Presiden arsitek/ 27

“Conosci la geologia della Transilvania?” Chiede Miloš a S. in una specie di estasi demente, lei ancora quasi una bambina, tutti e due anzi a dir la verità ancora giovanissimi, il broncio di S. come un’ala di farfalla ancora accartocciata dalla metamorfosi; e dietro di loro, perfettamente inquadrata tra i due volti, la smorfia di un marinaio vampirizzato e il grido vittorioso e triste dei galli di Jakarta che cercano di inghiottire il sole grigio.

di in: Presiden arsitek

(Riassunto delle puntate parallele)

Presiden Arsitek, telenovela indonesiana la cui interminabilità rende inutile ogni riepilogo, vano quando non vanesio ogni tentato spoileraggio. Talmente interminabile che persino i riassunti delle puntate precedenti devono essere a loro volta divisi in puntate. La sua embriogenesi, così vuole o desidera la leggenda, risale ai vaneggiamenti di uno o più pazienti di un non identificato medico condotto arabo di Jakarta; filtrata poi quasi insensibilmente fino al grande pubblico o comunque sia a un pubblico lungo una molteplicità barocca e immondezzaia di canali e materiali – registrazioni e appunti di inservienti e aiutanti del medico condotto e stracciati in tutta fretta all’arrivo di ispettori sanitari, parenti, forze dell’esercito, in una parola: tutte quelle (meta-fisica- e -forica- mente parlando) forze dell’ordine che macchinalmente si oppongono alla germinazione gratuita e infestante di–– foglietti come che sia stracciati e poi religiosamente raccolti dalle pozzanghere abbandonate dai monsoni lungo i vicoli del mercato, registrazioni dei pazienti dell’Istituto (lo sviluppo embrionale avendo catturato nel proprio vortice anche il medico condotto, cementandone le ossa e vetrificandone la carne fino a renderlo un Istituto), registrazioni poi trasmesse da oscure emittenti radiofoniche, pazienti fuggiti le cui conversazioni finivano per magnetizzare intorno intorno crocicchi di passanti, curiosi, bighelloni quasi per contagio si infilavano e fondevano nella chiacchiera, un borbottio e un ininterrotto sfrigolare zuccherino di sigarette cinesi che presto si confonde, come acqua nell’acqua, con gli scatti di vecchie macchine fotografiche, e quando si arriva alle macchine fotografiche ormai non si può più tornare indietro, l’uovo è uscito e il culo della gallina si è richiuso: a quel punto passare dalle pozzanghere ai teatrini, dalle fotografie ai fotoromanzi e infine all’eterna antigloria della pellicola è solo una mera questione geologica, inevitabile come la trasparenza di una lama di ossidiana.

In una delle puntate più memorabili compare una descrizione precisa del macchinario dell’Architetto e della morte di Miloš (o di Giorgio Valmarana? i forum dedicati a dipanare l’indipanabile intreccio di PA pullulano di ipotesi e teorie su stratificazioni e sovrapposizioni narrative che verrebbe voglia di raccogliere nella carne stessa della telenovela quel continuo vocio che accompagna ogni nuova puntata come un corteo funebre di esagitati), morte provocata dal macchinario; ne restano (della puntata, non della morte) alcuni VHS rovinati dall’acqua, sparsi brani di sceneggiatura, tradotti forse da Q–––– C–––––– per la sua tesi di laurea (i brani sono stati ritrovati tra i suoi appunti indonesiani ma, essendo battuti a macchina e considerando l’indole rapace di Q–––– C–––––– in qualsiasi attività, non attribuibili a lei – o lui, v. infra – con certezza); è stato il primo posto in cui lei ha lavorato (ipotesi dello spettatore medio –– fatta perché in uno dei frammenti viene descritto un certo tipo di inquadratura – ad es. il cielo e le nuvole); altra ipotesi, per ovvi motivi non provata ma in qualche modo ineluttabile – simili ipotesi sono intrinseche alla natura dello spettatore come la sindrome di Edipo lo è a quella di un figlio – è che il macchinario nella telenovela – ovvero l’oggetto scenico usato per girare le scene di viaggio nel tempo – sia effettivamente funzionante). Camminando tra la folla del mercato, ecco le statuine viventi dei personaggi di Presiden Arsitek, immobili nei loro buffi costumi e le pose irrigidite, ognuno col suo barattolino di latta nel quale potete lasciar cadere qualche monetina. Possono muoversi solo quando non li guardate, ma se nessuno li guarda nessuno vedrà che si sono mossi. Ecco le statuine viventi, i personaggi di tutte le storie, come nel gioco di un due tre stella è quando non li osservate che vi si avvicinano fino a prendere il vostro posto: ma perché il gioco prenda vita dovete guardare. Ecco le statuine viventi, riuscite a riconoscerle tra la folla? Hanno imparato a guardarvi senza mai spostare gli occhi dal cielo. Le storie che non racconta, che non insinua quella telenovela! Le statuine vi vedono. Cominciate a contare: un due tre…

