Lettere turche/ 1

La leggendaria Lady Montagu tradotta da Barbara Fiore.

di in: Timbuctù

A Lady –.Adrianopoli, 1 aprile 1717

 

Sono ora entrata in un nuovo mondo in cui tutto quanto vedo mi appare un cambiamento di decoro e scrivo a Vostra Signoria, con una certa intima soddisfazione, sperando che possiate almeno trovare nelle mie lettere il fascino della novità e che non mi rimproveriate più di non raccontarvi nulla di straordinario. Non voglio annoiarvi con un resoconto del nostro tedioso viaggio ma non posso omettere quanto di notevole ho visto a Sofia, una delle più meravigliose città dell’Impero turco, e celebre per i suoi bagni caldi che sono frequentati sia per diletto sia per salute. Sono là rimasta di proposito un giorno allo scopo di visitarli. Per andarvi in incognito affittai una carrozza turca. Queste voitures in nulla somigliano alle nostre, ma sono molto più convenienti al luogo dal momento che il calore è tale che i vetri sarebbero di grande fastidio. Sono fatte esattamente al modo delle vetture olandesi, con graticci di legno dipinto e dorato, con anche l’interno dipinto e ornato di cesti e mazzolini di fiori intervallati a piccoli motti in poesia, e rivestite interamente di panno scarlatto foderato di seta spesso riccamente ricamata, e con frange. Panno che nasconde completamente chi si trovi all’interno, ma che si può scostare a piacere così che alle dame sia consentito occhieggiare attraverso i graticci. Le carrozze possono accogliere molto comodamente quattro persone, sedute su cuscini ma non in piedi.

Fu dunque in uno di questi mezzi coperti che verso le dieci del mattino mi recai al bagno. Era già pieno di donne. È una costruzione di pietra a forma di cupola senza finestre se non sul soffitto, il che è sufficiente a rischiararla. C’erano una accostata all’altra cinque o sei cupole, più piccola delle altre la prima che serve solo da ingresso e alla cui porta sta la guardiana cui le dame di rango usano dare il valore di una corona o di dieci scellini, formalità che non trascurai di rispettare. L’ambiente che segue il primo è molto ampio, pavimentato di marmo e vi scorrono tutto attorno due sofà anch’essi di marmo e sovrapposti. C’erano qui quattro fontane di acqua fredda che cadeva in primo luogo in bacini di marmo e poi scorreva sul pavimento in canaletti fatti allo scopo, i quali conducono i rivoli nella stanza successiva, un poco più piccola della precedente, con gli stessi sofà di marmo ma così calda per i vapori sulfurei che provenivano dai bagni che era impossibile starvi con le vesti. Le due altre cupole corrispondevano ai bagni caldi, in uno dei quali rubinetti di acqua fredda hanno lo scopo di riportare il calore alla temperatura gradita alle bagnanti.

Ero in tenuta da viaggio, ossia con un abito da amazzone, e dovevo certo apparire loro assai straordinaria anche se non mi fu mostrata la benché minima sorpresa o curiosità impertinente, ma fui anzi ricevuta con ogni cortese educazione. Non conosco corte europea in cui le dame si sarebbero comportate in modo così garbato verso una straniera. Credo ci fossero in tutto duecento donne eppure non vi fu alcun sorriso sprezzante né alcuno di quegli ironici mormorii che nelle nostre riunioni non mancano mai verso chi si presenti vestito non esattamente alla moda. Non facevano invece che ripetere e ripetere: “Güzelle, pek güzelle”, ovvero “graziosa, davvero graziosa”.

I primi sofà erano coperti di cuscini e ricchi tappeti su cui sedevano le dame mentre dietro di loro, sui secondi sofà, si tenevano le schiave ma senza alcuna distinzione di rango nei loro ornamenti dal momento che tutte erano allo stato di natura ossia per dirla in modo semplice completamente nude, senza nascondere bellezze né difetti; e tuttavia non vi era il minimo sorriso licenzioso o il minimo gesto impudico. Andavano e si muovevano con la stessa maestosa grazia che Milton attribuisce alla nostra comune Madre. Molte avevano proporzioni armoniose quanto le dèe dipinte dal pennello del Guido o del Tiziano, la maggior parte con una pelle di splendente biancore, come unico ornamento avendo magnifiche capigliature divise in numerose trecce intrecciate con perle o nastri, che pendevano sulle spalle, perfetta immagine delle Grazie.

