Il mito di Timbuctù

Presentiamo qui di seguito alcuni brevi estratti dallo "ZiBook" di René Caillié "Viaggio a Timbuctù", edito da "Zibaldoni e altre meraviglie".

L’arrivo a Timbuctù

 

Infine arrivammo a Timbuctù, nel momento in cui il sole toccava l’orizzonte. Vidi dunque la capitale del Soudan che da così tanto era il fine di tutti i miei desideri. Entrando in quella città misteriosa, oggetto delle ricerche delle nazioni civilizzate d’Europa, fui preso da un sentimento di soddisfazione inesprimibile; mai avevo provato una sensazione simile e la mia gioia era estrema. Ma dovetti reprimere i miei slanci: fu a Dio che confidai i miei trasporti. Con quanto ardore lo ringraziai del felice successo con cui aveva coronato la mia impresa! Quante grazie dovevo rendergli per la splendente protezione che mi aveva accordato, tra tanti ostacoli e pericoli che parevano insormontabili!

Ma ripresomi dall’entusiasmo, mi accorsi che lo spettacolo che avevo sotto gli occhi non rispondeva alle mie attese: della grandezza e della ricchezza di questa città mi ero fatto tutt’altra idea. A prima vista offre infatti solo un ammasso di case di terra mal costruite;  dovunque si guardi non si vedono che immense piane di sabbia mobile, di un bianco che vira verso il giallo, e della più grande aridità. Il cielo, all’orizzonte, è di un pallido rosso, tutto nella natura è triste. Vi regna l’assoluto silenzio, non si sente il canto di un solo uccello. Tuttavia vi è un che di imponente nel vedere una così grande città elevarsi sulle sabbie e si ammirano gli sforzi che dovettero fare i suoi fondatori. […]

Andai a stare da Sidi Abdallahi il quale, posso dire, mi ricevette in modo assai paterno. Era già stato avvertito indirettamente dei pretesi eventi che avevano dato luogo al mio viaggio attraverso il Soudan. Mi fece chiamare per cenare con lui: ci servirono un cuscus di miglio molto buono con carne di montone. Intorno al piatto eravamo in sei e mangiavamo con le mani, ma nel modo più conveniente possibile. Sidi Abdallahi non mi pose domande, come invece nella cattiva abitudine dei suoi compatrioti; mi parve dolce, tranquillo e molto riservato. Era un uomo tra i quaranta e i quarantacinque anni, alto circa cinque piedi, grosso e segnato dalla varicella; aveva una fisionomia rispettabile, un modo di fare grave e con qualcosa di imponente; parlava poco e con calma. Gli si poteva rimproverare solo il suo fanatismo religioso.

Dopo essermi separato dal mio ospite, andai a riposare su una stuoia che era stata messa per terra nel mio nuovo alloggio. A Timbuctù le notti sono calde come i giorni e non potei restare nella stanza che mi era stata preparata ma mi stabilii nella corte, ma anche qui mi fu impossibile riposare. Il calore era opprimente, non un soffio d’aria veniva a rinfrescare l’atmosfera; durante tutto il viaggio non mi ero ancora trovato così a disagio.

Il 21 aprile, al mattino, andai a salutare il mio ospite che mi accolse con bontà, poi andai a passeggio nella città per esaminarla. Non la trovai né grande né popolata tanto quanto mi ero atteso; il commercio è molto meno considerevole di quanto viene decantato; non si vede, come a Jenné, la grande moltitudine di stranieri che vengono da tutte le parti del Soudan. Incontrai solo i cammelli che arrivano da Cabra, carichi di merci portate dalle imbarcazioni, qualche gruppo di abitanti seduti per terra su stuoie a conversare e molti Mauri stesi davanti alla porta di casa, che dormono all’ombra. In una parola, tutto emanava una grande tristezza.

Ero sorpreso della poca attività, direi anche dall’inerzia, che regnava in città. Alcuni venditori di noci di cola proponevano al grido le loro merci come a Jenné.

Verso le quattro del pomeriggio, quando il calore fu calato, vidi uscire per la passeggiata molti negozianti negri, tutti ben vestiti, su bei cavalli riccamente bardati: nella paura di incontrare i Tuarik che li avrebbero messi a mal partito, la prudenza li obbligava ad allontanarsi poco dalla città.

Essendo il calore eccessivo, il mercato si tiene di pomeriggio, verso le tre: si vedono pochi stranieri ma vengono spesso i Mauri della tribù di Zaouāt, nei pressi di Timbuctù. Ma in confronto a quello di Jenné il mercato è pressoché deserto.

Si trovano a Timbuctù quasi soltanto le merci portate dalle imbarcazioni e alcune che vengono dall’Europa, come le conterie, l’ambra, il corallo, lo zolfo, la carta, e altro. Vidi tre botteghe in piccole stanze abbastanza ben fornite di tessuti di manifattura europea. I negozianti mettono sulla porta le lastre di sale, che non espongono al mercato. Tutti hanno piccole capanne fatte con picchetti ricoperti da stuoie per proteggersi dal sole ardente.

