L’America è ancora una terra di grandi romanzieri

di in: De libris (0)

Con la scomparsa in anni recenti di Philip Roth (2018) e Cormac McCarthy (2023) gli Stati Uniti avevano perduto due degli autori più importanti del Novecento, i cui romanzi sono stati – e sono tuttora – letture imprescindibili per tutti i lettori interessati alle storie di una certa America. Nell’ultimo quinquennio in particolare si era tornato a parlare di loro: Nemesi (2010), l’ultimo romanzo di Roth dedicato ai devastanti effetti della poliomielite sulla comunità ebraica di Newark nel 1944, era diventato tristemente di moda durante l’epidemia da Covid-19; nel 2022 – a sedici anni da La strada (2006) che gli era valso il Pulitzer – McCarthy, pochi mesi prima di spegnersi, aveva regalato ai suoi lettori un pregevolissimo testamento letterario composto dalla diade Il passeggero e Stella Maris.

Le parole spese per entrambi i romanzieri – commemorandone le opere e piangendone la morte – sono state tutte volte a celebrarli ribadendone (ce ne fosse ancora il bisogno) la grandezza, velando le lodi entusiastiche con una certa dose di nostalgia per le cose buone di una passata stagione letteraria che potrebbe non tornare più.

Del resto, scrittori come Roth e McCarthy sono merce rara, e i grandi nomi nella costellazione della letteratura americana sono sempre meno o sempre meno luminosi: non aveva convinto Il silenzio (2020), il breve romanzo-pamphlet di un maestro come Don DeLillo, e Le schegge (2023) di Bret Easton Ellis, di fatto un’ibridazione tra Meno di zero (1985) e American Psycho (1991), aveva diviso la critica.

Eppure.

Nonostante il risultato delle elezioni del 5 novembre 2024, nonostante un paese diviso tra redneck trumpiani, minoranze etniche, un’upper class debole e un’élite intellettuale imbevuta di ideologia woke, nonostante la progressiva e innegabile perdita di potere dell’Impero (così Ellis sugli Stati Uniti nel suo ultimo saggio, Bianco – 2019), l’America è ancora una terra di grandi romanzieri.

Stephen Markley – forte del successo di pubblico e critica ottenuto con Ohio (2020) – è tornato nelle librerie italiane con Diluvio, un’opera-mondo dall’impressionante mole di 1300 pagine.

Diluvio è un romanzo sulla crisi climatica in corso, benedetto, prima dell’uscita negli USA, da un tweet di Stephen King, che già si era speso in lodi per Ohio (“si potrebbe quasi definirlo il Furore della crisi degli oppioidi”): “Questo libro è, in sostanza, un classico contemporaneo. Se lo leggerete, non lo dimenticherete mai. […] Profetico, terrificante, incoraggiante”; e se c’è un libro in grado di turbare persino il re indiscusso dell’horror, si può essere certi di avere per le mani qualcosa di sufficientemente spaventoso da meritare una lettura.

Dimenticate però i polpettoni apocalittici à la Roland Emmerich. Nessuna inverosimile nuova era glaciale (The Day After Tomorrow – 2004), nessuna flotta di moderne arche di Noè per mettere in salvo l’umanità da tsunami gargantueschi e sismi dalla magnitudo incalcolabile (2012 – 2009). Markley, nei dodici anni impiegati a scrivere Diluvio, si è occupato di studiare a fondo tutto ciò che preoccupa gli scienziati del clima, senza andare a caccia della teoria più catastrofista, limitandosi a osservare e comprendere i fenomeni estremi tuttora in corso.

Terremoti capaci di inghiottire intere città e onde anomale alte centinaia di metri sono certo più cinematografici e, insieme, più rassicuranti: sono narrazioni facilmente ascrivibili alla fiction, al film o al romanzo di genere, mentre è ben più complicato, ben più inquietante, negare le ondate di caldo, gli incendi che nelle ultime estati hanno devastato le zone più aride del mondo, il progressivo scioglimento dei ghiacciai, l’inquinamento atmosferico o eventi come l’alluvione in Spagna dell’ottobre 2024, responsabile di 229 morti.

Diluvio non è una distopia, e Markley è sempre attento a ribadirlo, come ha fatto in occasione della presentazione del romanzo a Washington, presso la libreria indipendente Politics & Prose. In dialogo con l’analista del clima Robbie Orvis, ha affermato: “credo che il romanzo rifletta esattamente ciò che è accaduto e ciò che accadrà, nel senso di eventi climatici violenti, politiche estremiste e di un sistema politico che non sta rispondendo a questo problema con la velocità necessaria”.

