invalse strane abitudini linguistiche, la gente di quella zona dicendo ad esempio cosìcomeanche quando doveva e poteva dire semplicemente anche ecc.. Per questo motivo quella zona del paese veniva generalmente chiamata la regione del cosìcomeanche, e nella regione del cosìcomeanche incontrava il Kariboni una poetessa, tale Telezia Soundso, la quale aveva intenzione di scrivere un poema in versi di protesta sociale contro i governanti maiali della regione del cosìcomeanche. Ma siccome la Soundso si esprimeva come ovvio parlando la lingua della regione del cosìcomeanche, venivano a verificarsi strane incomprensioni tra la Soundso e il Kariboni.

Il Kariboni dunque non capendo niente, pensava che la Soundso soffrisse di disturbi della parola, e allora con abiette scuse portandola con sé nella sua città in disfazione la conduceva scopo visita accurata dal noto frenologo dottor Egidio Lanfranchini, che il Kariboni non aveva mai conosciuto di persona ma che aveva sentito essere un luminare di fama interplanetaria. Preso l’appuntamento con il frenologo Lanfranchini, il Kariboni e la Soundso entravano nello studio o ambulatorio del suddetto, dopo aver pagato alla segretaria del sempre suddetto una parcella di svariate migliaia di euro, e all’entrare nello studio del Lanfranchini ecco che il Kariboni si faceva terreo in volto avendo l’impressione di riconoscere nel Lanfranchini il Mazzucchelli medico dietologo l’Intragna primario del reparto di rianimazione il Fanizzi psicologo l’Aldegheri psichiatra. Fuggiva allora dallo studio o ambulatorio del Lanfranchini il Kariboni con la Soundso, spergiurando a se stesso di non prendere più i medicamenti che, pensava, gli avevano dato con lo scopo di toglierlo di mezzo e lasciare libero campo alle malefatte e alle ruberie dei governanti bastardi schifosi.

Si rifugiavano il Kariboni e la Soundso in una baita di montagna che il Kariboni aveva ereditato da uno zio di quarta generazione, e mentre la Soundso scriveva il suo poema in versi di denuncia ecco che il Kariboni ripiombava nelle sue malinconie di quando gli sembrava che la vita fosse niente e il tempo passa e dobbiamo morire e non si sa cosa siamo qui a fare su questa terra di esseri viventi che ruota nel buio dell’universo a centosettemila chilometri orari, che solo a pensarci a uno dovrebbe venire il capogiro e non fare più niente. Giaceva dunque il Kariboni nel suo letto di dolore, mentre la Soundso componeva il suo poema in versi di protesta e denuncia, e di sera leggeva al Kariboni immalinconito cosa aveva scritto durante il giorno. Ma il Kariboni, immalinconito dal nulla della vita e dei giorni che passano e vanno non si sa dove, non capiva niente di quei versi del tipo

denuncia sociale!
vedendoti qui
così come anche
nell’azzurra pietra
verde, il calorifero
luce di fiamma svampita
saltamenti
come di fiume che
scia di lucore e
di contenuto ardore e,
eccoti lì
immantinente
io lo vorrei ma poi…

L’aggravante consisteva nel fatto che davasi la Soundso estremi importanza e cipiglio e aria saputa nel leggere al Kariboni immalinconito questi e consimili versi, e come conseguenza il Kariboni veniva preso dai suoi infuriamenti e cacciava la Soundso dalla baita urlandole di tornarsene nella terra del cosìcomeanche, e lui stesso se ne tornava tristissimo alla sua città in sfacelo e degrado.

Tornato tristissimo alla sua città in sfacelo e degrado, cercava comunque il Kariboni di stabilire nuovi contatti per la realizzazione del suo corto, spinto soprattutto dal Lapizzi e dal Manera che gli raccontavano che ormai i bambini li legavano alla sedia e gli pisciavano in testa e negli occhi mentre loro facevano lezione. Entrava dunque in contatto il Kariboni con un esimio studioso di letteratura, tale Zanazio Logorroico, chiedendo al Logorroico di mostrargli gli esempi di denuncia sociale e impegno civile presenti nella storia della letteratura. Il Logorroico lo invitava ad un convegno che si sarebbe tenuto qualche giorno dopo e al quale avrebbero partecipato due altri studiosi di rango e guarda caso esperti della letteratura di impegno sociale: tale Gustavo Ascetico e tale Augusto Mefitico.