 

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La città di Timbuctù è abitata da negri della nazione Kissur che costituiscono la maggioranza della popolazione. Anche molti Mauri vi si sono stabiliti per dedicarsi al commercio: li paragono agli Europei che vanno nelle colonie con la speranza di farvi fortuna. I Mauri tornano poi nel loro paese dove vivono tranquillamente. Hanno una grande influenza sugli indigeni, e tuttavia il re, o governatore, è un negro, un principe che si chiama Osman, molto rispettato dai suoi sudditi e molto semplice nelle abitudini, nulla lo distingue dagli altri. Ha un costume simile a quello dei Mauri del Marocco e il suo alloggio non è più lussuoso di quello degli altri commercianti. Lui stesso è un mercante e i suoi figli commerciano con Jenné: è molto ricco dal momento che i suoi antenati gli hanno lasciato una considerevole fortuna, ha quattro mogli e una infinità di schiavi, è un zelante musulmano. […]

Il principe ci ricevette nel centro della corte: era seduto su di una bella stuoia e aveva un ricco cuscino, noi sedemmo a una certa distanza da lui. Il mio ospite gli disse che venivo a presentargli i miei omaggi e gli raccontò le mie avventure. Non capivo la conversazione perché parlavano la lingua kissur. Il re mi si rivolse poi in arabo, e mi pose alcune domande sui cristiani e sul modo in cui mi avevano trattato.

La visita fu breve e ci ritirammo; avrei voluto vedere l’interno della casa ma non ebbi questa soddisfazione. Il principe mi sembrò di carattere affabile: poteva avere cinquant’anni, i capelli bianchi e crespi, di statura normale, una bella fisionomia, il colorito nero profondo, naso aquilino, labbra sottili, una barba grigia e grandi occhi. Il suo abito, come quello dei Mauri, era di tessuto europeo; aveva un copricapo rosso con mussola attorno in forma di turbante, calzature di marocchino simili alle nostre pantofole e fatte nel luogo. Andava spesso in moschea.

Come ho detto, a Timbuctù sono stabiliti molti Mauri che hanno le più belle case della città. Il commercio li arricchisce tutti molto rapidamente: ricevono in consegna merci dall’Adrar e da Tafilet, da Taouat, Ardamas, Tripoli, Tunisi, Algeri, molto tabacco e diverse merci europee che spediscono su imbarcazioni verso Jenné e altrove. Timbuctù può essere considerata il principale deposito di questa parte dell’Africa: viene qui immagazzinato tutto il sale proveniente dalle miniere di Toudeyni, portato da carovane a dorso di cammello. I Mauri del Marocco e di altri paesi che fanno i viaggi dal Soudan restano a Timbuctù dai sei agli otto mesi per fare commerci e aspettare un nuovo carico per i loro cammelli.

Le barre di sale sono legate tra loro con cattive corde fatte di un’erba che cresce nei dintorni di Tandaye, erba già secca quando la si raccoglie. Per utilizzarla, la si bagna, poi si sotterra per ripararla dal sole e dal vento dell’Est che la asciugherebbe troppo rapidamente; quando è impregnata di umidità la si tira fuori e si intrecciano a mano le corde che i Mauri utilizzano in diversi modi.

Spesso i cammelli buttano a terra il loro carico e quando le barre arrivano in città sono in parte rotte, cosa che nuocerebbe alla vendita se i mercanti non prendessero la precauzione di farle riparare dagli schiavi, i quali aggiustano i pezzi e li imballano nuovamente con corde più solide, fatte di cuoio di bue, poi vi tracciano segni in nero, righe, losanghe e così via, lavoro che amano molto fare perché permette di raccogliere una piccola quantità di sale per il loro consumo.

In genere gli uomini di questa classe sono meno infelici qui che in altre contrade: ben vestiti, ben nutriti, raramente bastonati; sono obbligati a praticare i rituali religiosi, cosa che fanno con grande precisione, e tuttavia sono considerati una mercanzia. Li si esporta infatti a Tripoli, in Marocco e in altre zone della costa dove non sono felici come a Timbuctù, che lasciano sempre con rammarico, pur ignorando la sorte che è loro destinata. Quando io ne venni via li vidi farsi addii commoventi, pur non conoscendosi: condividere quella triste condizione suscita un sentimento di simpatia e di reciproco interesse; si raccomandano vicendevolmente di comportarsi bene, ma i Mauri incaricati di portarli via affrettano la partenza e li strappano a quei dolci sfoghi così ben fatti che destano pietà sulla loro sorte. […]

Timbuctù ha una circonferenza di circa tre miglia e forma una sorta di triangolo. Le case sono grandi, poco elevate, solo con il piano basso; in alcune, al di sopra della porta d’entrata viene eretto uno stanzino. Sono costruite con mattoni di forma rotonda, confezionati a mano e seccati al sole; le mura sono simili per altezza a quelle di Jenné.

Le vie sono pulite e abbastanza larghe da far passare tre cavalieri; dentro e fuori si vedono molte capanne di paglia tonde come quelle dei Fulani pastori: sono gli alloggi dei poveri e degli schiavi che vendono merci per conto dei loro padroni.

Vi sono sette moschee, due delle quali grandi, sormontate ciascuna da una torre di mattoni su cui si entra attraverso una scala interna.

Questa città misteriosa che da secoli occupava gli studiosi e sulla cui popolazione ci si formava idee tanto esagerate, così come sulla sua civiltà e il commercio con tutto l’interno del Soudan, è posta in una immensa piana di sabbia bianca e mobile su cui crescono solo fragili e stenti arbusti, come la mimosa ferruginea che arriva al massimo a tre o quattro piedi.

Non ha chiusure, vi si può entrare da ogni parte. Sulla sua cinta si notano alcune balanites aegyptiaca  e, nel centro della città, una palma dum.

 

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Lo ZiBook di Caillié VIAGGIO A TIMBUCUTU’, curato e tradotto da Barbara Fiore, è stato pubblicato in formato EPUB, MOBI, PDF. Si può acquistare qui su ZIBALDONI o qui su AMAZON o su qualsiasi altro store online.

 

Viaggio a Timbuctù