Speciale Elezioni/ 4

In compagnia del giambico Daniele Ventre e dell'infernale Hieronymus Bosch, ZIBALDONI s'incammina pensosamente verso le prossime elezioni politiche. Sette puntate tachicardiche, popolate di figure grottesche di scrittori politici banchieri, da scandire ad alta voce e in buona compagnia, per purificarsi dalle scorie velenose delle propagande.

di in: Politica poetica

4.

 

Un tempo in una terra senza musica

viveva un cavaliere versolibero:

versificava allegro nel suo angolo

sentendosi un eroe per i coriandoli

scombiccherati sul taccuino piccolo

comprato nella fiera delle favole.

Ma intorno a lui, nel chiuso della camera,

lancette intempestive rintoccavano

con moto alterno di secondi incònditi.

E se talora nelle notti morbide

l’amata gli rendeva in fuochi tiepidi

il prezzo vieto degli amori insipidi,

con disappunto il vate versolibero

da lei sentiva in ritmo alterno i gemiti

sfiorare il buio dei piaceri torpidi.

E nel riposo dell’eroe, posatole

l’orecchio teso in mezzo ai seni liquidi,

non si cullava, il vate versolibero,

al quieto ritmo di respiri e battiti,

ma deprecava quel pulsare isocrono

(e di maniera) in sistoli e diastoli.

E non amava poi che dalle nuvole

piovesse al mondo con fruscio monotono

il dono della pioggia ai campi sterili

cullando piano sul rollio degli alberi

l’odore azzurro della terra umida

e non amava il sempre uguale infrangersi

dell’onda sugli scogli in schiume e vortici

(un vortice non è che un cerchio, sfumano

le spume ai lidi in trine e sinusoidi).

E le stagioni – beffa inenarrabile –

in ritmi sempre uguali ritornavano

e i soli tramontavano e nascevano

le stelle risorgevano e morivano

a un tempo uguale di rintocchi cosmici.

Seccato dallo scorrere monotono

del mondo, il cavaliere versolibero

allora divinò che un incantesimo

stregasse l’universo, costringendolo

a soggiacere a un’ossessione euritmica

ripetitiva, per prodigio orribile.

Allora si risolse, se possibile,

d’allontanare il sortilegio subdolo.

Andò dal Re del regno senza musica,

e lo trovò a ballare fra i suoi nobili

un walzer muto e di maniera facile.

Il cavaliere ruppe l’incantesimo

sfrangiando la sua voce in parole atone

e svelò al Re di quell’inganno livido,

di quell’insulsa diavoleria ritmica.

Lo scaltro Re si accorse del pericolo

e con parole blese e democratiche

al vate comandò l’impresa eroica

(sperando che nel gioco andasse a perdersi).

Il nostro eroe, gasato dall’incarico,

così promise: “Io salverò il mio secolo,

riscatterò la Fantasia stucchevole

dall’orrida palude del post-lirico”.

Così l’eroe si sobbarcò tre carichi

l’impresa e l’armatura e il verso libero

salì sulla sua brenna disarmonica

e salutò l’amata (che fu rapida

per sua virtù e saggezza a liberarsene).

Attento a non tenere un passo rigido

cambiava nella marcia il tempo e il battere

dei passi e degli zoccoli sui basoli.

E corse buie lande e rupi ripide

in cerca d’un rimedio all’incantesimo,

vagò e vagò, finché in un’alba futile

non arrivò dal Genio delle Macchine,

che gli promise di mutare l’abito

delle stagioni e i cicli delle nuvole

“La terra e il cielo: là sta l’incantesimo.

Ti basta un po’ di fumo: insudiciandoli,

stagioni e giorni perderanno l’abito

consueto e il ritmo e il sortilegio subdolo”

E così fu: le macchine sporcarono

la terra e il cielo e le stagioni persero

il vecchio andazzo e il vate versolibero

poté con tutta pace e gloria scrivere

i suoi versetti di denuncia. I battiti

dei cuori in extrasistoli nevrotiche

si persero e i respiri si serrarono

nel groppo dei diaframmi -e nuovi despoti

al posto degli antichi si installarono

con pari orrori e meno senso estetico.

 

[IV – continua]