Alcuni giorni dopo presenziava allora il Kariboni al convegno con il Logorroico, l’Ascetico e il Mefitico. Per primo prendeva la parola il Logorroico, che però, con disdoro massimo del Kariboni seduto attento in prima fila insieme a pochi altri auditori, parlava per intere ore senza dir niente, e anzi continuando a citare autori libri e commentatori di libri provocava nel Kariboni e nei pochi altri auditori esiti di sonnolenza irrefrenabile. Il convegno essendo cominciato pressappoco alle ore tre pomeridiane, prendeva conseguentemente la parola l’Ascetico alle ore una e trenta antimeridiane, e senza accorgersi che il Kariboni e gli altri pochi auditori, stremati dal fiato perso del Logorroico, stavano dormendo con pesantezza di elefanti, cominciava da par suo a parlare per intere ore senza dir niente, con l’aggravante per giunta di una timidezza intrinseca sua che si concretava in una voce flebile che aiutava la sonnolenza di elefanti del Kariboni e degli altri auditori. Dormiva infatti profondissimamente il Kariboni alle ore cinque e quarantacinque antimeridiane quando la parola passò al Mefitico, il quale però, non appena cominciò a parlare, emise fetenti puzzerie varie da altrettanto varie parti del suo corpo e dava l’impressione che voleva anche lui parlar molto per non dir niente, e allora il Kariboni svegliato improvvisamente dalle fetenti puzzerie di tipo quasi fognario del Mefitico e con l’impressione di aver perso tempo inutile partecipando da auditore, insieme a pochi altri, al convegno del Logorroico, dell’Ascetico e del Mefitico risoltosi in una sagra del perder fiato con contorno di fetenti puzzerie fognarie, ecco che veniva preso da una delle sue solite malinconie da consapevolezza del nulla dell’esistere, e scappava dall’auditorio sede del convegno berciando contro il Logorroico, l’Ascetico e il Mefitico e in particolare dicendo tra sé e sé essere quei tre studiosi anche loro dei servi della gleba al soldo del governo corrotto e corruttore che soffocava qualsivoglia o qualsiasi o qualsisia voce di protesta con imbriacature e stordimenti di parole che non dicevano niente.

Usciva dunque il Kariboni dall’auditorio sede del convegno e cominciava a vagare nel buio gelido della notte che stava lentamente per essere sostituito dai primi lucori dell’alba. Nel suo vagare in quell’ora imprecisata tra la notte e il giorno e tra il buio e la luce veniva il Kariboni improvvisamente a trovarsi davanti al cancello ferreo del cimitero cittadino. Divorato come detto da una delle sue solite malinconie, pensava allora il Kariboni di trovare sollievo nella compagnia di chi era già morto e non aveva più problemi con il fatto di dover vivere ecc., e varcava dunque la soglia del cancello ferreo ed entrava nel cimitero. Il quale ovviamente era in stato di disfazione o per meglio dire si trovava ad un grado tale di degrado o meglio ancora ad un tale grado di degrado che a pensarci bene, pensava il Kariboni, ci sarebbe stato da girare un corto di protesta e denuncia non solo sui vivi di quella città in degrado ma anche sui morti di quel cimitero in degrado di quella città in degrado. Subitamente però veniva il Kariboni visitato anche da pensieri più consolanti, del tipo che a vedere tutti quei morti dimenticati, come cose mai esistite, in quell’ora tra la notte e il giorno, gli veniva da pensare che in fondo si poteva anche lasciare che le cose andassero come dovevano andare, e non farsi il fegato marcio con la storia della disfazione e del corto di protesta e dei governanti bastardi di regime. Al vedere tuttavia le tombe coperte dalla neve caduta alcuni giorni prima e avvolte nella nebbia di quell’ora tra il giorno e la notte e soprattutto in stato di intollerabile abbandono con addirittura affioramenti di bare dal sottoterra e brani di ossa in avanzato stato di saponificazione, veniva il Kariboni riacciuffato dai suoi soliti pensieri di protesta e denuncia, e diceva a se stesso che il corto di protesta andava assolutamente girato e realizzato con un’appendice magari anche sul cimitero, perché era giusto che si sapesse che in quella città si viveva da cani sia da vivi che da morti, come cose che esistono e come cose mai esistite, e tutto per colpa dei governanti senza scrupoli.

Usciva dunque il Kariboni rinfrancato dal cimitero mentre nel frattempo si era fatto giorno, e sentendo il desiderio di fare colazione o comunque di mangiare qualcosa dopo le ore trascorse al convegno e in seguito al cimitero, si dirigeva il Kariboni stesso verso un non lontano bar o caffetteria dove gli capitava di incontrare seduto ad un tavolo un suo conoscente, tale Erminio Everyman Rezzoniko, un cantante che da qualche tempo a quella parte era in cerca di una casa discografica che gli pubblicasse e rendesse conseguentemente note le sue ultime incisioni sonore.

