Un altro Novellino/ 4

di in: Un altro Novellino

XXXI. Finezze narrative

Messere Azzolino amava accompagnarsi a un bravo novellatore, che sapeva sempre raccontargli la storia giusta al momento giusto. Un giorno il bravo novellatore aveva gran voglia di dormire, Messere Azzolino, invece, avrebbe voluto ascoltare un bel racconto. Il bravo novellatore incominciò a dire la favola di un contadino che aveva deciso di andare al mercato a comprare pecore per duecento bisanti; al mercato aveva ottenuto una pecora per ogni due bisanti, e al ritorno avrebbe dovuto oltrepassare col suo folto gregge (cento pecore) un fiume che nel frattempo si era ingrossato a dismisura per la pioggia caduta.

Lungo il fiume c’era un pescatore con un burchiello piccolissimo, che a mala pena avrebbe portato il contadino e una pecora per volta. Il contadino allora montò su con la prima pecora e cominciò la traversata, che era dura e disagevole, ma soprattutto lentissima, a causa delle acque agitate e anche perché il fiume era già largo di suo. 
A questo punto del racconto il bravo novellatore si interruppe, e Messere Azzolino prontamente domandò: “Perché non prosegui?”. Il bravo novellatore, insonnolito, anzi già quasi partito del tutto per il mondo dei sogni, rispose: “Messere, lasciamo passare prima tutte quante le pecore, poi vi racconto il resto”.

XXXII. Delle valorose trovate di Riccardo Lo Guercio

Riccardo Lo Guercio era un nobile signore di Provenza, ardimentoso e prode oltre ogni limite. Quando i Saraceni vennero per conquistare la Spagna, si trovò impegnato nella famosa battaglia detta “la spagnola”, che fu la battaglia più spericolata dai tempi dei greci e dei troiani. In questa battaglia c’erano i Saraceni in grande moltitudine e armati con armi temibilissime e paurose, e Lo Guercio si trovò a dover comandare il primo assalto a questi Saraceni.

Che cosa avvenne. I cavalli dell’esercito del provenzale avevano terrore delle armi dei Saraceni e non volevano saperne di avanzare, allora Lo Guercio ordinò ai suoi di voltare i cavalli, di metterli di spalle al nemico e di avanzare a retromarcia verso la battaglia. Così si fece. I cavalli, rinculando rinculando, si trovarono tra le schiere nemiche, e, così facendo, adesso non avevano più la battaglia di fronte, ma ai lati, a destra e a sinistra, e tutti cominciarono a combattere ciascuno sul proprio cavallo, che non temeva più le armi dei nemici semplicemente perché non le vedeva direttamente minacciose in faccia. La battaglia fu vinta senza difficoltà.

Un’altra volta, poi, Riccardo Lo Guercio, quando si combatteva la battaglia tra il conte di Tolosa e il conte di Provenza, smontò dal proprio destriero e salì su un mulo. Tutti lo guardavano, mentre il conte di Tolosa gli domandò: “Perché fate questo?”. Lui rispondeva: “Voglio significare che non sono venuto qui per andare a caccia né per scappare”. E così dicendo dimostrò tutta la sua imparzialità e onestà, perché voleva dire che non stava dalla parte di nessuno, né del cacciatore né della preda.

XXXIII. Da quale parte sta il segno giusto

Messere Imberale, castellano di Provenza, era uomo alquanto superstizioso, non usciva mai di casa né affrontava nuove situazioni senza aver prima fatto una lunga serie di scongiuri e, soprattutto, senza prima aver consultato viscere d’animali, scrutato voli d’uccelli, posto orecchio al fuoco che scrocchia oppure osservato come una donnola attraversa la via.

Cavalcando un giorno con alcuni suoi compagni, faceva, come sempre, molta attenzione a tutti gli indizi che poteva scorgere nel mondo circostante, temendo di imbattersi in qualche segno di malaugurio. Incontra una donna sulla sua strada e le domanda: “Hai visto per caso, questa mattina, aggirarsi per il cielo uccelli del tipo di corvi, cornacchie o gazze?”. E la donna: “Certo, ho visto una cornacchia in un ceppo di salice”. Messere Imberale trasale, ma ha ancora un po’ di coraggio, domandando ulteriormente: “E da che parte aveva rivolta la coda, questa cornacchia?”. E la donna: “Ma dalla parte del culo, Messere!”.

Messere Imberale aveva capito: era quello un chiaro segno di grave malaugurio. Si volse alla sua compagnia e disse: “Meglio tornare indietro al più presto, non è questo il tempo giusto per mettere il naso fuori di casa”. 

Fu così che per lungo tempo si andò raccontando in giro della profonda risposta che era stata capace di dare una donna qualsiasi su una questione tanto difficile, come quella della previsione del destino.