Mi convinsi allora della verità di una riflessione che spesso avevo fatto e cioè che se vi fosse l’uso di andare nudi, si considererebbe meno facilmente il volto. Mi rendevo conto che le dame dalla pelle più fine e dalle forme più delicate avevano la mia più grande ammirazione, anche se il loro volto era spesso meno bello di quello di altre. A dirvi il vero, sono stata così maliziosa da augurarmi segretamente che M. Gervase potesse trovarsi là, invisibile. Immagino che avrebbe perfezionato la sua arte vedendo tante belle donne nude in differenti posture, alcune in conversazione, altre affaccendate, altre che gustavano caffè o sorbetti, e molte che stavano distese con disinvoltura sui cuscini mentre le schiave, in generale piacevoli fanciulle di diciassette o diciott’anni, erano occupate a intrecciar loro i capelli in molti modi aggraziati. È insomma questo il caffè delle donne dove esse si raccontano tutte le ultime nuove della città, in cui inventano scandali e altro. In genere si danno a questo passatempo una volta alla settimana e vi trascorrono non meno di quattro o cinque ore senza prendere freddo, quando passano repentinamente dal bagno caldo alla camera fredda, cosa che mi sorprese molto.La dama che sembrava tra loro la più importante insistette per farmi sedere accanto a lei e volentieri mi avrebbe spogliata per il bagno. Tutte erano così zelanti nel cercare di persuadermi che ebbi difficoltà a rifiutare e fui costretta infine a slacciarmi il corsetto e mostrare il mio busto, cosa che le riempì di soddisfazione perché mi resi conto che pensavano che fossi stata rinchiusa a forza in quell’aggeggio, che non era in mio potere aprire, artifizio che attribuivano al mio sposo. Fui affascinata dalla loro civiltà e bellezza, e sarei stata molto felice di passare più tempo con loro, ma dal momento che Mr Wortley aveva deciso di proseguire il viaggio nelle prime ore della mattina seguente avevo premura di vedere le rovine della chiesa di Giustiniano, la qual cosa non rispose alle mie attese dal momento che si trattava di poco più che di un mucchio di pietre.

Adieu Signora, sono sicura di avervi divertito con la descrizione di uno spettacolo che non vi è mai capitato nella vostra vita e su cui nessun libro di viaggio avrebbe potuto info rmarvi dal momento che un uomo scoperto in questi luoghi sarebbe messo a morte.

 

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A Lady Bristol – Adrianopoli, 1 aprile 1717

 

Dal momento che della Signoria Vostra non ho mai dimenticato il benché minimo volere, la mia prima preoccupazione fu qui di info rmarmi sui tessuti che mi avevate ordinato di cercare senza però aver potuto trovare ciò che avrebbe potuto piacervi. Tanto grande è la differenza nel vestire tra questo luogo e Londra che ciò che si confà ai caftani non si confà ai mantelli. Non interromperò tuttavia la mia ricerca e ancora continuerò a Costantinopoli pur avendo ragione di credere che là non vi sarà nulla di più fine di quanto si trova in questa che è attualmente residenza della corte.

La maggiore delle figlie del Gran Signore andò a nozze pochi giorni prima del mio arrivo e in queste occasioni le dame turche dispiegano tutta la loro magnificenza. La sposa fu condotta alla dimora dello sposo col più grande splendore. Era la vedova dell’ultimo Vizir, ucciso a Peterwardein, anche se sarebbe più giusto parlare di un contratto di matrimonio dal momento che non vissero mai assieme. Tuttavia, la maggior parte delle di lui ricchezze le appartengono. Egli aveva ricevuto il permesso di visitarla nel serraglio e dal momento che era uno degli uomini più belli dell’impero si guadagnò subito i suoi affetti. Quando dunque ella poi vide il suo secondo marito, che ha almeno cinquant’anni, non poté impedirsi di scoppiare in singhiozzi. Egli è un uomo di valore, il musahib, come qui si dice, del Sultano, ossia il suo favorito ufficiale, ma ciò non basta a renderlo attraente agli occhi di una fanciulla di tredici anni.