Sedeva dunque il Kariboni al tavolo del Rezzoniko, e di repente si instaurava tra i due una conversazione sui mali di quella città in stato di degrado. Il Rezzoniko raccontava tra l’altro al Kariboni che le sue ultime incisioni sonore, per le quali stava appunto cercando una casa discografica disposta a pubblicarle, erano incisioni che avrebbero segnato una svolta nella sua carriera di cantante e compositore di musiche. Trattavano infatti quelle incisioni di temi nuovi, come per esempio l’impossibilità di un amore sincero in un tempo come questo che non bada più ai sentimenti, oppure di quanto sia difficile lasciarsi perché l’amore è come una malattia dalla quale mai mai si guarisce, oppure ancora che ti amo ancora anche se mi hai lasciato per stare con lui che a sua volta con un’altra ti tradisce ah!, e via di questo genere, al punto tale che il Kariboni, divorato dall’idea di girare un corto di denuncia e di protesta sociale e civile, si infuriava grandemente con il Rezzoniko compositore di musiche e lasciava difilato il bar o caffetteria dicendosi tra sé e sé che anche sul Rezzoniko non c’era più da contare, essendo diventato il Rezzoniko stesso un cantante di regime che cantava i sentimenti al soldo dei governanti che pur di non far nascere pensieri negli esseri umani viventi li narcotizzavano e annientavano con sonorerie e canterie tipo quelle del Rezzoniko uomo ormai perduto alla causa, così che poi alla fine non si riusciva più a capire che differenza c’era tra gli esseri umani viventi nella città e quelli morti nel cimitero, se non che parimenti venivano trattati tutti come cani.

Tempi difficili vennero insomma per il Kariboni e la sua idea di girare un corto di protesta che avrebbe cambiato il corso delle cose in quella città in disfazione e degrado. Malinconie sempre più forti e irrefrenabili si impossessavano di lui. Giaceva giorni interi nel suo letto di dolore senza pensare a niente o più di preciso pensando a quanto era assurda la vita degli esseri umani viventi che non sapevano neanche perché vivevano e accettavano come se niente fosse tutte le imbriacature ammannite dai governanti fetenti e schifosi. Se i governanti, così il Kariboni tra sé e sé nei suoi pensamenti di immalinconito, decidono che deve essere natale di amore e di gioia e di reciproco volersi bene, allora tutti corrono come dei sonnambuli nei negozi per comprare regali da farsi a vicenda, e si mettono in testa che se è natale allora fa freddo, e indossano vestiti pesanti; se per converso decidono i governanti essere pasqua di resurrezione e infinita gioia, allora tutti si mettono in mente che è primavera e vanno a fare gite dove ci sono alberi e prati verdi; se in ugual maniera statuiscono i governanti trattarsi della stagione estiva di svago e riposo e tanto sole, ecco che tutti si spogliano e corrono verso le spiagge marine. E così via e così via, cogitava e opinava il Kariboni immalinconito. I governanti stabiliscono una moda, e tutti si adeguano alla moda stabilita dai governanti: e correrebbero verso le spiagge marine anche se in realtà fosse inverno e facesse freddo da gelare vivi; entrerebbero nei negozi per comprare i regali di natale da farsi a vicenda anche se in realtà fosse estate e facesse caldo e fosse il tempo di correre verso le spiagge marine e lo svago il riposo e il tanto sole. E così via e così via, non poteva che pensare il Kariboni. In quei giorni di amare riflessioni la vita appariva al Kariboni come un’anticamera del nulla, o meglio ancora come la sala d’aspetto di un ambulatorio medico dove si sta in attesa che dallo studio medico esca il medico a dirci che è ora di morire, o con altre parole come un continuo perdere tempo fino a quando di tempo non c’è più e allora si va a finire in qualche cimitero in disfazione, come cose mai esistite.

Si recavano in quel tempo il Lapizzi e il Manera con frequenza plurisettimanale in visita dal Kariboni, raccontandogli cose tremende sulla protervia dei bambini figli dei ricchi, che adesso ormai li frustavano e tentavano addirittura di dargli fuoco mentre facevano lezione. Ma il Kariboni, pur all’udire di quelle ingiustizie, non riusciva a smuoversi dal suo letto di dolore, perché si chiedeva a cosa sarebbe servito in fondo un corto di protesta e di denuncia se tanto tutti seguivano le mode imposte dai governanti.