XXXIV. Pensieri troppo pensati accecano

C’erano due cavalieri e si volevano molto bene, uno si chiamava Messere G. e l’altro Messere S.. Un giorno uno dei due si mette a pensare fortemente e nella testa gli gira questa idea: “Messere S. ha un bel palafreno: se io glielo chiedo, me lo dona?”. E si fa pure da sé la risposta: “Certo che me lo dona…, o forse non me lo dona…”. E così rimuginando, tra il sì e il no, alla fine Messere G. deliberò che Messere S. non gli avrebbe mai donato il proprio palafreno.

Con questa convinzione, venne un giorno a incontrare l’amico, e gli si mostrava corrucciato, con un aspetto quasi ostile, perché quel pensiero che aveva fatto l’aveva turbato. Anzi, ogni giorno che lo incontrava, il suo cruccio era come se aumentasse, rendendolo sempre più scontroso e taciturno col compagno. Arrivò al punto che quando Messere S. passava per strada, egli neanche gli volgeva lo sguardo, neanche lo salutava. Tutti quanti si meravigliavano molto di questo comportamento, ed egli stesso, a dire il vero, se ne meravigliava fortemente.

Allora un bel giorno, questo amico del nostro pensatore, non potendone più, gli domandò: “Perché mi eviti, perché sei così crucciato?”. Messere G. rispose: “Perché ti ho chiesto in dono il palafreno e tu me l’hai negato”. “Ma non è vero!” – esclamò Messere S. – “Come puoi sostenere una menzogna del genere? Tu sei il mio più caro amico, e il palafreno, come la mia stessa persona, sono tuoi, perché io t’amo più di me stesso!”. Soltanto adesso Messere G. si rendeva conto di aver esagerato con le sue supposizioni, e volle immediatamente fare la pace con colui che davvero era il suo amico migliore.

XXXIV. bis Ricordati che devi morire

Ci fu un Frate Predicatore molto saggio che aveva un fratello che stava per partire e andare in guerra. Questo suo fratello andò al suo cospetto per consiglio e per parlare con lui prima di partire. Il Frate Predicatore così gli diceva: “La battaglia che ti accingi a combattere è giusta per il tuo Comune, quindi va’ e non ti crucciare, perché in ogni caso, un giorno, da qualche parte, dovrai morire”.

XXXV. Dimostrazione sperimentale

Maestro Taddeo di Bologna, leggendo ai suoi discepoli un testo di medicina, diceva che se uno avesse mangiato per nove giorni consecutivi melanzane, sarebbe diventato matto. E adduceva sostanziose prove che prendeva dalla Fisica.

Un suo discepolo volle provare questa affermazione e si mise a mangiare melanzane per nove giorni di seguito, quindi si recò da Maestro Taddeo e gli disse: “Eccomi qua, ho mangiato melanzane per nove giorni, ma non sono diventato matto”. E, detto ciò, si calò le braghe e mostrò il culo. Il Maestro, allora, rivolgendosi ai suoi discepoli, fece annotare queste parole: “Tale episodio costituisca nuova chiosa con cui è dimostrata sperimentalmente la provenienza della pazzia dalle melanzane”.

XXXVI. L’idolo sul petto

Ci fu una volta un Re crudelissimo che perseguitava il popolo di Dio. Ma tanto grande era la sua potenza quanto invincibile era il popolo di Dio, in virtù dell’amore che Dio stesso gli portava.

Il Re crudelissimo si rivolge un giorno al profeta Balaam, chiedendo consiglio sulla condotta da tenere. Balaam gli risponde che sarebbe andato su un monte e avrebbe maledetto quel popolo, dopodichè il Re avrebbe finalmente dato battaglia e ottenuto vittoria.

Si avviava Balaam a salire sul monte che sovrastava la piana nella quale era il popolo di Dio, ma l’Angelo del Signore subito gli sbarrava la strada, dicendogli: “Perché mai vuoi maledire il popolo di Dio? Va’ in  su, ma benedici quelli che hai in odio, altrimenti sarai morto in breve!”. Balaam, atterrito, giunto in cima, benedisse il popolo di Dio e al Re crudelissimo che stupefatto domandava: “Perché benedici?”, rispose: “L’Angelo del Signore me l’ha ordinato, ma io ora ho meditato un altro consiglio: prendi uno stuolo di bellissime donne e poni loro sul petto, tra i vestiti sgargianti, una spilla con l’idolo tuo, Marte, che vorresti che loro adorassero. Quindi inviale presso il popolo di Dio; gli uomini non resisteranno e vorranno avere le donne, che però si concederanno soltanto a patto che essi venerino l’idolo tuo”.