EX ACROBATA. Racconta a tutti di essere un ex-acrobata e prima ancora un ex-atleta con problemi di doping; il suo blog ha un certo successo: vi compaiono indicazioni dietetiche per sportivi, resoconti altamente romanzati di sue performance agli anelli e alle parallele, spesso corredati di video nei quali non mancano dettagli piccanti ai fini dello sviluppo della trama della telenovela, quando lo spettatore abbia la pazienza o la fortuna o la compulsione autistica di osservare costantemente lo sfondo dell’evento sportivo, il pubblico assiepato sugli spalti nel quale più di uno spettatore ha giurato di aver visto bazzicare Adra in compagnia di S. (v. infra) una cosa talmente inaudita da essersi meritata un trafiletto in prima pagina in più di un quotidiano nazionale. Una sorta di voyeuristico found-footage sentimentale che intreccia un nuovo filone nella farcitura contrappuntistica (altri preferì parlare più corrivamente di broda) dell’insieme. In realtà (ma resta da capire in quale, v. di nuovo e sempre infra, lì deve indirizzarsi la tensione dello sguardo) l’ex-acrobata è un grigio studioso di nome Giorgio Sommariva che da tempo progetta di realizzare una Storia delle attenuanti (nella –anch’essa solo progettata, raccontata tra le lenzuola sudice del luna park in cui alcuni zingari lo avevano pietosamente accolto – prefazione inventandosi nuovamente un’identità di discendente da un prigioniero di Auschwitz e stimolando l’articolo sull’atomo del male da «salvare dall’attenuante»: durante un periodo di villeggiatura in Francia, il Sommariva finto discendente di un sopravvissuto ai Lager aveva sentito parlare del vento Mistral e dei suoi presunti effetti negativi sulla mente e le azioni delle persone, tanto da essere considerato un’attenuante valida per certi crimini violenti; in quel momento Sommariva era stato attraversato dall’idea di redarre una storia comparata delle attenuanti di ogni cultura giuridica da Hammurabi in poi; scopo ultimo dell’opera, applicare ai nazisti tutte le attenuanti messe a disposizione nel corso della storia dall’umanità ai propri giudici e per i propri criminali: applicarle per veder sopravvivere l’ultimo e fondamentale atomo di male – sulla cui esistenza Sommariva non nutriva dubbio alcuno – sfuggito ad ogni alleggerimento di pena e destinato pertanto ad inattenuabile ed eterna condanna).

I FIGLI DEL CAPITAN VISIERA. Tre presentatori radiofonici che durante la loro trasmissione leggono dei brani di una sorta di giornale di bordo onirico noto con la sigla D.O.: dei tre, quello di gran lunga più importante ai fini della trama è una donna di nome Rosa, scomparsa dopo un appuntamento per intervistare Carlos Adra (v. infra); si riconosce nella Bambina col Frac, personaggio centrale del D.O. (v. infra ––––– [NOTA sui cd “personaggi centrali”: nessuno può mai vedere o toccare il centro di gravità, poiché nel momento in cui potesse essere raggiunto non sarebbe più esso centro; e così i personaggi centrali sono per la massima parte invisibili e intangibili, ogni personaggi autenticamente centrale essendo definibile come una Dulcinea del Toboso, ossia un essere cui ci si può approssimare solo per volumi e strati sovrapposti di allucinazioni, luogo impossibile in cui si potrebbe finalmente capovolgere il proprio cammino]). Figlia dell’ex acrobata, reale o inventato che sia –– ovvero: la presentatrice radiofonica, Rosa, è figlia di quello finto, la Bambina col Frac di quello vero. Sua sorella (sua di chi? della bambina o della presentatrice? torcendosi deliziati gli spettatori carezzano con le chiappe il velluto a fiori della poltrona) è Q–––– C––––––.

L’ASCOLTATORE della trasmissione dei Figli del Capitan Visiera. Mai descritto, si vede solo la sua auto, pericolosamente simile a quella dell’autista/violinista che accompagna il protagonista del D.O. in alcune delle sue peripezie; cambia stazione della propria autoradio, cosicché a volte il D.O. è interrotto dalle prediche di don Giorgio Giorgio e altro – notizie sul Caso del sosia, sull’Omicidio del chiodo, sul Giocatore di scacchi assassino del matto del paese –– una precaria cornice per fatto di sangue ––– ad un certo punto gli pare anche di intercettare infantili parole d’amore e le grida e le fucilate di un vecchio melomane. C’è chi ritiene che l’ascoltatore sia un residuo spaesato e per ciò stesso squisitamente tragicomico dell’epoca in cui Presiden Arsitek era un radiodramma diffuso chissà da chi e captato per la prima volta (la leggenda qui, come ogni leggenda, oscilla con galileiano moto pendolare) da walkie talkie di bambini o dallo stereo del giradischi di non so più quale nonno mezzo picchiato.

Q–––– C––––––. Non si riesce mai (ovvero l’osservatore, ascoltatore, lettore, spettatore, fate un po’ voi, chiunque egli sia non riesce mai) a capire chi sia: è l’invecchiata Bambina col Frac? Tremende agnizioni e collisioni tra finti e reali ex-acrobati e le loro figlie, sbrigativamente compendiate da uno scontro in volo tra due diavoli volanti in un film muto ovvero in un video il cui audio è stato irrimediabilmente danneggiato dal fango. Dato che nessuno sa chi è, ne approfitta per fare tutto quello che le pare e intervenire non vista nelle vicende di tutti (classico profilo degli afflitti della sindrome del Deus ex Machina, forma di narcisismo particolarmente pericolosa a livello sociale). Nota per gli sceneggiatori: gli altri personaggi devono chiedersi spesso “Ma chi o anche cosa cacchio è Q–––– C––––––??”

