Raccontare la felicità

Friedhelm Rathjen tradotto da Elisa Perotti

di in: Bazar

“Racconta la felicità!”.

La felicità?

“Racconta la felicità. Pensa alle minuzie. Pensa al risveglio. Alla colazione. A una passeggiata.

Pensa a tutto. Racconta la felicità”.

La felicità. È presto quando mi sveglio. Tutto è ancora umido. Fuori. Nebbia. Mi sveglio dal mio sogno. Alquanto confuso. E ho bisogno di tempo per rendermi conto che sono solo. Sì.

Il sogno. Sono rimaste due immagini. Due immagini. La testa di lei sul mio ventre. A lungo. E poi: la testolina sul ventre di lei. Due immagini. A lungo. Sì.

Fuori è tutto umido. Sono sveglio. E sono solo. Sì.

Lavarsi sotto la pompa. Senza di lei. Pompare l’acqua col braccio sinistro, lavarsi con la mano destra. E viceversa. Sì.

Colazione. Sì.

L’uovo sodo. Il burro morbido. Il pane vecchio. Il latte, acido. La salsiccia è finita. Il formaggio.

Colazione. Da solo. Sì.

Esco. Fa già caldo. I contadini mungono. Lo starà già allattando. Sì.

La passeggiata. Da solo. Le allodole sui campi, come in primavera. I primi campi di stoppie già arati, come in autunno. Le more sono già nere e hanno ancora un sapore acido. La terra è secca.

Le scarpe si impolverano. Sento la foto bruciare nella tasca dietro. Lei in inverno. Sì.

Il termos è difficile da aprire. Fette di pane, spalmate solo di formaggio. E poi le vespe. Non inghiottirne nessuna. Paura delle punture. Sì.

Il pisolino. Non per stanchezza. Per noia. Sì.

Ore, fino a sera. Sì.

Il sole tramonta tardi. Poi la finestra illuminata tra i rami del castagno. Dietro la tenda vedo, indistinta, la ragazza. Morbida nella luce tenue. Svestirsi. Morbida. Calda e morbida, vicina come per miracolo, come un miraggio lontana. Va alla finestra a guardare la luna. Solitaria. Questa è la felicità.

“No. Riprova , da capo”.

Da capo. La felicità. Sì.

Mi svegliai per primo. Mi svegliai dal sogno di lei. Il mio corpo accanto al suo. Il respiro regolare. Le mani aperte. La guardai a lungo, mentre dormiva accanto a me. I capelli. Fini e a ciocche. La bocca leggermente aperta. Poi il seno, che si alzava e abbassava a intervalli costanti. Il seno. Era già diventato più pieno. Più sodo. Più grande. Sì.

Si svegliò quando le accarezzai le gambe. Dapprima turbata. Poi mi sorrise. Sì. Fuori albeggiava. E poi udimmo un cuculo. Il primo. Sì.

Dovetti pomparle l’acqua con un certo vigore. L’acqua sul suo corpo. Il sapone. Poi l’asciugamano. Sì.

Fare colazione con lei. Aveva preparato la tavola mentre mi lavavo. Il latte caldo fumava sul gas. Latte caldo e miele. Le sbattei l’uovo. Preferiva che lo facessi io. Lei tagliò il pane. Sì.

Mano nella mano con lei sul sentiero tra i prati. La rugiada imperlava i fili d’erba. La nebbia evaporava fredda. Le allodole. I suoi capelli rilucevano leggeri al sole ancora basso. Pozzanghere sulla strada.

Girammo attorno alle pozzanghere. Lei da una parte, io dall’altra. Senza lasciarle la mano. Sì.

Un caffè d’orzo caldo nei bicchieri di carta. Aveva portato i cetrioli sott’aceto. Sì.

Nel primo pomeriggio il sole era caldo e rinvigorente. Era coricata accanto a me sotto ai primi cespugli verdi.

La mia mano sulla sua pancia. La convessità morbida e calda si disponeva in modo irregolare, e ne avvertivo i movimenti. L’ombelico era diventato piatto. La pelle tesa. Sì.

Presto fu sera. Sì.

Noi due nel suo letto caldo. Aveva un po’ di nausea. Restò immobile. Le accarezzai i capelli. Il seno. Le gambe. E la pancia, di continuo. Mi sorrise. Solo un po’. Spensi la luce. Restammo immobili. Ci addormentammo così. Questa era la felicità.

“No. Riprova un’altra volta”.

Un’altra volta la felicità. Sì.

Saremo di nuovo insieme. Io con lei. Noi con lui. Sì.

