Primo Levi, Heinz Riedt e i tedeschi

Il carteggio con Heinz Riedt di Primo Levi, pubblicato da Einaudi e recensito da Walter Nardon per "ZIBALDONI".

Il fascino di un carteggio, quando nasce intorno a un progetto comune e non da un rapporto pregresso, sta nelle forme e nei modi più o meno complementari che l’intesa dei corrispondenti assume nel tempo, rivelando fin da subito qualcosa delle loro vite.  Il carteggio con Heinz Riedt di Primo Levi, sorto in virtù della traduzione tedesca di Se questo è un uomo e pubblicato da poco da Einaudi grazie alle eccellenti cure di Martina Mengoni, è uno di questi scambi epistolari: comincia all’insegna di un’affinità inattesa e sopravvive agli impegni editoriali trasformandosi in un’amicizia.

Come è noto, dopo il discusso rifiuto di Se questo è un uomo da parte di Einaudi, Primo Levi pubblicò il libro nel 1947 presso l’editore De Silva, con un successo modesto. Nel frattempo era tornato al lavoro di chimico. Negli undici anni che trascorsero prima della seconda edizione del libro, ampliò e rivide il testo, svolse qualche traduzione tecnica, ma dal punto di vista culturale non fu tenuto in particolare conto. Un giudizio redazionale su di lui dell’editore Einaudi – riprodotto da Martina Mengoni e redatto probabilmente da Paolo Boringhieri nel 1952 o ‘53 a seguito di un’ottima traduzione tecnica di Levi – lo relega nel limbo di un’affidabilità senza sorprese. Ne riprendo una parte: «Conosce l’inglese, il tedesco e il francese e la letteratura tecnica di queste lingue. Il suo noto libro Se questo è un uomo dimostra la sua capacità di scrivere bene» (p. VI). Il clima della ricostruzione non era il più adatto a comprendere l’esperienza di un sopravvissuto ai campi di sterminio. Martina Mengoni cita in proposito il famoso racconto di Bassani Una lapide in via Mazzini, dove Geo Josz di ritorno da Buchenwald osserva la posa della lapide che riporta i nomi degli ebrei scomparsi, fra i quali anche il suo. A ben vedere, per Bassani il problema che il reduce Geo vive quotidianamente non è solo effetto della coazione a ripetere la sua storia spettrale – come il marinaio di Coleridge – ma è ancor più lo sconcerto e poi lo scandalo che provoca ignorando di proposito le convenzioni sulle quali si sta aprendo una stagione di ripresa. I concittadini ferraresi gli rimproverano la mancanza di pazienza, il non saper contare sul tempo «che aggiusta molte cose di questo mondo [e che] avrebbe alla fine calmato anche lui». Ma per chi era tornato da Buchenwald, o da Auschwitz, il richiamo allo scorrere del tempo e alla ripresa poteva suonare grottesco e avrebbe potuto perfino indurre – come suggeriscono le ultime frasi del racconto di Bassani – a un urlo furibondo, disumano.

Ampliato e rivisto, Se questo è un uomo apparve finalmente da Einaudi nel maggio del 1958: e arrivò il successo, con la pronta richiesta di traduzione in inglese. L’anno dopo l’editore Fischer propose di tradurlo in tedesco e la ricerca di un traduttore fece entrare in scena Heinz Riedt. Di lui si conosceva già il ritratto che Levi ne diede, uno dei medaglioni nel capitolo Lettere di tedeschi nei Sommersi e i salvati. La scoperta di due curricula di Riedt e di due investigazioni su di lui da parte della Stasi (negli anni in cui visse nella DDR) – insieme alle informazioni offerte da Riedt in una lunga intervista – hanno permesso a Martina Mengoni di definirne più marcatamente il profilo. Coetaneo di Levi, cresciuto in Italia fra Napoli e Palermo al seguito del padre diplomatico, studente di Diritto e Scienze Politiche, soldato della Wermacht, riformato grazie a un espediente, borsista a Padova, partigiano della Resistenza veneta, cittadino della Repubblica Democratica Tedesca (a Berlino Est) e poi fuggitivo con la famiglia nella Germania Ovest. Studioso e traduttore di Goldoni. Traduttore di Ruzante, di Pinocchio e di Manzoni, Pirandello, Calvino, Gadda, Fenoglio e D’Arrigo.

Riedt non aveva una vocazione esigente come quella di Levi, che sublimava il vuoto doloroso in una severa attitudine espressiva a cui la formazione piemontese aggiungeva un senso della misura particolarmente sorvegliato; per ragioni economiche il traduttore era costretto ad accettare incarichi diversi: si occupava anche di riduzioni teatrali e radiofoniche, con qualche sfortunata esperienza come sceneggiatore cinematografico. Lo scambio ebbe modo di crescere su queste forme espressive, che interessarono anche Levi.

Venendo al libro, fin dalle prime lettere risulta chiaro che il traduttore non dispone di una ricca rete di relazioni: anzi, talvolta alcuni incontri si rivelano palesemente infelici. Ma Riedt non si perde d’animo, né si lamenta, se non per brevi cenni, lasciando la ricostruzione della vicenda all’intuizione dell’interlocutore. I riferimenti comuni, l’aver militato entrambi nelle brigate partigiane di «Giustizia e Libertà», li affratella in un dialogo che si sviluppa sui problemi lessicali di un libro sconvolgente che racconta una vicenda vissuta in tedesco, scritta poi esemplarmente in italiano e che ora reclama di ritornare nella lingua del suo contesto originario. La ridefinizione di questo contesto comporta a più riprese una filologia dell’orrore. Ecco due esempi.

