Le rose

di in: Radici e dedali

Opera di Riccardo Dalisi

lei

Le rose fioriscono come un dovere

di bellezza nei subbugli delle spine

dischiuse.

Nel giardino mio padre raccoglieva gli arnesi stupiti della sua vecchiezza

e io avevo solo la bici con le ruote,

io sono Rosa e sto

con il grembiule della scuola elementare stropicciato perché a sedermi non sono in grado.

La maestra mi sgrida con gli occhi di capra,

la maestra tiene sempre una mano dietro la schiena quando scrive alla lavagna.

Sto sui ginocchi

e la terra si ferma tra le piccole fessure della pelle come fosse la sabbia

del mare.

Da qui, dove lui è chiuso in una stanza e mi scrive come se io esistessi,

il mare si sente, perché la collina è un seno che ti fa vedere il liquefarsi del corpo.

Tornata da scuola giro a carponi come un micio selvatico e gioco con la terra

delle rose e mio padre parla: Fioriranno che devono fiorire perché è maggio e a maggio la gente nei paesi attrezza i balconi e i giardini, che il prete viene a dire il rosario per ogni contrada e cortile.

Toccherà pure a noi questa strana persona che arriva lunga lunga e che mi guarda di soppiatto anche ora e mi dice

Ciao

Ciao

Cosa fai?

Gioco con le rose

Ah sì

Che fioriscano in fretta che viene il prete e devono fiorire le rose

Come ti chiami

Mi chiamo Rosa

Come le rose

Sì piacciono alla mamma e al papà

Poi scavavo con le mani

e di questo mi ricordo anch’io, ma lui

ha chiuso gli occhi per tenerli così serrati stretti

che non si infilasse filo di luce

Io li tenevo aperti e come un fiotto

incominciarono a scoppiarmi, piccoli smerigli, come fossero lucciole che esplodono

farfalle trasparenti

filiformi di bava e saliva.

Lui, che mi fa dire queste cose,

si chiama Sergio e mi ha chiesto come mi chiamavo quando stavo con le rose a giocare

e con la terra delle rose a giocare. Lui sa cosa significa la notte

che scompare come un fucile da caccia quando spara.

Il mio grembiule è nero, gli ho detto.

Dentro c’erano il mio corpo di bambina, piccolo rumore di acqua

fontana di antenati di terra e rogge,

e il mio sesso fangoso

da leggersi come fosse un singulto di un passero malaugurato,

come una camicia povera alla buona, lisa, consunta, strappata e con una toppa davanti, tanto slabbrata e sconcia, che avresti detto sanguina.

Ma io sono Rosa e se conosco queste cose

è perché lui ora mi dà voce

Io stavo a carponi come un micio selvatico –

le mani negre di terra

le unghie infilate di pietruzze –

a giocare con le rose

Le rose fioriscono

Fioriscono le rose di bellezza

Le rose fioriscono come un dovere.

Le rose fioriscono per dovere

di bellezza.

lui

Tu es sarcerdos in aeternum

Il mio nome se me lo chiedete è Sergio, ma questo non conta.

Conta il mio essere prete per sempre – il mio nome

è come se fosse un panno a coprire

il pane che lievita. Io sono un prete, di me infine si saprà questo: il nome si perderà nel fondo dei tempi, dio stesso non saprà chi sono se non quando guarderà le mie ossa.

Ti ho preso, informe del grembo di tua madre.

Mia madre –

Vacca da monta e da parto –

io

tredicesimo e ultimo figlio. Non avevamo pane da mangiare e io ero venuto bello. Il suo sangue era sfatto infine dai parti,

e da mio padre che tornato

dai campi –

i campi (io da qui, c’è il mare, non riesco più a vederli)

quel mare verde di grano nella primavera, i radi faggi lungo le strade

e i fossi dove pescavamo le rane

e le facevamo cuocere al fuoco per mangiarle – e lui la prendeva e sfogava le ultime forze.

Così nacqui

Figlio della debolezza e della foga.

In seminario la prima cosa che impari è che dio non è amore

È tante cose

immense che non puoi neppure nominare, neppure le puoi contenere nel tuo cervello, ma non è amore. È sopruso violenza rabbia vendetta grandezza, è il silenzio sterminato delle notti in dormitorio sono le botte le carezze il cibo mangiato caldo, ma non è amore.

La prima volta che ho toccato amore

è stata la lingua di Rosa

il giorno della prima comunione –

l’azzurro dei cieli nella prima comunione che è maggio, è pieno caldo, eppure di colpo le nuvole s’addensano si fa grigio come inverno e i bimbi entrano e piove e cade l’acqua

sopra

le loro teste innocenti di pensieri sui loro vestiti bianchi e Rosa pare un fiore appena bagnato la sua pelle non è di questo mondo è seta è carne da mordere.

Viene in fila e apre la bocca e allunga la lingua

e il mio dito la tocca e la sente umida,

immagino un lago, una pozza di acqua piovana.

E vorrei che non il Cristo e la sua carne

ma io e la mia entrassimo in lei

che ci mangiasse

per l’eternità.

