I funerali del Manzoni.
Dialogo tra Giacomo Leopardi ed Alessandro Manzoni

di in: Inattualità

Leopardi. Quanta luce intorno a questa figura! Chi è mai? Oh il Manzoni.

Manzoni. Leopardi! Quanto mi piace rivederti. Non me l’aspettavo.

Leopardi. Perché mi credevi nell’inferno, eh?

Manzoni. Che inferno e paradiso. Sono morto da otto giorni, e non so dove io sono e che sono divenuto. Vado scorrendo per l’aria, e non trovo né paradiso né inferno: sento che non sono più corpo, e non sono anima.

Leopardi. Tu ora sei quello che sono io.

Manzoni. E che siamo dunque?

Leopardi. Figure.

Manzoni. Ma che sostanze siamo ora noi?

Leopardi. Memorie.

Manzoni. Non t’intendo.

Leopardi. Ti pare che le  memorie non sieno sostanze? Quell’anima che tu credevi di avere non era altro che un fenomeno del corpo, come la fiamma è un fenomeno della candela. Spegni il lume, la fiamma dov’è? Non è più.

Manzoni. E intanto come viviamo ora e parliamo? E che cosa è questa vita?

Leopardi. Noi viviamo perché siamo ricordati dagli uomini, e questa vita nostra non è altro che la memoria che gli uomini serbano di noi: quando ci avranno dimenticati, saremo nulla, come se non fossimo mai stati. Noi altri che siamo ricordati un po’ per qualche cosa che abbiamo fatta nel mondo, viviamo come figure nella mente degli uomini, e ci andiamo aggirando nei luoghi e tra le persone che ci ebbero cari, e non ci allontaniamo molto dalla patria nostra. La luce onde è formata la nostra figura esce dal cervello degli uomini: e tale figura comincia raggiante, poi diventa fioca; taluna è piccola, e col tempo acquista splendore: altra come il lampo guizza e sparisce.

Manzoni. E chi fa male, o Giacomo?

Leopardi. Male o bene è indifferente. Chi si fa ricordare vive, chi no muore: questa vita non è altro che fama. Nerone vive in maggior luce che Trasea, se non che la luce è di colore diverso. Nerone vive, perché ricordato: molte migliaia di uomini di virtù sono oscuri e come non vissuti mai.

Manzoni. O mie illusioni!

Leopardi. Ma tu sei vissuto bene con le tue illusioni?

Manzoni. Oh sì: esse mi hanno fatto vivere 88 anni consolato e tranquillo.

Leopardi. Sii dunque contento. Beato chi può averle quelle illusioni, e vivere come te.

Manzoni. Se io avessi creduto che oltre la morte non c’è nulla, sarei stato…

Leopardi. Un birbone, vuoi dire? No, Sandro: sono tanti birboni e ci credono.

Manzoni. Volevo dire infelicissimo, come te.

Leopardi. Neppure: io fui infelice unicamente perché fui ammalato. Anzi quella coscienza forte che avevo di non credere a quello che gli altri credono mi sostenne nei dolori del corpo, e mi diede baldanza di mente. Ora tu ed io non siamo più né felici, né infelici. Ma dimmi, come tu risplendi ora di tanta luce quanta non ne ho veduta mai in nessuna figura?

Manzoni. Guarda lì in Milano, dove oggi si fanno i miei funerali.

Leopardi. O quanta gente, e che pompa! Vengono da tutte le parti d’Italia e forestieri ancora. I due figliuoli del re, un rappresentante di re, ministri, senatori, deputati, magistrati, generali, professori, artisti, operai, fanciulli, soldati, preti, frati, l’arcivescovo di Milano e una lunga fila di carrozze vuote. Se morisse il Papa avrebbe più candele, un Re più soldati e colpi di cannone, ma più gente di questa no, ed è di ogni condizione, e tutti paiono addolorati davvero. Tu hai dovuto essere amato molto.

