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La Gipsi/ 4

di in: Captaplano (0)

Con il 1994 si chiudono gli anni Novanta, diceva la GIPSI che aveva vent’anni nell’Ottantanove, e che con le letture furenti e gli amori universitari aveva di già terminato la propria formazione. Anche per il mondo l’appuntamento a qualcosa di nuovo daterà 11 settembre 2001.

Succede qualcosa: l’orco e la vittima dietro di me si fanno sempre più lontani, come ci fosse un nastro trasportatore in moto sotto la fanghiglia, e infine scompaiono sotto il pelo dell’acqua. Forse non erano che proiezioni, o forse dovrei già cominciare a ridere perché sta arrivando il finale della barzelletta.

Mi sveglio in camera mia. Mi metto a pulire il pavimento con una scopa di paglia. Ricordo quando ho comprato quella scopa, e nello stesso tempo so di non aver mai avuto una scopa di paglia. Il giallo dei suoi fili e l’arancione e il verde dei cordini che li tengono insieme sono l’unico colore nel grigio della penombra. Sotto il calorifero, tra il pavimento e le pareti della stanza corre un distacco di un paio di centimetri, da cui indovino il piano inferiore e ancora più sotto le profondità del palazzo in cui vivo, le sue tubature e i suoi ingranaggi, giù fino al fango rovente del centro della Terra.

Non che altrove altri edifici come quello non avessero e non abbiano i loro sotterranei, ma già ai tempi dell’Istituto ci si era accorti che i locali, per un capriccio del caso o per chissà quale occulto disegno, erano stati infettati dalla “madrepora”.

La donna con la roncola si arrampica su un albero e con un colpo secco della lama decapita uno scoiattolo. È, a quanto è dato sapere, la prima morte filmata da Adra. La cinepresa non riesce a cogliere gli ultimi istanti di vita dell’animaletto, il rigirarsi spaesato degli occhi ormai separati dal corpo, il tremore di una zampina, l’accovacciarsi innaturale e un po’ esilarante del corpo decapitato.

E anche molti dei morti cui erano appartenuti i vestiti che ingombravano la macchina in cui vivevano le due sorelle e la bambina con il frac erano riemersi da dove erano stati sepolti. E una sera la bambina aveva trovato le due donne davanti a un albero. Avevano catturato uno zombi e l’avevano appeso a testa in giù al ramo di un albero morto.

La GIPSI/ 3

di in: Captaplano

Avevamo già detto della tradizione letteraria che mette in luce la nevrosi della prole in famiglia. A fronte di un atteggiamento Genitoriale (“io sono ok, tu non sei ok”) piuttosto indebolito dei propri genitori, ma pur intrinseco al ristagnare della GIPSI, questa mostra una postura di Bambino (“io non sono ok, tu sei ok”) alquanto aggressiva.

A volte si fermavano più del dovuto nelle case dei morti, anche dopo averli liberati degli stracci e averli sistemati magari in poltrona, o sdraiati in corridoio, bianchi come cittadini di Eden fiamminghi mezzo disciolti dall’uragano di calore dell’ininterrotta estate austroamazzonica di Schwarzschwarz.

Prima di andarsene, mi ha anche detto che all’inizio gli era sembrato che fosse tutto a posto, e che si era fermato a parlare con me solo perché i guanti bianchi gli erano scivolati fuori dalla tasca; e anche perché, lì per lì, gli ero sembrata bella.

La GIPSI/ 2

di in: Captaplano

La GIPSI non trova apprezzamento nelle soggettività che la circondano e da parte sua non apprezza quelle soggettività: ciò fa sì che il discorso torni sempre sulla propria diversità, mitizzandola.

L’indio fischiava e sospirava come un uccello trafitto, agitava le sue fronde di piume distogliendomi dal naufragio, e il riso mi aveva così scavato fin nel più intimo delle viscere che mi era impossibile fischiare e salvare il mio fratello ferito al cuore. Mi sono tirato su, esilarato dalla morte dell’indio, ho incrociato le gambe e senza che dicessi nulla l’indio mi ha consegnato il suo tamburo.

Quando la fame o il caldo sono molto forti, il capitano inventa ragioni più fantasiose: dice di aver sentito le sirene, e che le sirene gli hanno rivelato che la secca è solo un’illusione, l’intera nave non è altro che un sogno, e non deve preoccuparsi di nulla. Quando pensa alle sirene, il capitano diventa molto pericoloso: è in quei momenti che ha cercato di uccidere Gianni Sherwood.

L’estraneo si era sistemato vicino al corridoio del vagone proprio sull’angolo opposto rispetto a quello dove stava il giovane, e il giovane poteva vederlo nel riflesso trasparente del finestrino, e così, ancora ignaro di quale terribile orrore quell’incontro avrebbe portato nella sua vita, ebbe il comodo di considerare il nuovo venuto dalla testa ai piedi, senza parere sfacciato.

Come che fosse, lampadari o non lampadari, nel corso degli anni era potuto capitare, a chi nella bella stagione passasse per i rioni in cui Sommariva abitava, di incappare in un corpo riverso nelle vicinanze di un muro di gelsomini, come all’inizio di un buon vecchio mistery inglese.

“La voce di S. quando ronzava la nota sotto l’influsso della vibrazione della motocicletta che aveva finito per fondere insieme lei e suo padre non era la voce che S. aveva di solito, e non le era mai stato possibile ripetere quel suono a casa o in qualunque luogo che non fosse la motocicletta nera di suo padre che saliva verso il lago”.