Per forza di cose, nella vita, si fa sempre qualcosa per la prima volta, come respirare, camminare, bere il latte o un bicchiere di vino, cadere, andare in bici, guidare, baciare, scrivere una lettera o redigere un testamento.
E per il corso naturale degli eventi, poi, queste prime volte vengono dimenticate perché troppo lontane dall’età in cui ci troviamo e ricordiamo, o perché spinte negli angoli bui e poco frequentati del cervello dove stanno le cose poco utili, o perché, invece, sono cose così utili che le ripetiamo tutti i giorni milioni di volte e non è che si può star lì a rimembrare ogni singola ripetizione.
Trovandosi fuori dal proprio paese, però, è facile fare cose per la prima volta che si ricorderanno per sempre. O perché erano tipiche di quel luogo e quel momento e non si possono rifare proprio più; rimarranno fatti unici stampati nella mente e nelle foto, raccontati, mostrati e rivissuti tante volte da non potere poi scivolare più via in uno di quegli angoli di cui si diceva. Fatto per il quale ancora ai nostri nipoti si sta lì a descrivere la prima ascesa sul Rockefeller Center o la prima volta su un cammello e se si èrimbambiti il giusto magari lo raccontiamo anche molte volte, finché ci rimbambiamo del tutto e ci dimentichiamo anche di avere dei nipoti, risparmiandogli altre ripetizioni.
Oppure perché, anche se non sono cose così irripetibili, c’è questo fenomeno, la prima volta che si vede un posto o si incontra un certo tipo di persona o si sente un odore nuovo o ci si fa male in un modo inedito, che se accade all’estero ti fa più effetto che se eri nel tuo paese perché quando sei fuori hai tutti i sensi acutizzati, sei lì pronto a osservare, raccogliere impressioni, reagire. Credo venga da meccanismi piuttosto primordiali, forse di quando ci aggiravamo per territori ben delineati dalle nostre pipì e se ci allontanavamo un po’ e ci arrivava magari l’aroma ammoniacale di qualcun altro ci veniva un’attenzione improvvisa, i peli ritti sulla nuca e il cervello ad assorbire ogni piccolo particolare dell’ambiente circostante.
Ecco, all’estero si diventa proprio così. Un fascio di attenzione e di ipersensibilità. E quindi le cose che non avevamo mai visto, fatto o subito prima ce le viviamo con spasimi di emozione mai provati e non ce le dimentichiamo più. E anche dopo anni, o dopo aver fatto e detto cose anche più importanti, le possiamo raccontare come fossero appena successe.
E, prima ancora dei nipoti, ci lanciamo in racconti dettagliati ai parenti, agli amici, e ai lettori delle riviste. I quali avranno se non altro la fortuna, essendo io ancora non del tutto rimbambita, di sentirsele raccontare una volta sola…

L’altra faccia dell’America
La prima volta che mi sono impasticcata
Cronache americane /2 – I
Gino/ 22





