Il governo è interamente nelle mani dell’esercito e il Gran Signore, pur con tutto il suo potere assoluto, è uno schiavo alla pari di ognuno dei suoi sudditi tanto che basta lo sguardo accigliato di un giannizzero a farlo tremare. Molto più che da noi si dà qui a vedere la sottomissione. Non si parla se non in ginocchio ad un ministro e semmai un commento sulla sua condotta dovesse sfuggire a qualcuno in un caffè, la sua casa sarebbe rasa al suolo (ci sono spie dovunque) e sarebbero probabilmente messi alla tortura tutti coloro che erano presenti. Non c’è qui folla acclamante, non ci sono insensati opuscoli, né dispute politiche nelle taverne:

male che la libertà porta con sé
funesto effetto ma derivante da nobile causa”.

Né alcuna delle nostre innocue ingiurie! E tuttavia, se al popolo un ministro diventa sgradito, nello spazio di tre ore viene strappato perfino dalle braccia del suo signore e gli si mozzano mani, testa e piedi, che vengono gettati con generale approvazione davanti alla porta del palazzo, mentre il Sultano, cui tutti professano illimitata adorazione, se ne sta seduto tremante nei suoi appartamenti senza osare difendere né vendicare il suo favorito. Ecco quale è la beata condizione del più assoluto dei sovrani della terra, colui che non riconosce altra legge se non la sua volontà.

Pur con tutta la lealtà del mio cuore non posso impedirmi di pensare a come vorrei che il parlamento inviasse da queste parti una nave carica dei vostri sostenitori dell’obbedienza passiva acciocché potessero vedere il governo arbitrario nella sua luce più chiara e più cruda, là dove è difficile giudicare se sia più miserando il principe, il popolo o i ministri. Molte riflessioni potrei fare in merito ma so bene, Signora, che il vostro buon senso ve ne ha già fornite di migliori di quante potrei io suggerirne.

Mi recai ieri con l’ambasciatrice di Francia a vedere il Gran Signore nella sua andata alla moschea. Era preceduto da una numerosa scorta di giannizzeri con vistose piume bianche sulla testa, ed anche da sipahi e bostci, ossia guardie a piedi e guardie a cavallo, e dai giardinieri reali, importante corpo di uomini vestiti di bei colori vivaci che da lontano li fanno sembrare aiuole di tulipani. Seguiva l’Aga dei giannizzeri in velluto porpora foderato di tessuto argento, due schiavi riccamente vestiti conducevano il suo cavallo. Veniva poi il Kilar Aga (il quale, come Vostra Signoria sa, è il capo dei guardiani del Serraglio delle donne) in un abito foderato di zibellino, di un giallo denso che faceva assai ben risaltare il suo viso nero e infine Sua Altezza in persona, in verde con interno di pelo di volpe nera moscovita il cui valore si stima a mille sterline, su un cavallo di razza con bardatura tutta ingioiellata. Sei altri cavalli riccamente bardati erano condotti al suo seguito e due dei principali cortigiani recavano in cima a bastoni uno la sua caffettiera d’oro, l’altro la sua caffettiera d’argento. Un altro ancora portava sulla testa un panchetto d’argento perché Egli potesse sedervisi. Sarebbe troppo tedioso descrivere a Vostra Signoria la varietà di abiti e i turbanti, coi quali si indica la distinzione di rango, ma erano tutti estremamente sontuosi e sgargianti. Corteo, in numero di qualche migliaio di uomini, che più magnifico forse non è dato vedere. Il Sultano ci sembrò un bell’uomo sulla quarantina, con un’aria assai gentile ma con qualcosa di severo nell’espressione, dagli occhi molto grandi e neri. Si fermò per caso sotto la finestra dove noi sostavamo e (suppongo gli fosse stato detto chi eravamo) ci guardò con molta attenzione così che avemmo tutto l’agio di osservarlo e l’Ambasciatrice di Francia convenne con me che aveva gran seguito.