Diluvio racconta gli anni dal 2013 al 2039, prendendo le mosse da un passato recente e allungando le sue propaggini nella direzione di un futuro prossimo e cupo, funestato da tornadi, alluvioni, carestie e incendi.

Markley, per rendere tridimensionale la sua opera, si affida a sei diverse linee narrative, coincidenti con sei personaggi principali (attorno ai quali gravitano una miriade di altri personaggi secondari, nel segno di una predilezione per il romanzo corale evidente già in Ohio): il climatologo Tony Pietrus, Shane Alvarez e il gruppo di eco-terroristi chiamato 6Gradi, Ashir al-Hasan, matematico indiano neurodivergente e laureato al MIT, Keeper, un tossicodipendente, Jackie, brillante designer e art director e infine Matt, giovane aspirante scrittore che seguirà in lungo e in largo per gli Stati Uniti Kate Morris, la donna di cui è innamorato che darà vita al movimento ecologista Fierce Blue Fire (FBF).

Diluvio è sì un romanzo sulla crisi climatica, ma insieme è un libro sugli esseri umani e sulla loro capacità di adattamento. Siamo una specie biologicamente progettata per reagire all’imminente, rifiutando l’idea di un futuro che vada al di là delle prossime due generazioni, un domani che non vedremo, di cui non saremo padroni. Ecco, dunque, che l’immediata reazione all’avvicinarsi del disastro, alla difficoltà nel progettare un mondo migliore per i nostri figli o per chi verrà dopo di noi, è non voler guardare la fine, non fare figli, non progettare nulla limitandoci a vivere un presente incerto – a tratti spaventoso – con un misto di inquietudine, rassegnazione e indifferenza.

Uno dei principali pregi del romanzo di Markley sta proprio nell’aver voluto porre al centro della narrazione le dinamiche di reazione di fronte a questo problema.

Il climatologo Tony Pietrus ha il ruolo della Cassandra: un profeta inascoltato che studia lo scioglimento dei ghiacci, scrive saggi, partecipa ai talk show, fa divulgazione, ma che il tono esasperato delle tirate riduce a una macchietta agli occhi di politici e telespettatori.

Così accade che ad alternarsi sulla scena siano i due movimenti per il clima e le loro propaggini (personaggi minori e trame secondarie che ne tratteggiano i particolari): FBF e 6Gradi, Matt, Kate Morris e il suo team da una parte; Shane Alvarez, il veterano dell’Iraq Kellan Murdock e la loro piccola equipe di ecoterroristi dall’altra.

FBF conta decine di migliaia di seguaci guidati da una leader bella e carismatica che raccoglie consensi, va in televisione, combatte una battaglia in cui crede fermamente giocando spesso (e la cosa la compromette non poco agli occhi degli americani) la parte ammiccante della rockstar libertina – apertamente bisessuale e incapace di intrattenere una relazione monogama, senza contare i sex tape messi in rete dagli avversari politici e gli scandali di droga – e che raccoglie attorno a sé un numero tale di persone da influenzare le elezioni presidenziali, richiamando l’attenzione dei candidati più progressisti. A nulla servono la sua capacità di influenzare parte dell’elettorato più giovane, inutili saranno le proposte di legge o il momentaneo appoggio dei politici: Kate Morris verrà ascoltata soltanto quando assedierà Washington, bloccando la città con un’enorme tendopoli colorata stracolma di pacifici manifestanti, in uno dei capitoli più memorabili e visionari del romanzo.

Shane Alvarez e 6Gradi sono l’altra faccia della medaglia: un movimento d’azione che non crede alle promesse politiche, che agisce in segreto facendo esplodere raffinerie di petrolio e stabilimenti industriali di proprietà di spietati azionisti che ignorano i danni da anidride carbonica, riconoscendo nella paralisi totale del sistema l’unico mezzo per restituire ossigeno al pianeta.

Ad intersecarsi tra questi due movimenti che solleticano il Leviatano ci sono Keeper e Jackie, le cui parabole narrative, pur trovandosi agli opposti, incarnano quell’umanità inconsapevole, distratta dai grandi e piccoli problemi del quotidiano che rendono l’emergenza climatica un rumore di sottofondo. Keeper è un tossicodipendente, Jackie è un’art director. L’uno è alla costante ricerca di denaro, l’altra si è arricchita con una campagna pubblicitaria di enorme successo ed è diventata l’amante di un imprenditore milionario. Keeper vive in una roulotte e tira a campare come meglio può, Jackie possiede un attico e centinaia di migliaia di dollari. Le loro strade non si incontreranno mai, ma l’emergenza climatica sconvolgerà le vite di entrambi, costringendoli a fare i conti con le ondate di caldo e gli allagamenti che squassano l’America da costa a costa.