Manzoni. Mi hanno amato perché io ho amato.

Leopardi. Hai tu fatto qualche grande benefizio alla patria con l’opera tua e col consiglio?

Manzoni. Domi mansi, libros scripsi.

Leopardi. E lo scrivere buoni libri è operare e consigliare.

Manzoni. Non sono stato mai in alcuna setta o parte, non ho avuto mai alcuno ufficio, mi sono tenuto sempre lontano dalle faccende pubbliche, ho parlato poco, non ho offeso mai nessuno, e da nessuno sono stato mai offeso.

Leopardi. Hai avuto anche da vivere?

Manzoni. Poco, ma n’ho avuto.

Leopardi. E questa è gran cosa, anzi la prima, non aver mai domandato niente a nessuno, non esserti avvilito per bisogno. Fortunato anche in questo. Ma dimmi: io lessi i tuoi Inni, le due tragedie, e il romanzo dei Promessi Sposi che pubblicasti innanzi che io morissi: di poi hai tu scritti altri libri?

Manzoni. La Colonna Infame, che è un libretto di poco conto, e la Morale Cattolica. E per quei libri letti anche da te io sono stato amato ed onorato tanto.

Leopardi. In quei libri si vede manifesto un grande ingegno e una grandissima bontà di animo. Ma dimmi: non è mutata l’Italia, anzi non è mutato il mondo che onora tanto l’ingegno e l’animo d’uno scrittore?

Manzoni. Mutato no, se non in peggio: ed io ho un mesto dubbio che mi accora. Penso che uomini maggiori di me per ingegno e per animo sono stati e forse saranno non pure senza onori, ma tormentati vivi e dimenticati morti. Penso che tu con tanto ingegno, tanta dottrina maravigliosa, sì nobile cuore, tu poeta grande e scrittore potentissimo, tu moristi senza un onore, ed hai una tomba dimenticata. E però vado cercando quale ha potuta essere la cagione vera per la quale hanno fatto a me ciò che non fecero mai ad alcun altro.

Leopardi. Mio buon Sandro, gli onori miei io li ebbi dai pesci.

Manzoni. Come dai pesci?

Leopardi. Ti dirò cosa che forse tu non sai. Io morii in Napoli quando c’era il colera ed il mio povero corpicino doveva essere gittato nella fossa comune dei colerici. L’ospite ed amico mio Antonio Ranieri andò correndo una giornata di qua e di là per trovare un posto dove allogarmi; e pregò tutti i preti della città, e nessuno mi volle dar luogo in chiesa, perché io ero morto senza benedizione, e dicevano che io ero eretico. Seppe che il Parroco di Fuorigrotta era un uomo a la mano, un pappone, e corse da lui ma lo trovò prete e duro. Qualcuno gli disse: tentate con un regalo: il Parrocchiano è ghiotto di pesci. L’amico mio non volle udire altro, corse a comperare una spasella di triglie e calamai, e la mandò al Parroco; e poi vi tornò egli e lo trovò arrendevole a patti. Dentro la chiesa no, ma fuori, accanto a la porta, nel vestibolo. E lì stanno le mie ossa, a la chiesetta di S. Vitale, fuori la grotta di Pozzuoli, e stanno benissimo sotto quella pietra, la quale è illuminata da la benedetta luce del sole, è rinfrescata dall’aria pura dei campi, ed è salutata dai contadini che passando innanzi la chiesa si levano il cappello anche al santo che sta chiuso in quel sepolcro. Una cosa vorrei per gratitudine, che invece de la civetta scolpita su la mia tomba vi si scolpisse un pesce.

Manzoni. Oh quanto è amaro questo racconto.

Leopardi. Amaro per te, ma dolce per me che bevvi aloè con fiele tutta la vita mia. Dunque tu vai cercando perché ti fanno tanti onori?

Manzoni. Sì.

Leopardi. Cerchiamolo insieme. Il tuo ingegno e le tue virtù private.