D.O.. Che si tratti anche di una delle opere che l’uomo (chiamiamolo, d’ora in poi ovvero finché pare a noi, X) assunto dal milionario deve ricopiare? (La storia di questo segretario si trova in un diario indonesiano ritrovato nel Filmer [NOTA sul Filmer: termine toponomastico che localizza il breve spazio in cui il corridoio di un certo appartamento di Venezia piega ad angolo retto per arrivare all’ingresso di casa da un lato, alla camera da letto e al bagno dall’altro. In una nicchia con decorazioni marocchine si possono vedere alcuni soldatini di carta (coloni inglesi con il loro casco color sabbia, pirati con tanto di pappagallo sulla spalla, marinai dolorosamente contorti da una qualche forma di malattia del sangue] dopo la demolizione del palazzino a due piani – al momento della demolizione abitato da Gianni Sherwood (primo piano e v. infra) e la Truut (secondo piano, ma sempre inesorabilmente infra). Anche, però, opera di un solitario da metropoli (con ogni probabilità L. Decor) che vuole attraverso la scrittura farsi spettro? E, in fin dei conti, prova processuale contro il videogioco NITA™. Il filologo che cura l’edizione del D.O. è anche responsabile di un’edizione onirocritica della Pro Milone e a tempo perso raccoglie informazioni su Adra.

CARLOS ADRA. Cresciuto nel luna park in cui lavora l’ex-acrobata e una delle cui giostre, il Vascello di Dracula, è un grosso galeone agghindato con topi di cartapesta, cadaveri di marinai con i due canonici puntolini rossi sulla gola, tutti con gli occhi strabuzzati e travolti nelle pose, menadiche di una morte imprevista –– ad un paio di loro, sistemati tra i posti dei passeggeri, stanno già spuntando i canini dell’infettato. Topi di gommapiuma escono dalle casse di terra transilvana del Conte. “Conosci la geologia della Transilvania?” Chiede Miloš a S. in una specie di estasi demente, lei ancora quasi una bambina, tutti e due anzi a dir la verità ancora giovanissimi, il broncio di S. come un’ala di farfalla ancora accartocciata dalla metamorfosi; e dietro di loro, perfettamente inquadrata tra i due volti, la smorfia di un marinaio vampirizzato e il grido vittorioso e triste dei galli di Jakarta che cercano di inghiottire il sole grigio. Il Vascello di Dracula inizia ad oscillare, un pendolo enorme che arrivato al momento di massima oscillazione, lo scafo del finto galeone quasi verticale sul terreno, i passeggeri che strillano furibondi di gioia –– quasi d’obbligo qui l’inquadratura fissa su Miloš e Sarahs, il paesaggio impazzito dietro di loro, i capelli di Sarahs che quando alle sue spalle non c’è che cielo le si aggrovigliano davanti alla faccia quasi il cielo stesse disperatamente cercando di risucchiarla in su a sé strangolandola nell’azzurro –– slanciandosi ora lo scafo in avanti per la nuova oscillazione –– il mantello del Conte sistemato proprio nel centro del vascello che dopo essersi gonfiato e arrotondato, invertendosi il moto del pendolo torna ad aderire di colpo al manichino di Dracula, un’improvvisa solidificazione del mostro dietro una tenda che avrebbe a lungo popolato i miei incubi, la tenda per esempio si gonfia per una dolce brezza e poi di colpo come risucchiata nel verso opposto aderisce contro un corpo nascosto dietro di essa rivelandone così la presenza, e le scarpe sotto il bordo della tenda, sì, era l’improvvisa apparizione delle scarpe del Conte sotto il bordo del mantello a terrorizzare Miloš ––– slanciandosi di nuovo in avanti il barcone si era staccato dai due grandi telai che lo ancoravano a terra, ed era volato verso il vuoto con un moto che almeno nei primi secondi era anche potuto apparire quasi fiabesco, l’inizio di un’incredibile avventura per i nostri amici sul Vascello Incantato, magari con tanto di tregua e infine amicizia con il manichino del Conte reso vivo dalla stessa magia che aveva fatto salpare verso il cielo il finto vascello ––––––– il barcone si è sganciato dai telai e in un allucinatissimo rallentando Miloš ha il tempo di voltarsi verso Sarahs mentre il Vascello di Dracula compie il suo breve catastrofico volo. Miloš si volta verso Sarahs e riesce a distinguere una lacrima che le scende verso le labbra, e riflesso e raccolto in quella lacrima, rallentatissimo per la propria piccolezza e insieme brulicante di luce, il villaggio di Waltzwaltz: uno degli ingressi più impervi, di traverso il riflesso miniaturizzato nella lacrima di una quasi ancora bambina che precipita seduta su un disancorato vascello da luna park. Il brulichio velenoso e salvifico di Waltzwaltz sta per catturare e inghiottire Miloš con i suoi sussulti di luce che per lo spazio di tempo di una pulsazione cardiaca lo rendono sempre più vasto – o rendono Miloš sempre più lillipuziano, Miloš sente quello stesso sfrigolio intontito di chi si sta svegliando da un sogno, e sa che gli basterà fermare solo un secondo di più l’attenzione sui riflessi del villaggio riflesso nella lacrima della biondina seduta accanto a lui sopra il Vascello di Dracula che staccatosi dal suo ancoraggio sta ora volando sopra la folla del luna park, e qualcuno avrà forse il tempo di alzare gli occhi e vedere sopra di sé librarsi lo scafo della giostra, l’ombra della caravella che si allarga e si allarga fino a che la chiglia non si schianterà a terra spiaccicando i più lenti, i più distratti o sfortunati. Seduti sul vascello che precipita, nei posti intorno a Miloš e Sarahs, pochi secondi prima del fermo immagine e del “continua la prossima settimana”, negli altri passeggeri del Vascello di Dracula indoviniamo gli altri personaggi di Presiden Arsitek, ritrovatisi tutti in quello stesso luogo con la medesima impossibilità e trapanante inevitabilità con cui si ritrova il cervello proprio dentro la scatola cranica, con cui miliardi di onde diverse si sono infrante su uno stesso scoglio fossilizzandovi la forma della schiuma nel vento, i personaggi di Presiden Arsitek semimedusizzati da un ralenti finto e caciarone – il barcone tenuto sospeso da cavi d’acciaio non inquadrati, l’ordine per tutti gli attori di non muoversi se non con geologica lentezza – e Miloš sa che non deve far altro che riconoscere un ulteriore riflesso in uno dei vetri del villaggio di Waltzwaltz riflesso nella lacrima di Sarahs con lui sospesa per ancora forse un paio di secondi in un barcone da luna park disancoratosi nel vuoto, un’anti-arca di Noè in cui tutti i personaggi del mondo potranno finalmente incontrare la morte e i suoi arcobaleni. Ma i vetri di Waltzwaltz non riflettono che il sole, non mandano che bagliori palpitanti e irraggiungibili. Miloš prende la mano di Sarahs. Da dietro il mantello di nuovo rigonfio del Conte si sente qualcuno fischiettare un notturno di Chopin–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––CARLOS ADRA (secondo tentativo di avvicinamento). Incontrato alle elementari da Decor bambino, che più tardi ne parla in un tema. Gli scivoli del luna park in cui è cresciuto sbranano con denti di scoiattolo i bambini notturni, e Adra ruba i loro fiorellini viola. In una puntata priva di qualsiasi digressione – soap opera, opera per il lirismo e soap per il continuo glissando talvolta vertiginosissimo, come chi appunto scivoli su una saponetta dimenticata in terra dal figlio e voli contro lo spigolo di metallo di una porta a vetri fracassandosi i denti – priva di digressioni e nello stesso tempo maledettamente ingarbugliata, Adra incontra X (già, di nuovo lui – o lei) che morendo aveva lasciato a Y, suo fratello, un foglio contenente una serie di nickname e password varie per profili e siti in cui è raccolto materiale su Adra stesso… senonché Y pensa che Adra, e non X, sia suo fratello (qui il titanismo pecoreccio dei fan aveva dato vita a tutta una coda tentacolare di video e falsi profili online, un labirinto di siti e link e backdoor e darkweb e qualsiasi cosa potesse solleticare uno spettatore di quella cioè questa soap opera, un labirinto saponato ecco, nel quale ad ogni svolta si finiva a picchiare il culo sul pavimento del “Filmer” di turno. Adra, si scopre grazie a quei materiali apocrifi dei quali la produzione di Presiden Arsitek non ha esitato ad appropriarsi installando in rete un proprio rione abusivo, Adra è inoltre il bambino il cui padre impazzito si mette a fare ogni sorta di cretinata con uno scolapasta di metallo in testa, ed è anche, a quanto pare, uno dei pistoleri nella puntata di Bapak Rolex e i palazzi gonfiabili). Dicono a Y che Adra è morto a Riva del Garda, paese che Y non riesce mai a raggiungere. Per via di un patto stretto in gioventù, Adra aiuta Z, un politico fallito, prigioniero dei Nerini (infra, infra: natürlich). In un suo filmino oratoriale si vede un giovanissimo Giorgio Giorgio, non ancora scomunicato, che canta a pieni polmoni una canzoncina sfrontatamente gaia sul martirio di santa Caterina. La faccia rossa come un diavolo, la chitarra a dodici corde resa incandescente da un’oscillazione della mano un filo disturbante, trattandosi pur sempre di un sacerdote che canta durante il catechismo,

