Mai sfidare l’insegnamento dell’analogia naturale

di in: Bazar

L'immagine è un collage che affianca Nostradamus a Manganelli

… ai veri, i soli veri pensatori, gli uomini di ardente immaginazione!”

E. A. Poe, Mellonta tauta

5 aprile 2848. La noia mi sfinisce. Guru è l’unico col quale riesco a fare due chiacchiere; e lui, povero caro!, sa solo parlare di anticaglie. Per tutto il giorno ha cercato di persuadermi che i mricani d’una volta si governavano da soli! S’è mai sentita un’insensatezza simile? Che campavano in una sorta di federazione di individui autonomi, alla maniera dei “cani della prateria” di cui leggiamo nelle fole. Dice che partivano dalla più stravagante idea di questo mondo, cioè che tutti gli uomini nascono liberi e uguali; e questo a dispetto della rigorosa gradazione che così evidentemente contrassegna tutte le cose dell’universo, morale e fisico. Tutti votavano – così si esprimevano – vale a dire s’impicciavano degli affari pubblici – finché alla fine si capì che ciò che è affare di tutti è affare di nessuno; e che la “Repubblica” – così si chiamava quella faccenda pazzesca – era del tutto priva di governo. Si racconta che la prima circostanza che turbò, per l’appunto, la vanitosa compiacenza dei filosofi che avevano costruito la Repubblica, fu la scoperta sconcertante che il suffragio universale consentiva brogli truffaldini, grazie ai quali si poteva rimborsare qualunque numero di voti si volesse, senza che vi fosse modo né di prevenire né di accertare; sì che bastava vi fosse una qualche ganga, canagliesca quanto basta da non vergognarsi dell’imbroglio. Bastò riflettere un poco su tale scoperta per renderne evidenti le conseguenze, e cioè che era inevitabile che le canaglie dominassero; in una parola, un governo repubblicano non poteva non essere un governo di canaglie. Mentre i filosofi badavano ad arrossire della propria stupidità, per non aver previsto quelle sciagure inevitabili, e già si accingevano a inventare nuove dottrine, pose brusca fine al contendere un tale di nome Plebe, che di tutto si impadronì, e instaurò un dispotismo, a paragone del quale le tirannie del mitico Zerone e di Hellofagabalus erano decorose e distensive. Questo tal Plebe – uno straniero, per di più – sembra sia stato l’uomo più detestabile che mai abbia calcato la terra. Di statura gigantesca, insolente, rapace, sordido; aveva il fiele d’un torello, cuore da iena e cervello da pavone. Alla fine le sue stesse abusate forze lo sfinirono e portarono a morte. E tuttavia non fu del tutto inutile, giacché non v’è cosa, per quanto infima, che sia tale, e insegnò all’umanità una lezione che fino ad ora non è stata dimenticata, né è probabile che mai lo sia: mai sfidare l’insegnamento dell’analogia naturale. Quanto alla Repubblica, su tutta la faccia della terra era impossibile trovare una qualsiasi analogia, a meno che si faccia un’eccezione per quei “cani della prateria”, eccezione che sembra caso mai dimostrare che la democrazia è una forma di governo perfetta, ma per i cani.

 

[da E. A. Poe, Mellonta tauta, traduzione italiana di Giorgio Manganelli]