Manzoni. No: ingegno e virtù ne hanno avuto anche gli altri come ti dicevo.

Leopardi. Non dire no; ma dì piuttosto non bastano. Non sono essi la cagione, ma una delle cagioni, e assai potente sugli uomini che pregiano l’ingegno e la virtù.

Manzoni. Ma cotesti sono pochi, e noi dobbiamo considerare la moltitudine.

Leopardi. Ebbene hai dovuto dire e fare cose che piacciono e giovano a la moltitudine.

Manzoni. Io non ho fatto nulla, io.

Leopardi. E forse il nulla piace, perché non offende nessuno.

Manzoni. Ma questa l’è una cagione negativa.

Leopardi. Dunque hai dovuto dire cose che sono nella coscienza comune, esprimere sentimenti che sono in tutti, perché tu sai che gli uomini lodano chi dice bene le cose che essi tutti sentono e non sanno dirle. E siccome la massima parte degli uomini vivono d’illusioni, le quali sono come il pane che li nutrisce dalla loro fanciullezza, così tu hai dovuto palpare quelle loro illusioni, farle belle con la poesia, illeggiadrirle; e così tutti si sono riconosciuti in te, ed hanno in te lodato sé stessi.

Manzoni. Ho detto quello che sentivo, e che si è trovato in armonia con la coscienza di molti.

Leopardi. E l’hai detto benissimo. Pare dunque che la cagione vera l’abbiamo trovata.

Manzoni. Non ne sono ancora persuaso.

Leopardi. Come no? Io ho sempre creduto che l’uomo non sia l’animale ragionevole, come si dice, ma l’animale fantastico, che ha novantanove centesimi di fantasia, ed uno di ragione. Ed ho questa opinione perché considerando la storia di tutti i tempi e di tutti i popoli, ho veduto che coloro i quali sanno muovere più gagliardamente la fantasia degli uomini cioè i Sacerdoti di ogni religione, sono stati potentissimi ed hanno dominato il mondo; ed i filosofi che hanno cercato di sollevare la ragione e distruggere le larve e le sciocchezze create da la fantasia, sono stati sempre odiati, perseguitati come ladri della gran proprietà fantastica, e fatti morire come cani. Sai chi è reputato grande uomo? Chi sa far parere ragionevoli le fantasie, chi accetta tutte le sciocchezze umane e le condisce con un centesimino di ragione: così non nega niente a nessuno, non offende nessuno, contenta tutti, ed anche alcuni filosofi per quel centesimo. Tu hai accettati tutti i dommi del Cattolicesimo, ti sei persuaso che sono verità, ed hai trasfusa in altri questa persuasione: tu del frate, che è la creazione più brutta ed oscena del Cristianesimo, hai fatto un tipo di virtù: tu della chiesa che è una vecchia spelonca di ladroni, hai fatta la madre dei anti e l’immagine della città celeste; tu ami la patria e sinceramente e la vuoi libera, ma con le buone e col timor di Dio, senza sangue, senza perdizione d’anime immortali: tu a lo straniero dici così: Iddio non l’ha data a te l’Italia, ritira l’artiglio e vattene; e con queste parole ti pare d’aver fatto il dover tuo verso l’Italia. Tu ai preti raccomandi il Vangelo, ai popoli la rassegnazione, il perdono, il volersi bene come fratelli: tu sempre a parlare dell’anima immortale, della beatitudine del paradiso, hai saputo promettere tante gioie a chi soffre, dare tante speranze agli afflitti, tanti savi consigli agli oppressori, e fai sperare anche ai malvagi il perdono delle loro colpe: tu dovevi essere amato, onorato, celebrato da tutti. Io che non ho creduto a nessuna delle tue illusioni, e sono stato il poeta del nulla, io non doveva aspettarmi che nulla dagli uomini. Questo è ragionevole, né è ragionevole, né me ne dolgo: e so che vivrà il mio nome soltanto fra quei pochissimi che hanno poche illusioni. Dunque tu poeta cristiano e cattolico hai avuto questi onori principalmente per la tua fede. Se fossi morto al tempo mio, onori sì, ne avresti avuti, ma tanti no, perché i preti allora scendevano, ora salgono. Oh che vogliono questi uomini che ci guardano in cagnesco?