Al colmo del furore

Firulìm firulìm firulìm zum zum

Z. Durante la prigionia presso i Nerini ricorda il corteggiamento alla moglie (la Truut? Q–––– C––––––? –– ogni volta che ci si interroga sull’identità di un personaggio femminile, mai dimenticare che uno qualsiasi di quei personaggi potrebbe essere Q–––– C––––––; non è in ogni caso pleonastico chiedersi se la moglie di Z sia Q–––– C––––––, dato che Q–––– C–––––– potrebbe anche non essere nessuno degli altri personaggi femminili). Z e la Truut si conoscono fin da bambini (sul nastro della Truut insieme a altri dialoghi, bisticci tra il bambino e la bambina mentre giocano: è in quel momento che Z. sviluppa l’ossessione per i registratori che lo porterà a far impazzire la propria moglie; nella raccolta di nastri inserita tra i contenuti speciali dell’edizione in DVD della soap opera, si sentono a volte persone che protestano perché lui continua a importunarle con il suo registratore, nonché stereotipi nastri di quando è adulto e sorveglia la propria fidanzata). A volte lei lo fa piangere con filastrocche di ossa rotte in un burrone, gli fa credere di essere sua sorella e che dovrà vivere per sempre con lei in fondo a un burrone rosicchiando le ossa rotte dei marinai, e lui quando piange “Io la voglio uccidere quella stupida. Voi non capite. Io non voglio essere grande. Piccola! No! Nessuno mi vuole bene! Io non voglio più niente! Io la odio, la odio davvero! Voi non mi capite. Voi non capite, sempre lei, non può essere così, non si può essere così, ma finitela, sempre lei, è tutta la mia vita, io voglio andare via da qualcun altro perché qui nessuno mi vuole, e allora ecco, io mi uccido e muoio, ecco. Date sempre la colpa a me, a voi non interessa niente, non vi interessa niente.” Z, in altre parole, è un codardo crudelissimo. Natura del patto tra lui e Adra e Z: da ragazzini avevano messo in piedi un piccolo esercito di coetanei e insieme avevano ucciso un bullo, lapidandolo. Adra aveva ripreso l’omicidio, e il video aveva ispirato altri ragazzini a fare lo stesso.