Il Re crudelissimo eseguì il consiglio di Balaam e inviò le donne con l’idolo sul petto. Gli uomini desiderarono le donne e le donne si concedettero soltanto a coloro che accettarono di adorare Marte. A questo punto, senza alcun ostacolo o intercessione da parte divina, intervenne Balaam a maledire il popolo di Dio, che aveva rinnegato la propria fede, e il Re crudelissimo poté finalmente ottenere grandi vittorie e fare grandi stragi, uccidendo anche molti innocenti, ovvero uomini che non avevano accettato l’inganno delle donne con l’idolo sul petto.

Alla fine, gli uomini che avevano peccato si pentirono e fecero ammenda delle loro azioni lussuriose, cacciarono via le femmine e si riconciliarono con Dio; e soltanto in questo modo poterono riconquistare la loro libertà.

XXXVII. Il nemico di Dio perisce per mano dei nemici di Dio

C’erano in Grecia due Re, uno molto più potente dell’altro. Un giorno si affrontarono in aperta battaglia e quello più potente si trovò a soccombere. Tornato al suo castello non riusciva a farsi una ragione di quella sconfitta, e gli sembrava quasi di stare vivendo in un sogno: il suo esercito era tre volte più numeroso e potente di quello del suo avversario, come era potuta accadere una cosa simile?

All’improvviso l’Angelo di Dio gli si presenta e dice: “Come stai? Cosa stai pensando? Tu non stai sognando, sei proprio stato sconfitto!”. E il Re: “Ma io avevo soldati tre volte più numerosi dei suoi!”. E l’Angelo: “Eppure hai perso, perché sei nemico di Dio”. E il Re: “Invece il mio nemico sarebbe tanto amico di Dio al punto da riuscire a sconfiggermi?”. E l’Angelo: “No, neppure lui è amico di Dio; ma Dio fa perire il suo nemico per mano dei suoi nemici. Ora tu torna da quell’altro Re e affrontalo senza timore, perché lo vincerai come egli ha vinto te”.

Il Re così fece. Andò e combatté nuovamente col suo nemico, lo sconfisse e lo fece prigioniero, così come l’Angelo aveva preannunciato.

XXXVIII. Tieni mente ai piedi e poi alle stelle

Un tale Melisus, grandissimo saggio e dotto in molte scienze (soprattutto in astrologia, come è scritto nel De Civitate Dei), trovandosi una notte ad andare in giro in cerca di un albergo, trovò ospitalità presso una giovane donna. Prima di andare a letto le disse: “Lasciami aperto l’uscio di casa, perché di notte devo alzarmi e andare a osservar le stelle”. La giovane donna ubbidì.
Quella notte piovve moltissimo, e davanti casa c’era una fossa che perciò subito si riempì d’acqua. Quando il saggiò si alzò per uscire, vi scivolò dentro e cominciò a gridare: “Aiuto, aiuto!”. La donna accorse e domandò: “Che succede?”. E quello rispose: “Sto affogando, aiutami a uscire!”. E la donna: “Ma come, sei capace di scrutare chissà quali segreti nelle stelle, e non riesci a tenere mente a dove metti i piedi?”. Quindi si chinò, gli tese la mano e lo aiutò, altrimenti sarebbe morto in quella fossa colma d’acqua, per esser stato poco previdente, il pur grande e dottissimo saggio Melisus.

XXXIX. Non desiderare la roba d’altri

Il Vescovo Aldobrandino, ai tempi in cui reggeva il vescovado di Orvieto, si trovava un giorno a pranzo con molti frati minori, e tra questi ce n’era uno che stava seduto placidamente e si mangiava una grossa cipolla con appetito e piacere infiniti. Il Vescovo chiamò un garzone e gli ordinò: “Va’ da quel frate e digli che io volentieri cambierei il mio stomaco con il suo”. Il garzone andò e riferì. Il frate mandò questa risposta: “Sono sicuro che fareste cambio di stomaco, ma sono ancora più sicuro che non fareste mai cambio di vescovado”.

XL. Esse est percipi

Saladino si trovava un giorno in Sicilia a tavola con uomini di corte, e un servitore con l’acqua stava passando tra i convitati – quando ecco che un uomo dice al Saladino: “Lava la tua bocca, non le tue mani”. E Saladino rispose: “Ma signore, io oggi non ho mica parlato di voi!”.

Dopo pranzo, si andava tutti in giardino a passeggiare – quando ecco che un altro dice al Saladino: “Se ho una novella da raccontare, a chi devo dirla?”. E Saladino rispose: “Dilla a colui che ti sembra il più matto degli uomini”. Al che tutti domandarono ulteriori spiegazioni, e Saladino rispose: “A un matto tutti i matti sembrano saggi perché gli somigliano, e quindi il più matto di tutti gli sembrerà proprio colui che invece è il più saggio. Capite ora?”.

Ma forse con questa risposta il Saladino voleva anche dare a intendere al suo interlocutore di considerarlo non proprio, e non sempre, uno stinco di… saggio.

 

(IV – continua)