Presiden arsitek/ 40

Come che fosse, lampadari o non lampadari, nel corso degli anni era potuto capitare, a chi nella bella stagione passasse per i rioni in cui Sommariva abitava, di incappare in un corpo riverso nelle vicinanze di un muro di gelsomini, come all’inizio di un buon vecchio mistery inglese.

di in: Presiden arsitek

“Né vi dovrà esser grave perché io, per ben dir la novella compiuta, alquanto in parlar mi distenda, se al sol guarderete il qual è ancora a mezzo il cielo”.

Una volta che sia dato l’argomento del racconto in un riassunto di poche parole, si è poi liberi di allungare o restringere a piacimento tale racconto, come una fisarmonica. Il riassunto del racconto e il racconto stesso indicano solo due degli infiniti punti attraverso i quali passa la retta della narrazione, retta per la quale se è abbastanza facile trovare l’inizio (che è poi il silenzio in cui il cosmo è e sarà sempre inghiottito) è più arduo viceversa stabilire con esattezza la fine, tanto che sarebbe possibile dilungarsi attorno a qualsiasi oggetto fino a perdersi nell’indeterminato (chi volesse qui intravedere il prospettarsi di un’ecpirosi da e nel silenzio, faccia pure, non sono certo affari nostri). Si può allora immaginare un terzo racconto più lungo ancora, e un quarto di cui il terzo sia solo il riassunto, e così via all’infinito, di riassunto in racconto come di padre in figlio, sempre trovando nuove pieghe e nuovi dettagli con cui intrattenere il lettore a seconda di quanto sia alto il sole, o come se fossimo sotto la continua sollecitazione di un ottuso commissario di polizia assetato di informazioni. Noi tuttavia, sebbene non possiamo sapere a che punto del cielo si trovi il sole, giudicando di esserci distesi a sufficienza immagineremo che abbia già superato la metà del cielo e che anzi sia vicino il tramonto, e perciò cercheremo di affrettarci a concludere questa storia.

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Mi sembrava che la giornata non finisse mai. Avevo appena finito di pulire di là, neanche il tempo di risistemarmi i capelli, che arriva un altro cliente. Che razza di fantasia di venirsene fin qui, con tutti i bei posti che ci sono a quest’ora.

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(Continua l’allegato alla lettera del prof. Favori al prof. Zanna) «Ritenuto fino al 1700 inoltrato poco più di una creatura leggendaria, dato che i suoi ultimi avvistamenti risalivano ad epoche anteriori alla nascita di Cristo (se ne danno splendide raffigurazioni di epoca micenea), il barsàla era rimasto oggetto degli studi di archeologi e critici d’arte, o al limite di filosofi, piuttosto che di biologi e scienziati, fino a quando i due viaggiatori inglesi Edwig e Werner Rinkler, sul finire del sec. XVIII, non ne avviarono lo studio su base scientifica, dopo il ritrovamento di alcune tracce di b. sepolte sotto un cumulo di sabbia al largo di Bari, in Italia. Tali studi diedero l’avvio alle importanti scoperte e ai fondamentali esperimenti di J. Zabrovnik e dei suoi due allievi, B. Karadar e T. Brušek, i quali giunsero alla conclusione, oggi comunemente accettata, che il b. sia il prodotto di una mutazione del →corallo avvenuta durante l’era giurassica.»

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Ormai fa già un freddo tremendo, il sole con quella montagna davanti va via alle tre del pomeriggio, e in più fin da dopo pranzo viene su dal lago un vento ghiacciato e nero, però la gente lo stesso continua a venire a bere il caffè, come questo qui. Dovevo chiudere tra un’ora, quindi c’era tutto il tempo, il cartellino con l’orario era appeso fuori e lo vedevano tutti, e anche se mio fratello era già andato via mica potevo dire che era chiuso. Una sera ho provato a mandare via una persona dicendo che era già chiuso, ma quella è tornata il giorno dopo ed è andata subito a lamentarsi da mio fratello. Io non pensavo che fosse importante. Comunque, per non dover sentire un’altra volta mio fratello che mi sgrida come se fossi una scema, questo qui non l’ho mandato via, anche se in realtà avrei dovuto mandarlo via. Adesso lo so che dovevo farlo, ma lì come facevo a capirlo?

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«Curiosamente, non appena l’animale si vide sottratto al regno della leggenda, gli avvistamenti di nuovi b. vennero moltiplicandosi, fino ad arrivare alla situazione odierna, in cui il b. costituisce un contorno abituale della vita costiera mediterranea, tanto da essere addirittura diventato una delle maggiori fonti di reddito per una comunità di pescatori dei dintorni del lido di Pomposa, di nuovo in Italia.»

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Di quanto avvenne durante la trasmissione Invito a cena, perciò, e di tutte le discussioni, talvolta molto accese, che si ebbero davanti alle varie portate, e dei vari commenti di Giorgio Benvenuti ai piatti serviti, non si darà un resoconto particolareggiato.

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Quasi nessuno dei progetti letterari di Giorgio Sommariva vide la luce o superò le fasi embrionali di sviluppo, e di molti di quei progetti le testimonianze sono quanto mai malcerte, dovute al chiamiamolo così entourage (meglio sarebbe dire tribù) del Nostro, una mutevole e viscida conventicola di studiosi, galoppini e lacché accademici che amava accodarsi al Sommariva degli ultimi anni, vecchio leone sdentato su cui quelle povere anime potevano sfogare impunemente il livore accumulato nel corso di intere vite dedite alla prosternazione. Era insomma diventato una sorta di gioco di società quello di attribuire a Sommariva ogni sorta di bizzarria editoriale, tanto che di molti progetti famigeratissimi nessuno avrebbe saputo ormai dire se effettivamente fossero a suo tempo stati accarezzati da Sommariva o non fossero piuttosto un’invenzione dei suoi seguaci persecutori.