BAPAK ROLEX (l’Arabo). Pratica un’antica tecnica da mezzo ciarlatano che gli permette di penetrare nella carne di una persona viva per toccarne il cuore; la tecnica, indispensabile per il funzionamento del macchinario dell’Architetto, è tuttavia appunto mezzo ciarlatana, e non sempre dà i risultati sperati (è anzi più che probabile che provochi nella gran parte dei casi delle lesioni mitrali). Ha un ruolo nella famigerata scena del massacro di S, ovvero uccide o si suppone ucciderà o ha già ucciso S. Già ucciso? e se tutto Presiden Arsitek non fosse che uno sceneggiato televisivo di salvataggio di una donzella che non si esclude sia a propria volta un’assassina? L’ingordigia di colpi di scena induce tumori di cosmi fattuali e/o eventuali, metastasi nei destini delle nostre statuine viventi. Come abbiamo mai potuto gettarle in questo orrore? Che ne sarà di noi quando arriverà la fine dei tempi e le statuine ci chiederanno conto della loro esistenza tarpata? Bah. Potrebbe essere ovvero si dà almeno uno sravelizzato quanto si voglia universo in cui Bapak Rolex è Lapin (per una volta, leporinamente, passim). Alcune identità godono, nel difforme cielo poliautoriale della soap opera, di un’indeterminatezza quasi heisenberghiana. L’inferno stesso è, a ben vedere, anch’esso un miracolo.

LA CHENG GIOVANE. Autosequestrata in uno stanzino grande come un casello, circondata di notifiche audio dei suoi infiniti profili e pagine, nascosta nei tintinnii delle sue identità, dei suoi profili e dei suoi link come Waltzwaltz nel suo luccicore. Un insensato zoom sul suo occhio sinistro rivela che per una qualche narrativamente gratuita malformazione la sua iride sinistra è ovalizzata e contiene due distinte pupille. Ma ogni esistenza non è, appunto, narrativamente gratuita? La Cheng giovane non ha alcuna relazione con nessuno degli altri personaggi di Presiden Arsitek. Narrativamente è una parete perfettamente liscia e priva di appigli, dietro la quale per di più o per di meno non c’è assolutamente nulla. È l’antimateria della soap opera. Nelle puntate dedicate a lei il pubblico di Presiden Arsitek, credendo si tratti di qualcos’altro, cambia canale. In quel momento, come si vedrà, le statuine viventi fanno in segreto un altro passo verso di voi.

I NERINI. Falange estrema di un gruppo terroristico, figli mai dichiarati di terroristi. La loro faccia è completamente tatuata di nero; le rare volte che compaiono in pubblico, il loro volto appare, a chi li vede e per ciò stesso ne è vittima, come se fosse stato cancellato dal pennarello di un bambino. Legati a Lapin (per un qualche motivo identificabile solo nel momento in cui nascerà un’autentica psichiatria equatoriale, un Istituto Austroamazzonico per la Sanità Mentale, il pubblico medio di Presiden Arsitek sembra incapace di affezionarsi a un qualsiasi tipo di creatura, a meno che i di lei artigli non siano sporchi di sangue –– non è concepita la tenerezza separata dal terrore. Dopo uno dei viaggi (d’ora in poi l’interporsi di un viaggio nelle identità verrà semplicemente indicato con >), i Nerini prendono il nome di Arlecchini. I loro capi sono tutti molto anziani. «Se non vuoi invecchiare, impicca tutti quelli più giovani di te». > Sono gli zingari da cui discendono l’acrobata poi ex-acrobata, e sua figlia la Bambina col Frac.

GIANNI SHERWOOD. Inizialmente era coi Nerini, poi diserta e per questo viene da loro fatto impazzire – Una scena del giovane futuro Gianni Sherwood è l’impossibile morte/concerto di un pianista senza nome e una discesa nella pancia del Pescecane (ma Pinocchio > Robin Hood) > La libreria è a Venezia ––– I libri sono come l’acqua, scorrono da uno scaffale all’altro, dilagano e ci intridono, generano muffe che finiscono per avere vita propria e proprie imperscrutabili operazioni i cui moventi risalgono ad ere preistoriche o persino pre-umane… La libreria ha subito un’inondazione. Le pagine arricciate dei volumi inondati. In ospedale Gianni Sherwood parla con Miloš. È, scopriremo, figlio del Presidente Architetto. Lotta contro Lapin (giocano una partita a scacchi la cui scacchiera finisce per infettare gli spazi circostanti) e la Truut. Lentamente nel frattempo impazzisce e viene rinchiuso. Il suo taccuino viene recuperato da un inserviente dietro il quale si nasconde con ogni probabilità il solito Valmarana, eminenza se non grigia almeno grigiastra di tutto il baraccone; il taccuino contiene anche il bando del LUF e la voce barsàla. Anche i sogni di Gianni Sherwood sono stati intercettati nel D.O.? Che sia in atto uno scontro metafisico tra In cuniculum e il D.O.?

TOMASIJ. Non lo si vede presso che mai. Alter ego di T–––š B––––k, o forse suo fratello. Capo occulto dei Nerini. Proprietario della libreria dai corridoi di madreperla. È lui ad aver materialmente fatto impazzire Gianni Sherwood, con metodi che sono uno spudorato plagio del Nome della rosa. I segni dell’intossicazione sono nei sogni sempre più folli contenuti nel D.O., nelle allucinazioni legate alla madreperla. (Si profila l’ipotesi, mai confermata né smentita, che prima di essere tale Gianni Sherwood sia stato Luigj Decor). Anche nel caso di Tomasij, i dubbi si moltiplicano. Potrebbe persino egli stesso essere Gianni Sherwood (fa impazzire se stesso per liberarsi dopo aver usato una delle macchine dell’architetto ––– una strategia accettabile solo nel mondo quantistico dei personaggi di una telenovela).

