Arricrearsi

È uscito da qualche settimana il numero 21 di “SUD”, la storica rivista “napoletana ed europea” diretta oggi da Francesco Forlani, ma fondata nel 1945 da Pasquale Prunas. Il tema di questo numero è il tempo. Un tempo “sospeso”, come da esperienza di lockdown e chiusure letterali e metaforiche, per cui molti interventi (traduzioni, poesie, narrazioni) ruotano intorno alla pandemia. Presentiamo su “Zibaldoni” due testi tratti da “SUD” numero 21: il primo, di Olivier Maillart (pubblicato il 25 settembre), propone una riflessione a partire da un racconto di Marcel Aymé; il secondo, che presentiamo qui, di Anna Smeragliuolo Perrotta, divaga sul verbo napoletanissimo “arrecrearsi”.

Arricrearsi è nel lessico famigliare di ogni napoletano. Appartiene alla categoria dei verbi intransitivi pronominali, per cui indica un’azione che non esiste se non può ricadere sul soggetto. M’arricreo se vedo la scena di uno Sciò Sciò ai Tribunali che travolge con l’incenso una coppia di top manager passata per andare a visitare la strada dei presepi. Se ho mangiato con soddisfazione un sauté di mare m’aggio arricreat. Il piacere che si prova ad arricrearsi ti prende da dentro e rende partecipe tutti i sensi, ma è individuale. Non è un caso che generalmente non si usi per le gioie del sesso, essendo gioie condivise per eccellenza. È raro e improprio l’uso alla fine di un film o della carrellata di episodi di una serie. La sua schiatta lo separa dall’universo mentale dei like. Il primo lockdown mi ha sorpresa mentre preparavo le valigie per passare dei giorni nella Tuscia. Mia sorella mi aveva appena regalato il biglietto di un volo per Berlino. Era fine febbraio e, dopo aver passato anche l’estate a lavorare, volevo andare alle terme per arricrearmi e poi prepararmi per il prossimo viaggio in Germania. Settimana dopo settimana credevo solo di rimandare. Se a inizio marzo, nel 2020, mi avessero detto che il lockdown sarebbe durato fino a maggio mi sarei disperata. Dopo un anno, non mi dispero per i viaggi, ma condivido le stesse preoccupazioni di tanti che, in sospeso, osservano un’Italia con tante regole e altrettante eccezioni. Nel 2021 per lavoro ho passato i periodi rossi, arancioni, gialli, lontana da casa e non ho visto i fianchi del Vesuvio che ogni giorno diventavano rossi e blu nei pomeriggi primaverili come l’anno scorso. Non ho una passiflora che fiorisce sul balcone, né gli appuntamenti serali per leggere Giambattista Basile con i miei amici. Ci ha preso la stanchezza anche di fare esperimenti con la pasta di mandorle e tutte quelle ricette per cui non avevamo mai avuto tempo. Anche perché non abbiamo smesso un attimo di lavorare, di cercare lavoro, di combattere la pandemia, più dell’anno scorso. Ma arricrearsi è una voce che si nutre di contesti sorprendenti e stravaganti. Non è incompatibile con nessuno spazio e nessuna situazione. Se ne è appreso l’uso recente sulle scale del Petraio da parte di un uomo che guardava il mare con il caffè in un bicchiere di plastica fra le mani, da un vecchietto seduto su una sdraio al Parco della Cafferella a Roma sotto un raggio di sole, da una studentessa a passeggio lungo la Senna con un sacchetto di carta tra le mani. Qualche notte fa ho fatto un sogno che mi ha fatto arricriare: ero scesa per andare a lavoro ma dovunque la mia macchina svoltasse vedevo il profilo di Capri e delle scale che potevo prendere per scendere a mare. Studi scientifici hanno mostrato che arricrearsi non può essere sostituito al vaccinoantiCovid, ma alza le difese immunitarie nonché l’efficacia dello stesso.

Qui il testo di Olivier Maillart (pubblicato il 25 settembre)