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VALMARANA: (Tiene davanti a sé una striscia di carta con fare tra lo scientifico e l’amoroso. Rivolto all’uomo mascherato) Esaminata in controluce, mia moglie risulta essere in filigrana doppia e, giusta almeno la mia lettura del Briquet e del geroglifico impresso nella carta, dovrebbe essere stata prodotta a Venezia nel 1651. 1651. Quindi contando anche quest’anno fanno circa… (Ride) A volte, per scherzo, la chiamo “la mia carampana”, poi le stampo un bacio sulla fronte, così. (Bacia la carta. Pausa. Agli uditori, cercando di non farsi sentire dall’uomo mascherato) È difficile da spiegare, ma di fatto sono certo che la carta ha due occhi. Forse anche più di due. Voglio dire mia moglie. La carta. Sì. Lei su questo argomento è estremamente riservata, ma a volte, fingendo di dormire, l’ho sorpresa china su di me con gli occhi aperti. Quando mi sono tirato su, si è voltata di scatto, nascondendo gli occhi e assicurandomi che avevo solo sognato.

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Almeno però lui si è messo a guardare il bancone del bar. Nessuno lo guarda mai, anche se ci ho messo più di quattro giorni per decorarlo, più tutto il resto del tempo per andare a comprare i barattoli di vernice, i pennelli, tutto. Lungo il bancone, in basso, ho dipinto il bar sulla spiaggia, solo che al posto dei clienti ci sono degli animaletti, un coniglio che beve il caffè, due castori con i castorini che pranzano insieme, due pappagallini che si abbracciano ai tavolini di fuori. Ci sono anch’io, che do un cono gelato a una cornacchia. Avevo preparato il dipinto per l’anniversario del bar, dieci anni da quando–– ma appena l’ha visto si vedeva bene che a mio fratello non era piaciuto. Per non essere troppo villano mi ha solo detto che noi non vendiamo coni gelato, ed è vero, e non ricordo più perché ho dipinto il cono gelato, forse solo perché mi faceva ridere una cornacchia che mangia il gelato, o perché una volta, quando ero ancora una bambina, una volta il gelato mi è caduto per terra, e se lo sono mangiato gli uccelli, e poi le foglie morte hanno coperto tutto il resto.

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«I pescatori di Pomposa hanno sviluppato una tecnica di recupero ed essiccazione del cadavere del b. vittima della marea: beninteso, tutta l’operazione deve essere compiuta prima che l’alta marea distrugga definitivamente il corpo della bestia. Il momento più difficile dell’operazione è, come si può facilmente immaginare, individuare il b.: dato l’aspetto antropomorfo dell’animale, nei momenti di bassa marea è facile scambiare con un cadavere di b. quello che in realtà non è che un romantico camminatore soffermatosi un po’ davanti alla superficie marina, e più volte anzi tale somiglianza ha dato luogo ad incidenti imbarazzanti. È famoso il caso del poeta bosniaco Decor, che durante il suo viaggio in Italia fu vittima di ben tre errate catture, secondo quanto riportato dal quotidiano italiano Il Po del 1897.»

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VALMARANA: Oltre agli occhi, mia moglie ha anche un aculeo, molto affilato, lungo come uno spadino da parata. (Pausa) Ora non li trovo, né lo spadino né gli occhi (Bisbiglia alla carta) Non vuoi tirare fuori l’aculeo? Per favore. No? (Pausa) Non stavo sognando. Facevo solo finta. Sapevo benissimo di essere sveglio e sono sicurissimo di aver visto gli occhi e lo spadino di mia moglie. (Pausa) E poi è successo più di una volta. (Lunga pausa) Come ogni cosa di cui non vuole parlare apertamente, anche questa faccenda degli occhi alla fine si è trasformata in un gioco. Il gioco funziona così: dopo aver cenato, io mi spoglio, mi sdraio sul letto e fingo di addormentarmi. A volte, russo molto rumorosamente, imitando un maiale, così. (Chiude gli occhi e si mette a ronfare caricaturalmente, con tanto di fischio durante l’espirazione) A un certo punto un fruscio di carta mi fa capire che la mia sposa sta trattenendo una risata, così. (Stropiccia il pezzo di carta. Continua, con sempre maggiore energia. Non riesce a smettere. Dagli occhi si dissolve ogni luce umana. Continua a stropicciare il foglio sempre più violentemente. Forse inizia anche a emettere una specie di bassissimo muggito. Si riscuote. Smette di stropicciare il foglio e comincia ad accarezzarlo come l’avesse ferito, bisbigliando dolcissimamente, sull’orlo delle lacrime. Forse si asciuga persino gli occhi prima di ricominciare a parlare.)

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A nessuno piace il dipinto sul bancone e non lo guardano mai, e infatti fa schifo, e anche se tutti dicono che non è vero faccio schifo anch’io, sono solo una figurina pitturata male sul bancone di un bar schifoso, è così che il buon Dio ha voluto farmi, solo che non lo devo dire. Ma è la verità, perché la verità non si deve mai dire?

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«Una volta individuato, il cadavere deve essere avvolto con una rete molto leggera, a maglie molto fini, e inumidita d’acqua dolce; poi va sollevato avendo cura che non subisca nessuna ulteriore mutilazione oltre quella della lingua; infine, il cadavere del b. va depositato in una fornace di pietra di forma molto allungata, e, in capo a due giorni di essiccazione, prosciugato d’ogni umore marcescente, il corpo di legno putrido si tramuterà in una statua di corallo.»