Sarà presto quando ci sveglieremo. Per gli strilli. Per i suoi strilli. Sarà ancora buio. Forse. Lei andrà da lui. A prenderlo. Nel letto con noi. Farò loro spazio. Noi insieme nel letto. Sì.

Dovrò pompare l’acqua. Con un certo vigore. La porterò. Nel secchio. La sua acqua. Lei metterà il paiolo sul fuoco. Il suo bagnetto. Sì.

Il tavolo della colazione. Lo preparerò. Lui attaccato al seno. Le servirò il latte caldo. Taglierò il pane. Lei sarà il conforto. Il suo conforto. Sì.

Prediligeremo le strade agevoli. Spingeremo a turno. La carrozzina. Dormirà. Forse. O piangerà. O riderà.

Parleremo. O resteremo in silenzio. Per terra ci saranno le foglie. Foglie rosse. Foglie marroni.

Gialle.

Fogliame. Campi neri. Ci alterneremo a spingere. Sì.

Nel termos ci sarà il tè. L’infuso di erbe. Per lui. Il latte caldo del seno. Il viso sorridente.

Avvolto nella coperta. Sì.

Veglieremo sul suo sonno. Insieme. Sì.

Si farà sera. Presto. Rosso scuro dietro ai rami. Sì.

Saremo sfiniti. Sfiniti a letto. Parleremo a lungo. Rifletteremo a lungo insieme. Starò ad ascoltarla. La testa di lei sul mio ventre. Le accarezzerò la testa. Parlerà di lui. Di noi. Starò ad ascoltare. Lui crescerà. Dormirà.

Tranquillo. Questa sarà la felicità.

“No. Riprova , da capo”.

Di nuovo da capo. La felicità. Sì.

Sarebbe dovuto restare tutto così. Forse. Avrei potuto accontentarmi.

Le cose sarebbero potute andare avanti così. Io da solo. Svegliarsi al freddo. Al buio. Dal sogno. Dal suo sogno. Lei. Sì.

Il freddo dell’acqua. La durezza del buio fuori. La durezza della luce dentro. Sì.

Il calore della colazione. Pensando a lei. Sì.

Il respiro nell’aria fredda. Le impronte sulla neve. Le uniche in vista. Dietro di me. Davanti a me la neve intatta. Sì.

Mangiare con i guanti. Con i piedi gelati. Sì.

Pensare a lei. Sì.

La via del ritorno. I passi nelle orme di prima. Sì.

A letto da solo. Con l’immagine. La sua immagine. Da solo. Sarebbe potuto restare tutto così.

Pensare a lei.

Pensare ai sogni di lei. Addormentarsi. Nel letto caldo. Da solo nel letto caldo. Caldo e morbido nel mio letto.

Da solo. L’aria fredda sul volto. Il sudore del corpo. Da solo a sognare di lei. Fiacco. Mai oltre.

Mai più. Il presentimento dei suoi pensieri. Delle sue lacrime. Dei suoi sogni. L’immagine della finestra illuminata. Luce dalla finestra velata dalla tenda. Sagoma indistinta. Sarebbe potuto restare tutto così. Da solo con la rinuncia. Da solo. Questa sarebbe potuta essere. La felicità.

“Forse”.

 

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Friedhelm Rathjen

di Domenico Pinto

 

Friedhelm Rathjen nasce a Scheeßel nel 1958. Dopo gli studi di germanistica e anglistica inizia a lavorare come critico letterario, collaborando a Die Zeit e alla Süddeutsche Zeitung. Ha tradotto autori quali James Joyce, Herman Melville, Anthony Burgess e Gertrude Stein. In quest’ambito la sua versione di Moby Dick ha innescato forti prese di posizione: le precedenti traduzioni tendevano ad appianare la complessità linguistica del romanzo, mentre la scommessa formale di Rathjen prevede l’incollatura a Melville, il cui inglese, definito “mad, though not necessarily bad”, è vòlto in un tedesco folle che molto si avvicina allo stile del testo fonte. In qualità di studioso di letteratura, Rathjen si è occupato soprattutto di James Joyce, Samuel Beckett e Arno Schmidt. Grande fortuna hanno avuto le sue biografie di Joyce e Beckett, edite da Rowohlt Taschenbuch Verlag. Nell’autunno del 2007 è uscito Vom Glück (La felicità), volume che comprende brevi prose scritte dal 1983 al 1989, pubblicato da ReJoyce,casa editrice di sua proprietà senza scopo di lucro, presso la quale sono apparsi numerosi saggi, esempio forse unico, in Germania, di editoria da tavolo di alto livello. Il racconto presentato qui è tratto da questa raccolta.