Vedo questa dama molto spesso. È giovane e la sua conversazione sarebbe per me di grande sollievo se potessi persuaderla a vivere senza tutte quelle formalità e complimenti che rendono la vita cerimoniosa e noiosa. Ma lei si delizia talmente delle sue guardie, dei ventiquattro valletti, dei gentiluomini uscieri e così via, che preferirebbe morire piuttosto che rendermi visita senza di essi, per non parlare poi di un’intera carrozza di damigelle di compagnia, dette dame d’onore. Ciò che mi irrita è che fin quando continuerà a farmi visita con questo fastidioso equipaggio sarò obbligata a fare altrettanto. Tuttavia il reciproco interesse ci fa stare spesso insieme. Con lei l’altro giorno ho fatto tutto un giro della città in una carrozza dorata scoperta, con i nostri cortei di scorta riuniti e preceduti dalle nostre guardie, le quali avrebbero potuto richiamare la gente a vedere qualcosa che non aveva né avrebbe mai più visto e cioè due giovani ambasciatrici cristiane che mai si trovarono ad essere contemporaneamente in questo paese e che ritengo non si troveranno più ad esserlo. Vostra Signoria può facilmente immaginare che abbiamo attirato una grande moltitudine di spettatori, i quali erano tutti però in un silenzio mortale. Se infatti uno chiunque di essi si fosse preso le libertà che le nostre folle si prendono di fronte a spettacolo strani, i nostri giannizzeri non avrebbero avuto alcuno scrupolo a scagliarsi su di lui con le scimitarre, non correndo loro alcun rischio dal momento che sono al di sopra della legge. E tuttavia hanno anche alcune buone qualità: sono molto zelanti e fedeli come servitori e considerano che è un loro dovere battersi per voi in ogni occasione, cosa di cui ho un divertente esempio a proposito di un villaggio dalle parti di Filippopoli dove ci incontrammo con la nostra guardia personale. Avvenne che io avessi ordinato per pranzo i piccioni e che uno dei miei giannizzeri si precipitasse dal cadi (il funzionario più importante della città) e gli ingiungesse di portarmene una dozzina. Il poveretto rispose che aveva già mandato a cercarne ma da nessuna parte se ne erano potuti trovare. Il mio giannizzero, nel suo grande zelo, immediatamente lo rinchiuse nella sua stanza dicendogli che la sua impudenza nel trovare scuse per non obbedire alla mia richiesta meritava la morte, ma che tuttavia per rispetto verso di me non lo avrebbe punito se non su mio ordine e dunque venne e con grande gravità mi chiese cosa fare, aggiungendo in forma di complimento che se mi avesse fatto piacere mi avrebbe portato la testa del cadi. Ciò può dare un’idea del potere illimitato di questi individui che si sono giurati fraternità e hanno l’obbligo di vendicare le offese fatte a uno chiunque di loro, che sia al Cairo, a Aleppo o in altro luogo del mondo, alleanza inviolabile che li rende così potenti che anche il più importante degli uomini di corte non si rivolge ad essi se non in tono adulatorio e in Asia qualsivoglia ricco che voglia proteggere i suoi beni deve arruolare un giannizzero. Ma ho già detto abbastanza e oso prestare giuramento, cara Signora, che da questo momento potrete tranquillizzarvi perché non vi sarà possibile ricevere prima di sei mesi una lettera altrettanto noiosa. È questa considerazione che mi ha dato l’audacia di intrattenervi tanto a lungo e che mi varrà, spero, cara Signora, le vostre scuse…

[Scelta delle lettere e traduzione di Barbara Fiore, da Lady Mary Wortley Montagu, The Turkish Embassy Letters, Text edited and annotated by Malcom Jack, Virago Press, London 1993]