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VALMARANA: Comunque. Lei si china su di me, si avvicina fino a sfiorarmi la guancia, e allora io apro gli occhi di scatto, e lei si accartoccia, frusciando. Io rimesto tra i fogli, alla ricerca dei suoi occhi, ma è tutto inutile e allora mi metto a ridere, felice. (Musica. Si strofina addosso la striscia di carta. Dondola con lei, forse è un ballo. Ad un certo punto dal groviglio tra i due cade una lettera. L’uomo mascherato si alza e la raccoglie. La apre, ci dà una scorsa poi se la infila in una tasca e si risiede. Dopo un po’, Valmarana si ferma. Si sdraia sulla branda e resta così per quasi un’ora, sonnecchiando, poi si tira su. Si stropiccia gli occhi. Rivolto all’uomo mascherato) Un’altra lattina! (Pausa) Cioè, un’altra scatola. Volevo dire un’altra scatola. Sì. Non ho voglia di aprirla, tanto lo so già: un altro esemplare. (Pausa. Apre la scatola con furia, e ne tira fuori una seconda scatola più piccola. Fruga ancora, disperatamente. Tira fuori strisce di carta e fili di paglia. Finalmente trova un vasetto di pomata. Se la spalma addosso, provando un sollievo immediato alla sua improvvisa frenesia) Volevo dire un’altra scatola. (Pausa) L’ultima volta che ho visto Brušek è stato al ritorno dal mio viaggio nelle isole, quando gli ho portato lo schedario pieno di esemplari. Tutti morti. (Sottovoce) –tti morti.

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Ci si contenti di sapere che ad un certo punto, per esempio, il romanziere Lhorenzho Sommariva (il quale fin dall’inizio aveva dichiarato che di quella intricata vicenda “era necessario parlare, perché quello del doppio è uno dei simboli della nostra angoscia, e parlandone noi scaviamo dentro noi stessi e conosciamo meglio noi stessi e il mondo”, o qualcosa del genere), infervorato da una sua certa idea su come dovevano essere andate le cose, si era messo ad elencare tutti i punti dell’indagine istruttoria che “sono punti che fanno acqua peggio che Carletto: primo, il certificato di nascita di Marjo Salvati risulta a tutt’oggi introvabile; secondo, i suoi campioni di sangue, inizialmente, erano stati scambiati con quelli di un’altra persona…” Lhorenzho Sommariva aveva contato queste stranezze prendendosi la punta delle dita man mano che le elencava, come se il catalogo dovesse essere molto lungo, ma a quel punto si era interrotto e era venuto direttamente al nocciolo della questione, mentre il dottor Abrahmo Farvata, che pur non essendo responsabile di quegli errori era in qualche modo chiamato in causa come rappresentante della sanità nazionale, lo fissava a braccia conserte; il romanziere Sommariva dunque proseguì in questo modo: “…tutta una serie di errori inauditi…”, il dottor Farvata aveva più volte scosso il capo, ma Sommariva non se n’era dato per inteso, “sissignore, inauditi in un Paese come il nostro, in un’epoca come la nostra!… [NOTA: Il romanziere Sommariva appartiene a quella ristretta categoria di persone in grado di far sentire, parlando, la differenza tra maiuscole e minuscole, come in “Paese”, che ogni ascoltatore percepì incontrovertibilissimamente con la P maiuscola] e ora, dopo tutto questo, pretendete ancora che si creda così, ciecamente, che in ultimo siate riusciti a fare ogni cosa correttamente? Non sarei stupito se tra qualche anno si scoprisse che i DNA di Marjo Salvati e Luijgi Decor sono stati scambiati nuovamente con quelli di chissà chi.”

“Questo è assolutamente impossibile.”

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A forza di strofinarci contro le ginocchia quando sono seduti sugli sgabelli, hanno fatto venire via il colore, e adesso sembra che in mezzo alle bestiole ci sia una specie di nuvola grigia, e al coniglio che beve il caffè è venuta una faccia tutta storta e rovinata, però a me piace ancora, e non appena avrò i soldi per dei nuovi colori lo rimetterò a posto, perché non me ne frega niente se io e le mie bestiole facciamo schifo, le persone che ridono del mio disegno non sanno come si fa a volersi bene o anche soltanto a volere bene, macché, ti ridono dietro quando glielo dici, perché loro vogliono solo la bellezza, loro vogliono la bellezza e la bellezza e la bellezza, ma poi cosa viene dopo la bellezza? Lo sanno quelle persone? Meglio che non lo dico cosa c’è, che poi tanto lo scopriranno lo stesso da sole.

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VALMARANA: (Sottovoce) ––tti morti. (Voce normale.) Non era arrabbiato, in quel momento gli esemplari non lo interessavano tanto. Voglio dire che non gli interessava se erano vivi o morti. Lavora sempre su più animali per volta, e per gli animali più particolari––– ma lo sa lui quali sono quelli particolari, io non ne so niente di questo, anzi, a dirla tutta a me sembra che un animale valga l’altro. Un animale vale l’altro. (Mentre Valmarana continua a parlare, l’uomo mascherato si alza e inizia a scrivere sulla lavagna la frase “un animale vale l’altro” fino a riempire la lavagna, poi si risiede) È andato su tutte le furie quando sono entrato nel suo studio senza avvertirlo. È così che ho potuto vedere i granchi. (Pausa) Non ne sono contento. Per niente. Proprio per niente. (Pausa) No. Forse non erano nemmeno granchi. Erano solamente simili ai granchi. Avevano un colore arancione chiaro, da aragosta, e lui li stava spostando da una scatola di latta a un’altra. Non so perché abbia questa fissazione per le scatole di latta. Sembrano le scatole dei biscotti delle vecchiette inglesi, solo che non sono colorate, e a volte dentro le scatole gli esemplari sono vivi, o almeno di certo lo erano i granchi che ho visto, mentre Brušek li spostava da una scatola di latta all’altra. Non so se dentro le diverse scatole ci siano speciali liquidi o pomate, insieme agli esemplari, come delle provviste. (Pausa) Avevano un colore arancione chiaro come aragoste e lui li stava spostando da una scatola in un’altra più grande. Erano stati deformati dalla sequenza di trattamenti, ed ora gli era rimasta soltanto una grossa chela, articolata come, come posso dire, come un giocattolo per bambini, come se qualcosa nelle giunture fosse stato slogato e riassemblato a maggiore disperazione dell’essere. Il resto delle zampe era rattrappito, più corto del normale. Erano coperti da pezzetti di una specie di ragnatela sottilissima, una secrezione della loro corazza. (Pausa) Non occorreva nemmeno catturarli, si arrampicavano da soli dentro un mestolo metallico, come quelli che si usano in cucina. Si muovevano con delle orribili mosse da orango, scivolavano nel mestolo… (Pausa) Non ne sono per niente contento. Per niente. (Pausa) Orribili. Docili. (Pausa)

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A volte i ragazzini si mettono a ridere davanti al dipinto, mi guardano e si chiedono ad alta voce che cosa aveva in testa il padrone per mettere nel suo bar un disegno che sembra fatto da un bambino dell’asilo.