«Le “selezioni” come venivano chiamate in tedesco? È un problema di traduzione insolubile per uno che non abbia avuto esperienza di Lager», chiede Riedt l’11 settembre 1959. Levi risponde il 21 settembre: «”Selezioni”: forse sotto l’influsso del polacco selekcja, si dicevano generalmente Selektionen; era però anche usato il termine Aussonderung».

Ancora, il 20 novembre dello stesso anno, Riedt chiede: «”Mucchio di cadaveri rovinava fuori dalla fossa”; forse nel senso di “straripava”?». E Levi, otto giorni dopo: «Certo, “rovinava” è qui nel senso di “straripava”; ma il verbo, appunto per analogia con “rovina”, ha in sé un colorito tragico. Il mucchio di cadaveri era ormai così alto da crollare, da non stare più in equilibrio».

Concluso il lavoro di revisione del testo, il 13 maggio 1960 Levi scrive a Riedt una lettera-bilancio del suo rapporto con i tedeschi, una pagina della quale sarebbe stata usata come introduzione alla versione tedesca di Se questo è un uomo, suscitando varie risposte dei lettori. Levi ricorda l’esperienza del lager, un’«importante avventura, che mi ha modificato profondamente, mi ha dato maturità ed una ragione di vita» e per questo è contento di rivolgersi ai tedeschi per dire «sono vivo, e vorrei capirvi per giudicarvi»:

Sono sicuro che Lei non mi ha frainteso. Non ho mai nutrito odio nei riguardi del popolo tedesco, e se lo avessi nutrito ne sarei guarito ora, dopo aver conosciuto Lei. Non comprendo, non sopporto che si giudichi un uomo non per quello che è, ma per il gruppo a cui gli accade di appartenere. So anzi, da quando ho imparato a conoscere Thomas Mann, da quando ho imparato un po’ di tedesco (e l’ho imparato in Lager!), che in Germania c’è qualcosa che vale, che la Germania, oggi dormiente, è gravida, è un vivaio, è insieme un pericolo e una speranza per l’Europa.

Un vivaio, un pericolo e una speranza. In questo brano si incontrano due temi che ricorrono anche negli anni successivi del carteggio, l’insopprimibile necessità di Levi di capire i tedeschi, viva al punto che, anche molto più tardi, nell’ultima lettera del libro (novembre 1968), venuto a sapere della morte di un tecnico della fabbrica di gomma dove aveva lavorato ad Auschwitz, si rammarica perché «forse mi avrebbe aiutato a capire qualcosa». Dall’altra parte, invece, la sua profonda convinzione di appartenere alla cultura europea – come scrive in un passo poi cancellato – la civiltà che ha promosso il riconoscimento di diritti universali, eppure sempre foriera di incomprensioni e di conflitti. Pubblicato il libro, arrivano le lettere dei tedeschi, che gli scrivono da posizioni diverse e su cui rifletterà nei Sommersi e i salvati: giovani, anziani, «gente in ribellione contro il passato, altri in una posizione visibilmente ambigua». Levi risponde a ogni interlocutore. A questa rete epistolare Martina Mengoni ha dedicato il progetto LeviNet, che ha ottenuto il prestigioso finanziamento dell’European Resarch Council (ERC Starting Grant). Al portale www.levinet.eu, si troveranno riprodotte in edizione digitale in due lingue le lettere scambiate da Levi con interlocutori tedeschi e germanofoni, in un dialogo a distanza i cui temi restano di estremo rilievo. In questi mesi a Torino (Palazzo Madama) una mostra dal titolo «Giro di posta», curata da Domenico Scarpa, offre numerosi stralci sui carteggi tedeschi di Levi.

Il libro testimonia il primo incontro di Levi e Riedt il 6 e il 7 agosto del 1961 a Ettal, presso il Lago di Costanza. La circostanza si fa d’un tratto drammatica: Riedt e la famiglia devono decidere se rientrare o meno a Berlino Est. Il 13 agosto del 1961 comincerà la costruzione del Muro di Berlino: per questo, dopo qualche riflessione, resteranno nella Germania Ovest. Se di norma Riedt nelle lettere risulta meno efficace di Levi, lo è invece in modo cupamente memorabile nell’affresco della sua ultima incursione clandestina a Berlino Est per recuperare i cappotti della famiglia, quando si congeda dagli amici oppressi da una disperazione muta, senza scampo «in un regime di terrore ormai scatenato e senza pietà».

Riedt non tradusse La tregua che, preso in carico dall’editore Christian Wegner, fu destinato un altro traduttore, ma diede voce a un successivo libro di Levi, Storie naturali, di cui questo carteggio tratta in dettaglio. Levi e Riedt si scambiarono in vita circa duecento lettere. Il libro ne riporta centotrentadue; mancano quelle più rare dell’ultimo periodo, dal 1968 fino agli anni Ottanta (Levi morì nel 1987; Riedt dieci anni dopo): saranno oggetto di studio per gli specialisti, o verranno destinate all’edizione digitale on line. Del resto, aggiungerle avrebbe comportato presumibilmente centocinquanta pagine in più in un volume che già ne conta più di quattrocento; lo avrebbero quindi reso meno adatto a una collana di grande lettura. L’apparato del libro è ricco. Quanto alle note, puntuali e in media non troppo numerose, sono rivolte al lettore comune, anche al più giovane, che non conosce personaggi noti invece al pubblico adulto.

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