Markley utilizza ogni tipo di stratagemma narratologico per rendere Diluvio un romanzo memorabile.

Impiega tutte e tre le persone del singolare: la terza per la maggior parte dei personaggi, la prima per Jackie e Matt, mentre per Keeper – cosa piuttosto rara nel romanzo contemporaneo – utilizza la seconda persona: «Trovi il biglietto nella maniglia della porta a zanzariera della roulotte. È tutto in maiuscolo coi punti esclamativi, dice che sei in ritardo di due mesi con l’affitto e la prossima sarà una lettera di sfratto. Hai il cervello a mollo nell’alcol della notte scorsa al bowling. Ti penti della coca rimediata da Casey; costosa e tagliata di merda».

Il flusso narrativo viene reciso qua e là da fittizi articoli di giornale di varie testate, da «Vogue» al «New York Times», che riportano notizie sulle follie di Kate Morris, sugli intenti del suo movimento, o che riepilogano come una voce fuori campo l’elenco dei disastri climatici che anno dopo anno sconvolgono gli Stati Uniti.

Markley non lesina neppure sugli artifici grafici, intervallando alcuni capitoli con singole pagine composte da ritagli di giornale, titoli, articoli e screenshot di Twitter (X), “uno stratagemma alla Dos Passos filtrato attraverso i social media” spiega, mentre tutti i capitoli dedicati a Shane Alvarez e a 6Gradi presentano paragrafi riquadrati di varia lunghezza che consentono ai lettori di accedere a ricordi, memorie e riflessioni dei personaggi che procedono parallelamente alla storia principale.

Vista la complessità della trama, la mole del romanzo, la quantità di personaggi, la varietà dei registri e il tono quanto mai profetico, potrebbe venire spontaneo un confronto con l’ultimo grande profeta americano: David Foster Wallace.

Chiariamolo subito: Stephen Markley non è David Foster Wallace e qualsiasi confronto fra i due sarebbe improduttivo. Sarebbe sbagliato leggere Diluvio aspettando di trovarvi un romanzo che possa assomigliare in qualche modo a Infinite Jest (1996); come scrisse John Jeremiah Sullivan dopo la morte di Wallace: «Ecco una cosa difficile da immaginare: essere uno scrittore così inventivo che, quando muori, la lingua si impoverisce». Non ci sono le medesime capriole linguistiche, il geniale e assurdo florilegio di note, di personaggi che appaiono per scomparire quasi immediatamente, non c’è l’ironia, l’inventiva e la complessità che hanno caratterizzato la vita e l’opera di Wallace, e tuttavia ciò non toglie nulla alla bellezza e all’urgenza del romanzo di Markley.

Tale urgenza è palesata dal realizzarsi, a un anno dall’uscita di Diluvio negli Stati Uniti, di una delle sue profezie più cupe.

Una delle scene madri del romanzo – questa sì, apocalittica – è una corsa contro il tempo del climatologo Tony Pietrus per tentare di salvare la figlia da un enorme incendio chiamato «El Demonio» che sta devastando Los Angeles. Milioni di evacuati, muri di fiamme, una nuvola di fumo tanto grande da oscurare il cielo, distruzione, morte, paura.

La differenza con i film di Emmerich di cui sopra, è che proprio mentre scrivo (gennaio 2025) l’area di Los Angeles è colpita da un violento incendio, che ha costretto 180.000 persone ad abbandonare le proprie case nella zona di Hollywood, mentre i venti di Santa Ana soffiano il fuoco su aree che la siccità ha reso un combustibile perfetto, altri 200.000 losangelini sono in stato di allerta pronti a evacuare, e la conta dei morti e dei danni sembra lontana dal dirsi conclusa. Ciò che è ancora più preoccupante, è la rapidità con cui la storia ha anticipato ciò che accade nel romanzo di Markley, perché «El Demonio» rade al suolo Los Angeles nel 2031.

Non è possibile dire se Diluvio resisterà alla prova del tempo, se il grido che sale dalle sue pagine verrà ascoltato da una schiera grande o piccola di lettori, ma è di certo un buon candidato ad essere il livre de chevet da tenere accanto in questi tempi difficili. Perché nonostante i cataclismi, le stragi, i morti e le battaglie politiche, Diluvio contiene un grande messaggio di speranza. Speranza per una reale e possibile collaborazione globale, nella presa di coscienza che quella della crisi climatica è la sfida più grave e più urgente per l’umanità intera. Ancora Markley, in dialogo con Orvis alla Politics and Prose: “non c’è epoca migliore per essere vivi. Ciò che accadrà da qui ai prossimi sette anni avrà una eco che riverbererà per l’eternità della civilizzazione umana”.

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