In quel tempo, peraltro, la Soundso, poetessa della zona al Kariboni molto cara del cosìcomeanche, aveva portato a termine il suo poema di protesta. E per quanto, come noto, il Kariboni l’avesse cacciata a male parole, lo aveva spedito lo stesso al Kariboni servendosi del comodo e pratico servizio di posta prioritaria. Il Kariboni lesse i primi versi del dattiloscritto, che così dicevano:

Cosìcomeanche
memoria del bosco
cervì in libertà
a tu per tu con la vita
vis à vis con anche di nuovo
la vita
non so non so non saprei
ma se giù
e poi anche
su,
il semaforo,
la lavatrice,
depilando,
ragadi ruspanti rispetti,
ora, era
era ora
ma quando poi
il tavolo
il tinello
in luce cinerea

Al che, non avendo il Kariboni capito niente, pensava il Kariboni stesso che anche sulla Soundso non c’era più niente da sperare, e che se proprio avesse dovuto girare il corto di protesta, doveva girarlo senza chiedere aiuto a nessuno se non forse ai poveri Lapizzi e Manera. Ma in quel periodo di immalinconimenti di più niente aveva voglia il Kariboni. Accadde comunque che un giorno, sul far della sera, levatosi con indicibili sforzi dal suo letto di dolore e nel tentativo di sottrarsi in qualche modo agli immalinconimenti che lo tormentavano, il Kariboni andò a fare un giro nei giardini pubblici in sfacelo della città in sfacelo e lì incontrò una sua vecchia conoscenza, tale Euphrasio Inderbinz Pherlega, comunemente conosciuto semplicemente come Pherlega, un sociopsicoantropologo degli arredi urbani e dei terreni golenali, ormai anziano, che in giovinezza si era occupato di questioni culturali. Nell’ultima luce del giorno vagava il Pherlega come un’anima persa tra i rovi e gli arbusti del giardino pubblico ripensando agli anni della sua giovinezza e maturità, quando la città non era ancora in sfacelo ma anzi prosperava e sembrava avviata ad un futuro di sempre più progresso, mentre lui, il Pherlega, rappresentava una figura eminente negli ambienti culturali della città stessa. Rimuginava insomma il Pherlega, in quel suo vagabondare tra i rovi e gli arbusti del giardino pubblico, sulla sua passata fama di sociopsicoantropologo degli arredi urbani e dei terreni golenali influente negli ambienti culturali della città, e fu di conseguenza molto felice all’apparire del Kariboni, al quale subito pensava di confidare tutte le sue disillusioni e i suoi disincanti di uomo che un tempo contava qualcosa e adesso non contava più niente. E in effetti, non appena il Kariboni gli fu a portata di voce e dopo gli ovvi saluti e convenevoli ecc., cominciava il Pherlega a confidare al Kariboni tutte le sue disillusioni e i suoi disincanti di uomo che non contava più niente. Diceva ad esempio il Pherlega, in quanto esperto di arredi urbani e di terreni golenali, di aver come l’impressione o per meglio dire la certezza che in quella città in sfacelo tutti ormai pensavano soltanto al godimento del sesso, e lo praticavano in maniera bestiale anche con copule multiple e accoppiamenti contro natura e quindi non finalizzati al fine ultimo massimo eccelso sublime della procreazione e riproduzione. Che le aveva anche scritte, queste cose, sul periodico locale che ospitava di tanto in tanto i suoi cosiddetti interventi, continuava il Pherlega, ma senza nessun esito, dal momento che tutti continuavano ad accoppiarsi contro natura e con posture bestiali. Che ai suoi tempi, così ancora il Pherlega con voce di indignazione, non succedevano cose del genere, e che di conseguenza tutto questo andava interpretato come un generale imbarbarimento dei costumi, inevitabile peraltro in una città che il Pherlega trovava si trovasse al grado estremo di degrado. Nel mentre diceva queste e altre cose, sollevava il Pherlega gli occhi verso il cielo invernale in cerca di volatili primaverili, di poi immediatamente berciando contro il fatto che in quella città in sfacelo e degrado neanche più i volatili primaverili allietavano gli sguardi degli abitanti. Che del resto, così ancora il Pherlega nel suo berciare, neanche li avrebbero guardati, dal momento che tutti pensavano soltanto al godimento del sesso praticato in tutte le più sozze posture. L’affermazione del Pherlega a proposito dei volatili primaverili sbigottiva ovviamente il Kariboni, il quale, essendo quella la stagione fredda o invernale, sapeva essere impossibile i volatili primaverili essere in cielo in quanto migrati in paesi più caldi, e stava dunque per prendere la parola facendo notare al Pherlega che i volatili primaverili ecc. quando il Pherlega di repente riprendeva a berciare perché, nel suo sollevare gli occhi nel cielo invernale in cerca di volatili primaverili, aveva notato un cartello stradale divelto e spaccato dalla furia di qualche vandalo al soldo dei governanti porci corrotti. Che quello, così il Pherlega nel suo berciare con voce e timbro di disperazione estrema, era uno dei cartelli stradali più vecchi della città, un ricordo e testimonianza della grandezza e dell’eleganza del passato della città, e il fatto che anche quel cartello stradale fosse in stato di disfazione pareva al Pherlega l’ennesima conferma che l’intera città era in stato di disfazione.