Manzoni. Hanno udito le tue parole, e dicono di no: dicono sdegnosamente che essi sono liberi pensatori, e pure sono venuti a questo funerale. Ma facciamoci più in là, se no questi faranno un rumore grande.

Leopardi. Liberi pensatori essi? Liberi parlatori vuoi dire. Oggi gl’Italiani, se credono, debbono sempre ridere di qualcosetta, come fai tu; e se non credono, debbono sempre ricordare il maestro prete, e i buoni padri di S. Giovannino maestri ed educatori di quanti sono battezzati a S. Giovanni. La coscienza degl’Italiani, credenti e non credenti, è sempre occupata dal dubbio, ed è proprio come Roma, dove oggi c’è il Papa e c’è il re. Quelli che hanno voluto onorare in te soltanto l’artista e l’uomo dabbene sono pochissimi: tutta l’altra turba in abito nero e cravatta bianca sai perché è venuta? È quella gente che avendo avuto una religione nella casa e nella scuola, come esce nel mondo la mette da banda, non ci pensa, non ne discute sia per persuadersene e farsela norma della vita, sia per liberarsene: ma la tiene in serbo, come il vestito nero che si mette all’occasione. Quando accade, come ora, che il figurino delle mode di Parigi ci porta gesuiti, gesuitesse, e Sacro Cuore, eccoli tutti religiosi, parlare dell’alto cattolicesimo, e dire tante cose cui non hanno pensato giammai. La morte tua è avvenuta proprio quando la fede, che per te era sentimento, per gli altri è moda: però tutti i modisti e le modiste cattoliche sono venuti al suo funerale.

Manzoni. Dunque tu dici che passata la moda, io sarò dimenticato.

Leopardi. Dimenticato non mai: il poeta non muore fin che il suo canto è ripetuto dagli uomini: e poi coloro che hanno la fede tua ti ricorderanno e ti ameranno sempre. Anzi ti so dire una cosa che tu ed io da questo punto vivremo insieme; e non è senza ragione che ci siamo scontrati in questo immenso vuoto. Noi siamo una delle tante antitesi che si vedono nel mondo: e chiunque ricorderà di te non potrà non ricordare di me in contrapposto. Tu poeta della fede cattolica, io del dolore nella vita e del nulla dopo la morte: tu florida persona, animo tranquillo, sorriso su le labbra, ottantotto anni di vita; io vecchio da giovanetto, ammalato, straziato, non giunsi a quaranta: tu santamente ti hai goduto due mogli: io non ebbi neppure il bacio di una donna: tu vivesti benedicendo Dio, io maledicendolo: io muoio in mezzo al colera, tu in mezzo alla grande reazione cattolica.

Manzoni. Senti, io ora vedo che le mie erano illusioni, e che avevi ragione tu quando dicevi che l’uomo vive e muore con le medesime leggi degli altri animali; e che quel che chiamiamo l’altro mondo è una bolla di sapone; pure ti dico schiettamente che se io tornassi a vivere, e potessi scegliere, io non vorrei la parte tua.

Leopardi. Né io la tua con tutti i miei dolori. Per ora tu goditi questo altro po’ di luminarie, che io mi abbandono in questo caro buio del nulla. Di tanto in tanto quando in avvenire qualche uomo penserà e parlerà di te o di me, noi per questo buio manderemo uno splendore come due lucciole: e così ci troveremo vicino e ci saluteremo. A rivederci, Sandro.

Manzoni. Addio, Giacomo.

 

[Tratto dal volume Dialoghi di Luigi Settembrini, a cura di Nunzia D’Antuono, Millennium 2010]