VOCE NARRANTE: (Marcia militare di un paese inesistente. Tono da vecchio documentario per l’educazione sessuale del Fanciullo e della Madamina. Schermo completamente nero, con finte scariche di statica – lo spettatore medio abbocca e si alza per dare qualche scapaccione all’apparecchio per farlo rinvenire. Progressivamente la VOCE NARRANTE diventa la voce di Miloš, il cui volto si disegna lentamente nella tenebra dello schermo, elicitando ulteriori scapaccioni all’apparecchio da parte dei più baciocchi) Avviso agli spettatori: fin dal primo viaggio (avvenuto nessuno sa quando), si è innescato un inarrestabile rimescolamento delle identità, quasi la ruota delle rinascite fosse stata fatta girare furiosamente da un concorrente di telequiz. [NOTA: Si noterà come, nella più nobile e onusta “tradizione” dello sceneggiato indonesiano, il ruolo del personaggio rivelatore venga espletato da un dispositivo meccanico, magico o fantascientifico, in questo caso le casse di latta dell’architetto]. Tali rimescolamenti non riguardano solo le identità umane, bensì le identità di qualsiasi cosa. Esempi: Valmarana > Q–––– C––––––; Venezia > Jakarta (con tutto il garbuglio cartografico che ne consegue – cambiano anche i treni dell’incontro); Newton > Briwen; Waltzwaltz > Schwarzschwarz (le due metropoli nomadi sono in realtà la stessa città; per la loro natura, frammenti dell’una persistono nel mondo parallelo occupato dall’altra; a causa di questo fenomeno di infezione urbanistica, le “due” città sono costantemente in guerra tra loro –– alcuni riconoscono nei due paesaggi alle spalle della Gioconda di Madrid profilarsi due antichi rioni (Newton e Briwen, appunto) delle due città ––– le solite balordaggini per cui Leonardo da Vinci volente o nolente avrebbe inventato ovvero come qui indirettamente indotto ad inventare un po’ tutto l’inventabile – naturalmente da riscoprirsi solo nel momento in cui sia perfettamente inutile –––– è anche lui, il da Vinci, come uno dei nostri “personaggi”, pronto cioè a farsi infestare dai fantasmi di chicchessia ––––– è questa la sua più occulta e per ciò stesso sublime santità, è questa la sublime demonicità dei personaggi come Q–––– C–––––– o Tomasij: non sono loro ad abitare voi come a coronamento di un qualche cammino stanislavsijano. Siete voi a essere risucchiati dentro di loro.); sola prova dell’identità tra le due città: il verso di una ninnananna che hanno in comune e che dice “Wak wak grida la frutta cadendo”. Altre trasformazioni: Bambina col Frac > Sarahs (Rosa è sua sorella ovvero > madre) > NITA™ (creata in memoriam di Sarahs –– Così T–––š B––––k o > l’Architetto: “Non un fantasma, no, ma potrai lanciare maledizioni e infettare le anime”; e perciò S. o ciò che di lei resta dopo l’incontro con l’Arabo––– ma non corriamo). Grave isolamento sociale o denutrizione > ? > Q–––– C–––––– Che sia S., sopravvissuta a Bapak Rolex? o è più semplicemente S. reduce da un viaggio? Cercare di ricordare è lo struggimento di ogni personaggio; ma se il personaggio riuscisse a ricordare ricorderebbe te che stai leggendo, e di colpo la parete dell’acquario come uno specchio stregato invertirebbe i vostri corpi e tutto di colpo vi accorgereste di avere la bocca ingombra dei loro finti canini, le spalle avvolte nei loro mantelli… E allora toccherebbe a voi cercare di ricordare.

MILOŠ MANO. È in effetti il signor X di cui evasivamente sopra. Si crede che sia pazzo come conseguenza di una grave malformazione cardiaca o viceversa, e che Carlos Adra, Anxelo Tomasij, T–––š B––––k e chi più ne ha siano sue allucinazioni: come le interpreterebbe uno psichiatra? Egli, Miloš, sogna di andare a vivere in Svizzera. La sua storia è costellata di descrizioni di animali sempre più irreali. Le sta catalogando? Le odia? Un trattato sulla fauna mutante alpina? Egli, Miloš, ama S. Il medico che lo ha in cura è anche il filologo che cura l’edizione del D.O. In ospedale conosce un sacerdote che è o gli parla di Giorgio Giorgio. Non si riesce mai a capire qual è il suo vero nome ed è costante il dubbio che tutta la molteplicità di fonti non sia che un suo parto, e che il suo ricovero sia a propria volta il delirio di un solitario da metropoli. È lui che si occupa di una delle opere che l’uomo assunto dal milionario deve ricopiare? Durante uno dei viaggi in treno incontra Giorgio Valmarana. È destinato a impazzire e a passare la vita aspettando un nuovo viaggio. Miloš fu Valmarana fu Adra. Lo attanaglia il dubbio di essere stato ingannato: e se in realtà non fosse stato il presidente la persona che lui ha incontrato in treno, ma nient’altro che Giorgio Valmarana?