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«Il corallo di b. è molto ricercato tra i conoscitori, non tanto per la sua bellezza e la sua rarità, quanto per la sua capacità di esercitare influssi magici, taluni decisamente stupefacenti, e per la massima parte dannosi.»

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“Questo è assolutamente impossibile”, rimbeccò il dottor Farvata, ma il terreno era infido: durante le prime fasi delle indagini, infatti, tra le altre cose era anche successo che i campioni di sangue di Luijgi Decor e Marjo Salvati venissero scambiati, e che solo dopo alcuni giorni l’equivoco (che ovviamente ormai aveva suscitato un nuovo sciame di ipotesi deliranti, nonché rinfocolato la sfiducia nel sistema investigativo) venisse chiarito. E Lhorenzho Sommariva infatti rispose: “Anche che due campioni di sangue vengano scambiati tra loro dovrebbe essere impossibile, o sbaglio?… o sbaglio?… o sbaglio?… mi dica se sbaglio o no”, insistette, dato che il dottor Farvata rimaneva in silenzio; Fontana, temendo che discutere troppo a lungo di ipotesi tanto fantasiose potesse far deragliare verso il parapiglia la sua trasmissione, cercò di zittire Sommariva dicendo che dopotutto il dottor Farvata non poteva essere messo sotto accusa per quegli errori, che non erano in nessun modo da imputare a lui, ma l’altro insisté: “Nessuno lo sta accusando, ma almeno mi deve dire se sto sbagliando o no… Dottore… Dottore, sto sbagliando o no?… Dottore?… Dottore?… Sto sbagliando o no?… Sto sbagliando o no, dottore?… Sto sbagliando o no, dottore?… Sto sbagliando?… Sto sbagliando?…”

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Se strappassero le pagine di tutti i libri che avete letto e le sparpagliassero sul pavimento della vostra camera, sapreste capire con certezza quale pagina viene da quale libro, quale lacrima da quale racconto, quale spada e quale bacio notturno? E se facessero lo stesso con la vita che viviamo e tutte quelle che crediamo di non aver vissuto, strappandole e riarlecchinandole insieme a casaccio? ––––––– E se questo fosse stato già fatto, in un altro tempo a noi del tutto inaccessibile e da un essere altrettanto inaccessibile e che solo in ragione di questa inaccessibilità saremmo costretti a considerare un dio? Come potremmo capirlo? È il caos dell’esistenza un indizio sufficiente?

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VALMARANA: Brušek si voltò verso di me solo dopo aver sistemato l’ultimo granchio nella scatola di latta. Era furioso perché ero entrato durante l’esperimento. Ma come potevo saperlo. Da dentro la gabbia i granchi facevano un suono come una fanfara di nacchere lontane. (Pausa) Si calmò solo quando gli indicai lo schedario. Lo studio di Brušek sembrava uno di quei labirinti di specchi che hanno gli zingari sui loro carri. (Sottovoce. –––ngari sui loro carri. (Voce normale) Non aveva gabbie, aveva solo cofani di latta come questo. Non si poteva dire cosa contenessero le gabbie. Erano tantissime. La latta ci rifletteva. Me. Lui. Gli esemplari. Tutto. (Pausa. Fa l’atto di specchiarsi nella scatola delle scarpe) La latta è riflettente. L’esemplare dev’essere morto. Non importa. (Pausa. Poi, improvvisamente, urlando all’uomo mascherato) Ho avuto anch’io una madre! Ho avuto anch’io una madre! Ho avuto anch’io una madre! (Pausa. Voce normale) Mi raccontava sempre la stessa favola, sempre con le stesse parole, tanto che le ricordo ancora perfettamente… Il re dei pappagalli… (Si avvicina all’uomo mascherato, si siede ai piedi della poltrona e appoggia la testa sulle sue ginocchia. L’uomo mascherato lo accarezza, poi dopo un po’ inizia a suonare l’harmonium mentre Valmarana recita a memoria la favola con bimba voce cantilenante, la testa che sale e scende al ritmo delle gambe dell’uomo mascherato che si alzano e abbassano per azionare il mantice a pedali dell’harmonium.)

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A quel punto, dato che il ragazzo era rimasto chinato dietro il bancone per guardare il dipinto, io rimasi a guardare il lago e a ripensare all’altro, quello che era venuto prima di lui, e stringevo forte il bordo del bancone, arrabbiata, come se fossi sola, e aspettavo che le dita mi diventassero bianche a furia di stringere, bianche come le zampette del coniglio, magari così sarei potuta finire davvero dentro il disegno sul bancone così mi avrebbero finalmente lasciato in pace, e quando lui si tirò di nuovo su cacciai un urlo tremendo, perché l’avevo scambiato per l’altro. Lui guardò dietro di sé e poi si palpò un po’ con le mani, tremando, come cercando qualcosa di spaventoso che gli era caduto addosso, ma io a quel punto mi ero già messa a ridere.

Ordinò un caffè.