Che bisognava fare qualcosa, continuava il Pherlega, ma non sapeva cosa, dal momento che i suoi interventi ospitati sul periodico locale non ottenevano e sortivano e producevano nessun effetto. Questa città non è più quella di una volta questa città non è più quella di una volta questa città non è più quella di una volta, continuava a ripetere il Pherlega, e così dicendo si allontanava dal Kariboni senza neanche salutarlo e scompariva tra i rovi e gli arbusti del giardino pubblico in sfacelo; quasi metafora, il Pherlega, in quel suo scomparire, del più generale scomparire che tocca in sorte e destino agli esseri umani viventi, che dopo tanti vanti e sbandierature di importanza e perfino di immortalità vagano per i giardini in sfacelo e poi scompaiono senza lasciar traccia, come cose mai esistite. Si potrebbe pensare a questo punto che simili rimuginii avessero contribuito ad acuire la sensazione di malinconia e di inutilità del Kariboni. Ma in realtà essendo tali rimuginii un frutto o un parto mentale non del Kariboni quanto piuttosto di chi sta raccontando la storia del Kariboni, ecco che il Kariboni usciva invece per così dire ringalluzzito dall’incontro con il Pherlega e sentiva rinascere in sé o per meglio dire in quello che si suol definire il proprio intimo un rinnovato desiderio di girare il corto di protesta e di denuncia sociale che avrebbe messo al muro i governanti maiali mostrando la vita dei vivi e dei morti in quella città in sfacelo, e poi anche i cartelli stradali spaccati e divelti e le posture sessuali contro natura e perfino i volatili primaverili che non c’erano, sì, perfino i volatili primaverili che non c’erano, perché a pensarci bene anche il Kariboni non riusciva a capire perché i volatili primaverili non dovessero esserci d’inverno nei cieli sopra la città, perché insomma dovessero migrare a stormi verso luoghi più caldi, essendo anche loro, forse, dunque, degli animali volatili al soldo dei governanti che facevano di tutto pur di togliere ai vivi di quella città la voglia di vivere e gioire della vita stessa.

Mentre pensava e ripensava con grande serietà su quella che tra sé e sé aveva già definito la questione dei volatili primaverili, veniva il Kariboni in un certo qual modo visitato da un’idea che il Kariboni stesso, accompagnandone e salutandone il sopraggiungere, definiva geniale.

Al fine o per meglio dire allo scopo di trovare un aiuto per girare il suo corto di protesta e ribellione, decideva infatti il Kariboni di far visita ad una sua cosiddetta conoscente, tale Anastasia Frattazzi Hinz und Kunz Eberle, di vaghe o presunte origini germaniche, la quale si diceva versata in questioni sociologiche e di studio dei comportamenti degli umani viventi. La Frattazzi Eberle , ricordava il Kariboni, era stata anni prima in un paese sottosviluppato, vale a dire in uno di quei paesi dove si vanno a vedere i viventi che muoiono di fame e di stenti, ed era rimasta talmente colpita dalla visione dei viventi che morivano di fame e di stenti che inizialmente aveva pensato di non più tornare nella città sua che poi era anche quella del Kariboni. In seguito, però, dopo una fase di travaglio spirituale e, come si usa dire, di rovello interiore, era tornata nella città sua e del Kariboni perché, secondo le sue stesse parole, era da qui e non da là che bisognava lottare per quelli che stanno là. Frase che a dire il vero risultava al Kariboni poco comprensibile, un po’ come le già raccontate perdite di fiato del Logorroico, dell’Ascetico e del Mefitico, ma che purtuttavia sembrava celare quantomeno un cosiddetto impegno deciso.

(I – Continua)