S. Una linea invisibile e labilissima la congiunge alla Bambina col Frac. S. bambina si avvicina sotto una pioggia elicoidale di samare e chiede: “Diventiamo amici?” S.: “Un uomo in treno e la sensazione di averci già parlato ma non so dove o quando…”. Sotto un precipitare di minuscole ali leonardesche. Sarahs e Miloš si erano già incontrati in un luna park di spaventi adolescenziali; l’Architetto ha venduto l’anima a T–––š B––––k perché non si incontrassero “mai più”, e immediatamente T–––š B––––k si era occultato con la sua latta dietro il mantello nero del Conte. Visioni, dunque, nella scatola di latta > riflessi foresta d’edera > la sposina Sarahs si smarrisce > la Bambina col Frac teme i suoi riflessi nella latta > lettera di psicologi in cui non precisati genitori (alla voce “professione” un burocratico flashback sull’ex-acrobata, e “…lo rividero molti anni dopo, ormai vecchio e solo, a Briwen…”, e una burocratica allucinazione sulla Truut, “si allega un nastro”… i radioamatori e i radioamanti sono pregati di calibrare i loro apparecchi per la prossima trasmissione) “affidano” (“liberamente e volontariamente”) la bambina al Pio Istituto di s. Satiro > Esiste un cosmo sull’orlo del nulla in cui S. entra nella trasmissione radiofonica per descrivere sotto la specie di un luna park quella che ciascuno spera sia l’ultima apocalisse.

LAPIN. È una forma spontanea di allucinazione collettiva precedente a NITA™ e della quale si cerca di raccogliere i frammenti per poter sintetizzare un chiamiamolo farmaco disintossicante da NITA™. Ipotesi sull’identità di Lapin: è Carlos Adra; è, banalmente, il presidente stesso; è Bapak Rolex (già: e se fosse una donna? la Truut? Abbiamo già ricordato il frac armeno con cui si veste di solito?). Ogni capitolo di In cuniculum è la sola versione di In cuniculum all’interno di un viaggio. L’unica cosa (ambigua- ma costante-) mente dichiarata è che sia il maggiordomo di Valmarana. L’aiutante di un aiutante di un aiutante, la cavia di una cavia di una cavia, la vittima di una vittima di una vittima e così via ad libitum.

GIORGIO VALMARANA. È il Favori studioso del barsàla, devastato dalla morte del figlio. È in contatto con Miloš, che lo ha conosciuto per via dei comuni interessi naturalistici, di T–––š B––––k, dell’Architetto, e del videogioco NITA™, riguardo il quale mostra a Miloš alcuni stralci degli atti del processo in corso. Si sospetta, alquanto contortamente, che sia lui stesso Lapin, ovvero il proprio maggiordomo. L’ipotesi non è tuttavia peregrina e risale alle categorie psichiche di merovingio e carolingio, ossia: simili oscillazioni in una soap opera indonesiana non devono sorprendere, essendo ancorate nel profondo e antico amore che il popolo indonesiano istintivamente nutre per la storia dell’Europa altomedievale, un amore in grazia del quale è restituita finalmente a noi europei l’intima gioia di sentirsi animali esotici. Questi, necessariamente a spanne, i termini della questione: i carolingi, essendo inizialmente come ciascuno sa maggiordomi dei merovingi, esprimono in realtà un meccanismo psichico caratteristico dell’inconscio di ogni cittadino europeo. Tanto caratteristico da passare sempre inosservato. Tanto caratteristico anzi che conoscerlo non serve a un bel nulla, ma con Valmarana è così. In ogni caso nonché due parole: dimentichiamo per un attimo l’equilibrio tra conscio e inconscio: noi siamo costantemente padroni di una parte carolingia in attesa di prendere il nostro posto nel dominio dell’impero, e insieme siamo costantemente maggiordomi di un vecchio merovingio incapace ormai di imporre la propria volontà persino ai propri cani. Ovvero mettiamola così: l’anima di ogni europeo è simile a un mazzo di tarocchi mutilo e contaminato con carte raccogliticce, cadute da mazzi estranei; la “guarigione” consisterà perciò semplicemente nel capire quale tra le carte è il re merovingio, e quale il maggiordomo carolingio. Ciascuno, ovviamente ha il suo, egli stati patologici derivano da una presenza malforme di ad esempio due o anche tre re merovingi. Va da sé che tali stati non sono propriamente guaribili. Nessuno guarisce dal medioevo, se non il medioevo stesso. Guarigione è qui anzi un concetto rozzo, brutale e potenzialmente pericolosissimo per gli equilibri del nostro impero. A complicare il diagramma, si tenga inoltre conto che nella parte carolingia è sempre attiva una ulteriore scissione di natura solitamente benigna tra una “zona” carolingia propriamente detta e una “zona” pipinide. Eh. Il medioevo come si sa è l’età delle costanti eccezioni, l’evo patafisico per eccellenza. Non fatevi abbindolare dai lustrini di mosaici e corone imperiali: dietro la prima colonna della cattedrale avreste subito trovato un saturnale di eresie, micropoteri e psicopatologie politiche ancora in attesa di codificazione. Costantemente isolato, separato da tutto, Valmarana ritiene che tutto sia perciò un sogno, e in un altro viaggio è l’isolato terrorista Lapin, che tutto vuole distruggere.

T–––Š B––––K. In gioventù ha lavorato per un complicato gioco di carte di una ditta facente capo ad una famiglia antichissima (forse la stessa del milionario le cui opere bisogna assolutamente che qualcuno si metta a ricopiare?). I consueti movimenti tellurici nelle identità portano a sospettare che sia in effetti lui il Favori del barsàla. Ha uno stile verbale digressivo e depistante, come le finte di uno o più animali braccati. Come un branco di aringhe messo in fuga da un Pescecane. Mastica e inghiotte e strangola e sorride.