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Per questo al Pio Istituto di S. Satiro ai nostri studenti noi non chiediamo soltanto riassunti, ma anche il procedimento inverso: dato un qualunque segmento di testo, supporre che esso sia (come meta- o se si vuole para- fisicamente di fatto è) il riassunto di un testo più lungo, e scrivere quel testo per esteso, come in un paziente restauro, o come il disseppellimento di un vampiro.

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«Fu Brušek in particolare, in seguito a una serie di esperimenti di cui ci resta un resoconto nel suo diario scientifico Quattro anni a Pomposa, a determinare con certezza alcuni degli effetti del corallo di b. In particolare, Brušek trovò che, ridotto in polvere e mescolato nel latte, il corallo di b. provoca tumori nelle ossa dei →cani e dei bambini che bevano quel latte; appoggiato sulla gola di un uomo in determinate circostanze climatiche, può determinare il formarsi di una grossa vescica da cui in breve tempo escono →vermi urticanti; di quattro collaboratori di Brušek che per caso si erano tenuti un pezzetto di corallo nella tasca del cappotto, tre si suicidarono con un volo dalla finestra, e il quarto, che come gli altri aveva tentato il suicidio nello stesso modo, non morì ma rimase bloccato su una sedia a rotelle.»

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VOCE REGISTRATA DI VALMARANA: Oggi, con nuova formula depotenziata dopo gli indesiderati suicidi di massa a Varsavia, torna finalmente la Pomata per la Creazione Automatica DAEMONITA®! Basta una sola passata per essere immediatamente investiti da un flusso di immagini scolpite in tubi di neon effervescente. Maiali giganti, fiori carnivori, meduse di fuoco… e con loro il bisogno urgente di descriverli nel modo più dettagliato possibile. La formula depotenziata della Pomata per la Creazione Automatica DAEMONITA® permette oggi anche la Creazione Automatica di una serie di Eternità Tormentose Standard meglio note al pubblico come Inferni. Ecco a titolo d’esempio l’Inferno numero 8: (Valmarana mima la scena man mano che la voce registrata la descrive: prima è sdraiato sulla branda, poi si guarda intorno etc.) un uomo si sveglia in una branda, in un sudicio laboratorio; si guarda intorno e lentamente riconosce gli oggetti: sono parti di un incubo che ha appena fatto e che l’ha svegliato; man mano che l’uomo si rende conto di avere sognato il laboratorio stesso in cui si è svegliato, lo coglie il terrore di stare ancora sognando e allora… ZAC! (Buio) si risveglia (Nuova luce, di un altro colore. Valmarana è di nuovo sdraiato e si risveglia di nuovo, facendo esattamente gli stessi movimenti di prima) e cosa vede? Di nuovo il maledetto laboratorio del suo incubo; man mano che nuovamente l’uomo si rende conto di avere sognato il laboratorio stesso in cui si è svegliato, lo coglie il terrore di stare ancora sognando e allora… ZAC! (Buio) si risveglia (Nuova luce e Valmarana sdraiato, come prima) e cosa vede? Di nuovo il maledetto laboratorio del suo incubo; man mano che nuovamente l’uomo si rende conto di avere sognato il laboratorio stesso in cui si è svegliato, lo coglie il terrore di stare ancora sognando e allora… ZAC! (Buio) si risveglia (Nuova luce e Valmarana sdraiato, come prima) e cosa vede? (avanti così ad libitum e sfumando a un borbottio. Ad ogni risveglio la luce è differente, mentre i movimenti di Valmarana sono sempre identici. Quando il borbottio si è fatto abbastanza tenue, si avvia una seconda registrazione, senza che la prima si interrompa o finisca la pantomima di Valmarana. Quando la seconda registrazione è finita, la prima sta ancora andando avanti e sfumando. Le ultime parole che si sentono devono essere: “si risveglia e… cosa vede?”).

SECONDA VOCE REGISTRATA DI VALMARANA: (In sovrapposizione alla prima come detto. Veloce, pragmatica. Il suo intervento si conclude prima che finisca la prima registrazione.) Come tutti gli Inferni indotti dalla pomata DAEMONITA®, anche l’Inferno 8 può, se la pomata viene applicata nel modo corretto, proseguire in eterno ovvero sino all’esaurimento dell’energia del soggetto, sebbene ciò non abbia importanza per il soggetto stesso, il quale comunque sia ad ogni risveglio continuerà ad avere la certezza metafisica e garantita che la catena di risvegli prosegua ineluttabilmente da un tempo immemorabile e stagnante. Pomata per la Creazione Automatica DAEMONITA®. È un effetto collaterale della Pomata Cicatrizzante Brušek, presto nelle vetrine di tutti i droghieri.

PRIMA VOCE REGISTRATA DI VALMARANA: (Conclude come detto) …si risveglia e… cosa vede?

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“No, non sta sbagliando”, dovette infine concedere il dottor Farvata, badando comunque a usare il tono con cui si concede un capriccio a un bambinetto viziato. E poi, il romanziere Sommariva aveva tante volte ripetuto la domanda “Sto sbagliando?”, che probabilmente buona parte degli spettatori aveva già dimenticato intorno a cosa Sommariva stesse sbagliando o no. Ma Sommariva, non ancora soddisfatto, aveva incalzato ancora, e aveva detto, “E anche se non fosse per il DNA, come non pensare, voglio dire, come non trovare sospetto che Luijgi e Kecilja si siano fidanzati? io lo trovo inconcepibile…”

“Caro Sommariva, abbiamo capito il suo punto di vista”, era finalmente intervenuto Fontana, “ma ora la devo interrompere per parlare della prossima portata: chef, a lei la palla…”

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«Appoggiato in un cesto di frutta, il corallo di b. tramuta le →albicocche, nel momento in cui vengano addentate, in →ragni; chi taglia con una spada un pezzetto di corallo, maledice quella spada; chi tiene per troppo tempo presso di sé un’intera statua di corallo, viene ridotto alla pazzia da un formicolare infinito di immagini tormentose: cosa che in effetti accadde allo sfortunato collega di Brušek, B. Karadar, attualmente in cura presso un Istituto la cui denominazione è tenuta strettamente riservata dalle autorità preposte, così come è mantenuto il più assoluto riserbo sullo pseudonimo al riparo del quale il dottor Karadar è ricoverato.»