Così io dico: Ecco il corpo mio.

E lei dice: Amen

Io amo Rosa e amo le rose: qui me le fanno coltivare

qui l’aria del mare le fa crescere.

Lei non so più dove sia ora che ne scrivo, lei avrà smemorato il mio nome ma non le mani

che l’hanno toccata, che l’hanno benedetta

nelle confessioni, che l’hanno abbracciata dopo la cresima.

Io l’ho salvata.

Nessuno lo sa ma io l’ho salvata.

Bella dolce e pura sarebbe diventata prima o poi una delle tante, li vedevo i ragazzi stargli dietro mentre cresceva in bellezza e grazia. Vedevo i suoi occhi farsi vispi e chiedere amore e speranza.

L’ho redenta nel modo in cui dio redime l’uomo,

come mi hanno insegnato al seminario.

L’ho redenta nel fuoco e nella violenza –

(Avete mai visto un morto risorgere, un uomo tornare dal niente della morte? Io sì. Gli occhi vitrei sul nulla del dopo

E di colpo il corpo che respira nuovamente, il torace si contrae

E i polmoni si inzuppano d’aria e poi la bocca si spalanca e la voce ritorna) –

Lei ha capito la mia benedizione

Le mie mani su di lei e ha sorriso

Le ho tolto purezza grazia e innocenza,

perché il mondo è dei violenti perché il paradiso è dei violenti perché risorgere dalle ossa marce è violenza.

Lei è salva perché non è più pura, io la amo nell’impurità e sento che sono in lei.

Io sono sacerdote in eterno dentro di lei.

In eterno

dentro di lei

starò e anche quando me la portarono via io presi il fucile – io sono venuto a portare la spada

Dice dio – e incominciai a sparare.

Perché io

sono dentro di lei

in eterno come la benedizione.

Come il sangue.

Come la terra e il concime.

lei

Io Rosa esisto?

No lo so. Eppure sono qui, eppure sono nelle sue parole, nelle mani di Sergio, quindi

esisto.

Io continuo a stare tra le rose.

È il mio destino, le rose stanno e fioriscono, non possono fare altro al tempo fioriscono e io con loro e appena fioriscono io mi alzo dal mio letto di fango e torno viva.

Non so cosa sono stata prima,

so che sono Rosa e se non ci fosse Sergio io non sarei viva mai.

Sapete quando la notte vi svegliate e non sapete dove siete?

Siete svegli ma intorno a voi c’è il buio profondo di un pozzo?

Questo è Io.

Poi lui mi chiama e io esco e sono nelle rose e sento il profumo e vedo il bel cielo a picco sul mare. So che mi ha fatto male, dicono così, dicono che mi abbia fatto male, ma ora è lui che mi porta i profumi della vita e il sangue che mi scorre nelle vene.

Il suo male è il mio bene.

Certe volte piango,

perché mi viene in mente mio padre davanti al giardino oppure mia madre che rammenda i pantaloni lisi; so che non capiscono.

Mio padre

si ferma quel letto di terra e pietre

e tiene tra le mani il berretto

e sputa sulla terra e le pietre

perché dio l’ha abbandonato

perché dio ha permesso a Sergio di essere Sergio e a me di essere Rosa, ora.

Mia madre non viene ha gli occhi nascosti nelle cuciture

Dei pantaloni o negli orli dei polsini.

Credo che mi abbia scordata e pensi a me come qualcosa che è stato

Un tempo enorme e ora è diventato minuscolo.

Così piango e Sergio mi dice che è meglio così, che io non ero di questo mondo.

Io ero destinata alla grandezza

delle rose al loro eterno ciclo di vita e morte

Io sono Rosa

che fiorisce per dovere e per bellezza

Quando Sergio mi coglie e gli trema la mano e la voce

Io non penso che sia cattivo,

che fare il male non vuol dire essere cattivi,

ma sia un brav’uomo che era solo e triste e aveva i pensieri confusi e ora qui tra il mare il cielo e le rose finalmente ha una piccola pace e ha trovato la grazia,

che è la mia assenza e il mio ritorno ogni volta medesimo eppure diverso.

lui

L’ho vista afflosciarsi come un sacco di canapa

quando ci si infila un forcone e si sbraga. Il proiettile l’ha colpita e io nel momento in cui l’ho vista spalancare gli occhi sul mistero del nulla divino

ho compreso la grandezza del mio agire.

Salva da questo mondo

Salva da quelli come me

Solo più mia.

Si è chiusa su di sé come una rosa quando il caldo è torrido.

Le ho visto il sangue

e la sua bocca aveva una smorfia come se sorridesse, io sapevo che sarebbe tornata in vita

Nella gloria di dio e delle rose

Lei pura come una rosa e vergine

sarebbe tornata in vita nel maggio delle rose.

lui/lei

E così le rose fioriscono

non più per dovere o per natura, queste sono le cose del mondo

le orribili leggi del mondo fatte di necessità e biologia,

le rose – le nostre rose –

quelle di questo piccolo giardino a picco sul mare

fioriscono per bellezze e grazia.

Fioriscono per la nostra redenzione.