GIORGIO GIORGIO. Sacerdote scomunicato devoto di san Satiro, che descrive come un Pulcinella girovago. Uno dei sermoni che hanno portato alla scomunica inscena un dialogo oltretombale tra il santo e alcuni diavoli “in pausa”. Una sua carta da gioco / santino viene ritrovata da Miloš tra le pagine di una delle opere che il milionario esige siano ricopiate. Il personaggio viene nominato per la prima volta in un rapporto della polizia che teme si tratti di un terrorista che comunica coi propri complici attraverso omelie in codice, un anarcoinsurrezionalista cristiano, già nientemeno che i distruttori dell’impero romano, coloro che disprezzano il corpo e con il corpo ogni protesi creata per dissimulare la psiche, e di cui (del corpo, o delle protesi per esso) loro sono disposti a rinunciare, di cui sono pronti a privarvi implacabili. Linee di pensiero: di due tipi, una interna e una esterna (una merovingia e una carolingia) –––– Prediche di Giorgio Giorgio confrontate con i suoi appunti personali. «La ricerca legata alle intelligenze artificiali scoperchia capacità del cervello umano prima invisibili, rende oggi reali, vale a dire tecnica- e cronologica- mente attingibile, l’immortalità dell’anima e la reincarnazione.» Paramenti sacri che nascondono fucili, bombe a mano, coltelli da caccia, cinturoni di proiettili esplosivi, crocifissi-bazooka, tecniche di combattimento con turiboli, aspersori, calici e stole.

IL PRESIDENTE ARCHITETTO. La sua descrizione è attesa da troppo tempo. Piedi molto piccoli. Pelle molto chiara e, come dice lui, “intonsa”, quasi da neonato. Da dodicenne. Talvolta si assottiglia fino a farsi trasparente come ossidiana, serpentina, e il Presidente sembra allora sul punto di trasformarsi in una figura di vetrata. In un suo confusissimo diario parla a lungo di Giorgio Giorgio. Risale la corrente come un salmone, facendosi risucchiare o risucchiando chi incontra sul proprio, come lo chiama lui, salmon-path, come ad esempio in: Presidente < Acrobata < Padre della Bambina col Frac < Gianni Sherwood pazzo di dolore (ovvero queste sono, come dirà Gianni stesso, le sue “telenovele”). Risata di donnina giapponese, oscurità, volgarità. “Se credi che sia come nelle commedie ti sbagli, tu e io siamo la rovina finale, l’ultimo avanzo dei demoni che fummo”. “La vendetta… no, il ritorno… vederla ritornare… Ma alla fine era il piacere, hi hi hi hi hi hi hi hi hi hi hi, il piacere di affondare le dita nel mio cuore sempre più rinsecchito, sì… infilare le dita come in una vecchia passerina che non si raffredda mai… hi hi hi hi hi hi hi hi hi hi hi…”

“Come progressive intercettazioni e interferenze radiofoniche, è sempre la stessa voce che oscilla qua e là sempre più debole, o sempre più forte? Io non lo so più… Come in un canone per augmentationem la cui ultima voce è talmente dilatata da svanire nel nulla, la prima talmente rimpicciolita da essere indistinguibile dal nulla, come un villaggio riflesso nella lacrima di una biondina che precipita seduta su un finto Vascello di un vecchio Vampiro che non vuole morire… augmentationem e diminutionem insieme… Io non ho mai avuto il controllo sulla macchina… Volevo solo, volevo salvare la mia… Bambina col frac, io non ricordo più nemmeno come si chiama…” “Non sono viaggi come potrebbe intenderli un ragazzino imbottito di fantascienza, è un progressivo sfalda- e sfilaccia- mento e ramificazione della carne, e può avvenire perché la carne non muore mai… mai… sì, la stessa parola mai attraverso i viaggi si sfaccetta e sfilaccia all’infinito, come un fungo che si sfa nei diecimila tentacoli di una medusa, perciò tanti viaggiatori, tanti mai… i Vangeli sono stati scritti per rivelarlo, la religione è stata fondata per nasconderlo, e qui è stato lo stesso. Era stata come al solito una scoperta tecnica casuale…”

***

Miloš stringe la mano di Sarahs mentre il Vascello di Dracula precipita. Il villaggio di Waltzwaltz formicola nella lacrima della ragazzina, inespugnabile. Qualcuno fischietta un notturno di Chopin da dietro il mantello del Conte. Forse non è che un fischietto meccanico. Poi Miloš comincia a distinguere tra i vicoli lievemente anamorfizzati del villaggio riflesso e miniaturizzato nella lacrima di Sarahs, i passi e il di un vecchietto talmente minuto da sembrare un elfo. Sta pinzando con le dita il piccolo sole che illumina il villaggio, e Miloš si sente come pinzare per la collottola e capisce che il vecchietto sta cercando di catturarlo, ma non sa cosa fare: se stringe la mano di Sarahs per trascinarla con sé dentro la sua stessa lacrima la contorsione del movimento potrebbe spezzarle il collo o strapparle un braccio, come si può essere risucchiati nelle proprie stesse lacrime senza come minimo rompersi una gamba? Perciò Miloš esita… È a quel punto che al fischio, proprio dietro le loro spalle, si aggiungono i lenti arpeggi di una chitarra di mare, e il finto manichino di marinaio alle spalle dei due ragazzini sputa i canini finti e facendo dondolare i suoi occhi di bambola messicana bisbiglia “La conosco io, la geologia della Transilvania, hi hi hi hi hi hi hi hi hi hi hi! Pronti? Un due tre––”

[continua il 22 maggio]