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È da credere che persino Sommariva, specie verso la fine, fosse ormai incapace di distinguere la propria vita dall’epos cialtrone in cui era stata intrisa, e che prendesse anche lui per buone le storielle che la ghenga erudita merlettava alle sue spalle, come quella della definitiva edizione critica dell’Eneide, che avrebbe dovuto consistere in un rogo di tutte le copie esistenti, manoscritte e a stampa, del poema: con ogni evidenza una panzana dei suoi perseguacutori, ma dal cui fascino postribolare Sommariva, definito da uno studente di belle speranze ossia di bella mafia, con ridicolo già professorale sussiego già insterilito e institichito dal grigiore della sua imminente carriera, definito dicevamo il Sommariva da costui “un impenitente lettore della Riconquistata da una parte, del Fermo e Lucia dall’altra”, si era lasciato, sempre lui, il Sommariva, in più di un’occasione sedurre (dal fascino della suvverbigraziata piroecdotica virgiliana): come in: « Entra qui in gioco il problema della volontà, e l’idea in fondo assai balzana che l’ultima volontà debba per forza essere anche quella buona».

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Mi piacciono le persone che fanno così: entrano, ordinano qualcosa, lo finiscono, lo pagano, mi salutano e vanno via. “Fanno così quasi tutti, che c’è di bello”, mi ha risposto mio fratello quando ho cercato di spiegarglielo, e lo so anch’io che detto così è stupido, ma è perché spiegare le cose stupide è la cosa più difficile del mondo, non ho mai conosciuto nessuno capace di farlo.

Questo qui comunque era diverso, perché invece di bere, pagare e andare via è restato lì a guardarsi intorno, ma alla fine era simpatico anche lui, e sembrava un bambino in gita a un museo o a un castello, invece di un cliente del bar, e io pensai che assomigliava al coniglio del mio disegno.

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In un altro momento della cena (i piatti con le corazze svuotate delle aragoste erano già stati portati via) don Giorgio Giorgio, che cercava di prendere le parti del signor Decor suo ex parrocchiano, si lasciò andare ad una serie di considerazioni più generali riguardo il mistero che avvolgeva il caso del sosia, e disse: “Il fatto è che semplicemente la morte di questo individuo, sia o non sia il signor Salvati”, e qui il dottor Farvata aveva allargato le braccia esasperato e aveva fatto l’atto di volersi alzare dal tavolo, tanto che Fontana era dovuto accorrere e trattenerlo mettendogli una mano sulla spalla, “io non mi voglio pronunciare su questo punto…”, aveva proseguito don Giorgio Giorgio, “non mi voglio pronunciare perché non è il mio mestiere, ma… insomma quello che voglio dire è che semplicemente perché un uomo è morto in circostanze strane allora non è necessario che tutta la vita delle persone che erano con lui al momento della sua morte diventi misteriosa: pare strano che i genitori di Luijgi siano morti prima di questa disgrazia, ma in fondo che c’è di misterioso nell’essere rimasti orfani a causa di un incidente automobilistico? pare strano che Marjo Salvati non frequentasse nessuno da almeno tre anni prima della disgrazia, ma che c’è di strano nel non essere riusciti a trovare lavoro per tre anni? e infine, che c’è di misterioso nell’avere un sosia? Date retta a me: i misteri di questo mondo sono ben altri…”, al che Fontana aveva creduto di intervenire con: “Alt, padre: la mistica me la riservo per una prossima puntata… e la invito fin d’ora, ma la tengo per avvisata che, in obbedienza ai precetti evangelici, la cena sarà a pane azzimo e erbe selvatiche… Nel frattempo, la prego, atteniamoci alle cose di questo mondo, e che riguardano solo il caso di questa sera”, al che don Giorgio Giorgio, sorridendo bonario, si era chinato sul piatto, fissando il proprio volto riflesso nella superficie del brodo con royale.

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«Che cosa noi veramente vogliamo? Perché tanta importanza a volontà e desiderio? Volontà e desiderio non sono nulla senza conoscenza. La grandissima parte delle miriadi di racconti sul viaggio nel tempo parla in fondo di questo: viaggio nel tempo per correggere dei passi erronei che volontà e desiderio mi hanno fatto compiere. La conoscenza umana non potendo che essere limitata, anche volontà e desiderio non possono che avere un peso ridicolo nella considerazione nostra come altrui. Se conoscessimo ogni aspetto dell’esistenza futura, i nostri desideri e la nostra volontà sarebbero diversissimi da quel che sono ora: non però la nostra anima. I desideri e la volontà non dicono nulla della nostra anima. E Merlino dopo aver ricevuto dal diavolo la conoscenza del passato e del presente ricevette da Dio quella del futuro, perché la visione del regno dei cieli che doveva venire lo muovesse verso il bene non tanto per inclinazione, quanto per necessità. E il Cristo cataro pianse dopo aver letto il libro che raccontava il destino che gli era riservato nel mondo. La letteratura offre esempi illustri di ultime volontà non rispettate. Tanta parte della cultura europea si regge su un’opera, l’Eneide, che l’autore avrebbe voluto vedere distrutta… Dora Dyamant che brucia le pagine di Kafka dovrebbe essere il talismano segreto di ogni filologo: mai dimenticare la furia che quel filos può sprigionare… Non è del resto il demone più tremendo quello il cui amore si arrotola intorno al logos? Come può un amore siffatto non assomigliarsi prima o poi a quello della mantide che sopraffatta dall’eccitazione decapita il proprio compagno?»

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È sufficiente scorrere accanto alle cose zigzagando veloci come una rondine perché intere esistenze, imperi e civiltà vengano disinnescati nel breve spazio di un secondo, di un grano di polvere.

