In equilibrio

di in: Radici e dedali

Avevi guardato verso il basso. Eri in piedi su una fettuccia rossa di nylon, larga non più di cinque centimetri. All’inizio non avevi fatto nemmeno in tempo a chiederti cosa ci facessi lì, né a capire come riuscissi a rimanere in piedi senza precipitare. Se non ricordavi male, non avevi mai preso lezioni da equilibrista.

Solo un attimo dopo ti eri reso conto di esserti concentrato così tanto su quel filo da non notare quello che ti aspettava sotto. Una rete a maglie larghe pronta ad accogliere una tua caduta? Una piscina piena di tè freddo alla pesca? No, niente di tutto questo, ma una valle di rocce grigie, che distavano un centinaio di metri dalla fettuccia che ti faceva da pavimento.

La tua testa aveva cominciato a girare. Solo un briciolo residuo di razionalità ti aveva suggerito di stare fermo immobile, limitandoti ad aprire le braccia, pronto a riequilibrare gli spostamenti del baricentro.

Ora ti sentivi leggermente più stabile, ma non avevi ancora risolto il guaio in cui ti trovavi. Il filo di nylon rosso procedeva davanti a te per qualche decina di metri, prima di perdersi in una nebbia fitta, la stessa che ti carezzava le spalle.

“Bene” avevi pensato, “così non posso nemmeno sapere se sono più vicino a un capo o all’altro della corda.”

In ogni caso stare fermo immobile non ti avrebbe aiutato ad individuare una via d’uscita. E tra il tornare indietro e l’andare avanti, avevi sempre preferito la seconda opzione.

Così avevi preso coraggio e cercato di muovere il piede destro dritto dinnanzi a te, bilanciandoti con le braccia. Ce l’avevi fatta, cazzo! E dopo il destro il sinistro e poi il destro ancora, venti centimetri alla volta.

Ok, dovevi sforzarti di non guardare giù, ma iniziavi a convincerti che pian piano saresti arrivato sano e salvo dall’altra parte. Qualsiasi cosa ti aspettasse.

Per quanto procedessi, infatti, non riuscivi a vedere cosa ci fosse al capo opposto del filo. Fino a quando non avevi notato una macchia gialla davanti a te. Poteva essere una casa, o un palazzo, ma cosa ci faceva, lì, in mezzo a quella valle rocciosa?

La gioia di vedere in lontananza la tua salvezza non ti aveva lasciato tempo per troppe domande. Avevi continuato ad avanzare, fino a scoprire quello che non avresti mai voluto sapere.

Il puntino giallo non era né una casa, né un palazzo, ma un uomo che si muoveva in direzione opposta alla tua, su quella stessa corda. Tra poco vi sareste incontrati e avreste dovuto decidere insieme cosa fare: uno dei due si sarebbe dovuto piegare all’evidenza di non poter procedere nella sua direzione e dover fare dietrofront. Ti eri rallegrato solo nel pensare che chiunque fosse, avrebbe potuto darti qualche suggerimento per uscire da lì. Eri avanzato di qualche passo e avevi visto meglio la felpa gialla che aveva ingannato la tua vista. Ti ci era voluto un secondo per riconoscere lo stesso modello che anche tu durante gli ultimi anni di liceo portavi di frequente.

Ti eri avvicinato ancora e poco dopo non avevi capito, per la seconda volta nel giro di qualche minuto, cosa ti stesse succedendo. Il ragazzo che ti stava camminando incontro non solo indossava una felpa identica alla tua, ma era in tutto e per tutto uguale al te stesso diciottenne. Aveva la stessa barba appena accennata, lo stesso sorriso di chi ha il proprio futuro tra le mani, la stessa faccia da schiaffi di chi è abituato a cadere e rialzarsi un momento dopo. Lo stesso sguardo di compassione verso gli adulti con cui ti stava fissando in quel momento.

Avevi provato un senso di vertigine più grande di quanto ti era successo prima. Non era certo corto l’elenco di cose di cui avresti dovuto giustificarti con lui: i compromessi a cui eri sceso, le scelte da cui eri scappato, il tuo arrenderti alla convinzione che ormai fosse troppo tardi per mandare tutto all’aria e provarci da capo. Ti eri spaventato e avevi provato a cercare le parole giuste per spiegargli perché non gli avevi garantito il futuro che si meritava.

Quando il ragazzo dal tuo stesso viso, solo più giovane di una quindicina d’anni, ti era venuto incontro, avevi avuto paura volesse buttarti giù dalla corda per darsi una nuova opportunità, ora che aveva visto quello che lo avrebbe aspettato nel giro di qualche lustro.

Ti eri preparato a cadere e, anche se può sembrare buffo, il tuo ultimo pensiero era stato il riflettere se un caso del genere sarebbe stato trattato come omicidio o suicidio, visto che assassino e vittima erano esattamente la stessa persona.

Quando eravate a pochi metri di distanza, il ragazzo con la felpa gialla non ti aveva spinto nel vuoto, ma fissato con aria benevola, come un padre che vuole perdonare il figlio dopo una marachella finita male.

Senza dirti una parola ti aveva allungato una corda verde con due moschettoni.

«É quella di sicurezza» ti aveva spiegato con la sua voce giovane «attacca un moschettone alla cintura e l’altro alla fettuccia di nylon».

Mentre avevi preso da armeggiare con i moschettoni, il te stesso diciottenne, come avesse capito tutto, ti aveva detto «non ti preoccupare, non so se sarei stato capace di fare molto meglio».

Avevi sorriso guardando verso il basso, come rasserenato.

Quando avevi alzato lo sguardo dalla cintura, ti eri accorto che il te stesso diciottenne era scomparso nel nulla. Solo allora avevi visto, qualche metro più davanti, la punta della falesia di arenaria dov’era attaccato l’altro capo del filo.