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Tutti mi trattano come una stupida, io me ne accorgo ma non vado mai più in là di quello, nemmeno mi arrabbio più perché ormai l’ho capito che sembrerei ancora più stupida. Lui invece era come un coniglio, ma alla fine dopo aver bevuto il caffè è venuto alla cassa per pagare e andarsene, e però no, per la verità non era ancora finita, perché aveva le tasche talmente piene di cianfrusaglie che ha dovuto vuotarle prima di trovare i soldi. Io pensavo che era come guardare nello stomaco di uno struzzo, ma sono stata zitta. L’ho visto in televisione, tutto quello che uno struzzo può mettersi nello stomaco. Tra tutte le cose salta fuori anche un paio di guanti bianchi, di cotone, molto leggeri, da buttare avrei detto, se fosse stato mio fratello o qualcuno che conosco. Non erano nemmeno molto belli da vedere, quei guanti, e anzi sulla punta delle dita erano anche un po’ sudici, erano un po’ rovinati e non capivo perché una persona dovesse avere dei guanti del genere, bianchi e di cotone e lerci sulle punte come se avesse ficcato le dita non dico dove. Sembravano i guanti che hanno i clown o i pupazzi, e fuori dalla tasca di un ragazzo così facevano un po’ impressione, devo dire la verità, e così gli ho dato il resto senza nemmeno guardarlo in faccia. Invece di andarsene, il ragazzo prende in mano uno dei guanti quasi come se lo vedesse la prima volta e si mette a guardare proprio la punta delle dita che era così sporca, e disse proprio, “Questi guanti fanno paura da tanto che sono sporchi”. Dato che aveva parlato dei guanti, gli chiesi a che cosa servivano, e lui mi raccontò la storia che era uno studioso di libri antichi, e che alcuni libri erano così antichi che si poteva toccarli solamente con i guanti.

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E così è per ogni cosa, ogni cosa si colloca su una linea attraversata da mille racconti e in ogni cosa mille e mille racconti possono trovare la morte. Tutto può essere il riassunto di qualcos’altro e nello stesso tempo da qualcos’altro essere riassunto.

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«Se gli autori di quelle opere avessero potuto vedere quel che oggi tali opere significano per noi, le vorrebbero ancora distrutte? Quante altre opere, anche a quelle superiori, sono state distrutte in questo modo?

Forse una volta emessa l’opera non ci appartiene più, non più almeno di quanto al mollusco appartenga la conchiglia o la perla che ha vomitato, e l’opera proprio come un guscio potrà essere poi abitata da un’altra creatura… non è dunque il critico come un paguro che in un guscio abbandonato trova per un po’ di tempo rifugio e protezione, se non persino consolazione?

Come un figlio, l’opera è destinata a prendere commiato da noi e a dimenticarci, a svergognarci, a onorarci e a perpetuare, nel bene o nel male, il nostro nome.»

(Da G. Sommariva, La coda della lucertola. Scritti ritrovati, Briwen 19**)

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Un momento bastantemente buffo della trasmissione fu anche quello in cui il signor Kharlo Valmarana, portiere del palazzo in cui Marjo Salvati aveva trovato la morte, volle dare la stura alle sue strane idee sul caso, idee che espose in maniera confusissima, ma talmente spassosa, con tutti quei, “senza che sappia leggere o scrivere”, o “roba dell’altro mondo, no di questo, no: dell’altro!” e con quel modo di concludere i punti salienti dando di piglio al piatto e proclamando, “e buon appetito a tutti quanti!” da guadagnarsi il favore di tutta la tavolata, e dello stesso Fontana.

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E così qualsiasi essere potrà apparire, osservato da dietro la maschera di Arlecchino, come il più bizzarro animale fantastico, e naturalissimi invece i più astrusi ircocervi. L’hidalgo lettore durante la sua clausura nella Sierra Morena mescolò in sé le due follie amorose perfettamente incompatibili di Amadigi e di Roldano, poiché in altrettanti romanzi comparivano. Ancora meno metodici di lui, noi raccogliamo le pagine sopravvissute o che semplicemente ci vengono tra i piedi cadute da chissà dove e chissà da chi e le ammucchiamo in uno scartafaccio più strampalato e incoerente di un formicaleone, e in quello scartafaccio avvolgiamo le nostre budella come venditori ambulanti di rigaglie per gatti.

Chi è la persona che sta dicendo queste parole? Chi sei tu che le leggi?

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Così Sommariva consumava la propria vendetta, senza nemmeno che il suo codazzo, assordato dalla propria stessa cagnara, ne cogliesse il veleno. Col favore dello stesso Sommariva i contorni della sua persona evaporavano, passando per le bocche dei commensali di infinite cene postcongressuali squagliavano nel mito e nella diceria.

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– Le mani possono rovinarli. Poi ce ne sono alcuni di così delicati che non si possono nemmeno aprire e leggere.

– E allora a che servono.

– Eh.

– Scusa.

– A qualcuno magari li fanno leggere, io non lo so.

– Non volevo dire così. Scusa.

– Non serve.

– Scusa.

– Non serve. No––

– Vuoi un cono gelato?

– Ne avete?

– No. Non ho mai visto dei guanti così.

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E se scoprissimo che quel demone arlecchino è solo un altro essere umano?

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Come una nuvola di mosche che si alzi da una carcassa dopo averne carolato la carne.

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Durante questa tirata del portiere emerse anche la circostanza, rimasta fino allora chissà perché ignota, che Luijgi Decor aveva dovuto persino esibirsi alla chitarra davanti alle forze di polizia, per provare la propria identità. Alla provocazione di Fontana, che gli aveva chiesto come dunque potesse essere ancora convinto che Luijgi Decor fosse Marjo Salvati anche dopo questo saggio musicale, Kharlo Valmarana aveva risposto “Ah, non so, è vero, lui suona la chitarra, lui, ha suonato con la polizia, sì… c’ero anch’io, c’ero, un bel concertino ha fatto, dlìn dlìn, dlìn dlìn, con tutte le note al posto giusto, tutto a memoria… ma non lo so, può anche essere che facesse finta di suonare, no? può essere che c’era un altro chitarrista, un chitarrista vero, stavolta, un chitarrista con tanto di diploma, nascosto dietro il muro, no? Va’ là, va’ là, che voi qui alla televisione li sapete bene questi trucchetti, va’ là, che ne sapete anche di peggiori, dei trucchi tremendi… e poi, senza che sappia leggere o scrivere, anch’io potrei, cioè, pur di scappare alla galera anch’io posso ben imparare a suonare la chitarra, a volerlo, o no? Meglio di Pavarotti. E buon appetito a tutti!”, col che aveva gettato tutti gli ospiti nel più completo sconcerto.

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Durante la fioritura dei gelsomini il profumo della pianta procurava a Sommariva uno spauramento che poteva arrivare a parossismi stendhaliani, una dilatazione olfattiva della psiche fino quasi al lacerarsi dell’invisibile barriera osmotica che fa credere all’animula tontarella di essere qualcosa di diverso dal mondo (qui uno degli infiniti Sommariva descripti e perciò stesso di non certissima attribuzione sentenziava, complice forse, o anche senza forse, il Vermentino del quale era goloso e di cui la cricca usava durante le cene comitali servirgli caraffe su caraffe onde facilitare parole opere ed omissioni onde, onde, onde su onde, onde espandere di nuovi tasselli il mosaico dell’aneddotica giullaresca: “…non è infatti l’anima altro che la puzza di chiuso dentro un barattolo mai più aperto: ecco perché dei nostri primi anni, in cui il barattolo era da poco avvitato, non ricordiamo nulla: l’aria era ancora pulita, e la fetenza dell’anima era ancora in potenza; e così negli ultimi anni, quando il flatus merdoso e fiacco cui l’anima ormai è ridotta si prepara a corrodere i bordi di latta della scatolina, finalmente dimentichiamo tutto… fetenza in potenza, ecco…”); ossia, in parole povere, a Sommariva era capitato più di una volta di svenire accanto a siepi di gelsomini in fiore. Da vecchio, all’infragilirsi delle ossa, cercava di tenersene lontano, ma a volte ce lo portavano apposta, senza che se ne accorgesse, avendo comunque il minimo criterio di tenerlo sottobraccio, un chierico per parte, per sorreggerlo al sopraggiungere del quasi sempre immancabile mancamento. Circolano diversi scatti del vecchio svenuto, tenuto in piedi dai figuri di turno, irrigiditi in pose cattedratiche. Una volta che si dimentichi la crudeltà del giochetto, non sono fotografie prive di fascino, ennesima prova che la verità è nell’epidermide, nell’impalpabile buccia di luce: in esse Valmarana vi appare come una sorta di veggente in trance incastonato in reticolo di funzionari cui i suoi preclusi sciamanici sono preclusi, ma non perciò meno cari.

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– …si può così restare incatenati fino alla morte nella contemplazione di un’unica rosa.

– C’è da pensarci su come a un nuovo metodo di detenzione, sì sì, una rosa ad ogni condannato, eh? Hi hi hi hi hi hi hi hi hi hi!

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– Te li compri in farmacia per pochi soldi, però per il caldo non servono a niente: sono di cotone e sono leggerissimi, e poi non sono neanche tanto belli, anzi fanno anche un po’ impressione. Quando vedi tutti gli studiosi insieme che aspettano i libri seduti al loro banco, tutti con i loro guanti bianchi sporchi come questi, sembrano i chirurghi dei film dell’orrore.

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Interrogato in merito, il Sommariva sosteneva il suo disturbo fosse da far risalire ad un cortocircuito mnestico con una ghirlanda di gelsomini in peltro che decorava il salone della casa avita, sugli altopiani che separano Venezia da Jakarta, nella quale Sommariva passava da bambino l’estate. Ed allegava a oscura dimostrazione la fotografia della cancellata esterna. “Il profumo che non ho mai sentito guardando quel lampadario mi investe ora come le fauci immense di un mostro marino che emerge liquefacendo il mondo intorno a me, e me con esso”, spiegava Sommariva al bicchiere di Vermentino e a quell’uno o due nel cui sguardo gli fosse parso di cogliere un bagliore sia pure transitorio di pietà.

Come che fosse, lampadari o non lampadari, nel corso degli anni era potuto capitare, a chi nella bella stagione passasse per i rioni in cui Sommariva abitava, di incappare in un corpo riverso nelle vicinanze di un muro di gelsomini, come all’inizio di un buon vecchio mistery inglese.

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È sufficiente fermarsi in un punto qualsiasi e dipanarne, riassunto dopo riassunto, tutti gli strati, dilatare e dilatare ogni cosa finché come per un annegato appeso a una pietra il mare e la sua tenebra non finiscano mai.

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Mi fece ridere pensare agli studiosi dell’orrore. Però anche con quella spiegazione i guanti e il ragazzo continuavano a farmi paura, e allora io continuai a parlare e a fargli mille domande, per tenerlo con me.

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Molto tempo prima, era stato appunto risvegliandosi da uno di quei mancamenti che Sommariva, allora ancora nel fiore degli anni, aveva sorpreso sdraiato accanto a sé uno sconosciuto, anche lui privo di conoscenza ai piedi dei gelsomini. Quell’uomo era, come oggi ciascuno sa, Giorgio Valmarana: ubriaco fradicio, naturalmente.

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VALMARANA: ZAC! Si risveglia e… cosa vede?

[continua il 22 luglio]

NOTA: Alcune sezioni di questa puntata di Presiden arsitek sono a suo tempo comparse, sotto altro titolo e altro nome, per la rivista «Nuova Prosa» diretta da Luigi Grazioli.