La letteratura condivisa: il piacere di fare politica

Un inervento "politico" di ENRICO DE VIVO e GIANLUCA VIRGILIO (da l’Unità del 31 gennaio 2004, p. 24).

di in: Rassegna stampa

Oggi, alle ore 10, si terrà a Frascati, presso le Scuderie Aldobrandini, un convegno in occasione del primo anniversario della rivista online Zibaldoni e altre meraviglie (www.zibaldoni.it). Scrittori e artisti presenteranno i loro progetti di scrittura; tra gli altri, Gianni Celati illustrerà la sua idea di un film su una comunità contadina africana. I temi del convegno verteranno sull’idea di “comunità”, sulla rivista-zibaldone e sulla letteratura come espressione collettiva di partecipazione, ideazione e creazione artistica. L’arte e la letteratura, infatti, anche quando ci mostrano esperienze assolutamente solitarie e apparentemente individualissime, come quella di Leopardi, rispondono sempre ad una logica comunitaria, entro la quale trovano una salda collocazione.

A dispetto di decenni di critica che opponeva ingenuamente l’impegno del realismo al disimpegno del fantastico, noi abbiamo intravisto nella scrittura leopardiana dello Zibaldone di pensieri un’apertura impensata sul mondo – apertura che non implica mai una piatta rappresentazione del reale, ma coglie e suggerisce le trasformazioni attraverso visioni che danno sollievo e indicano una strada da seguire.

La vastità di interessi di Leopardi, la sua diuturna ricerca dell’amicizia che è possibile indagare attraverso uno degli epistolari più belli della nostra letteratura, e, soprattutto, la scrittura digressiva e divagante dello Zibaldone, aprono la letteratura su qualcosa che non è più un discorso tecnico o teorico, fantastico o rappresentativo, ma è una visione del mondo, meglio ancora una visionarietà che ambisce a essere complessiva e del tutto originale. Leopardi, anticipando Baudelaire di qualche decennio, possiede una precisa consapevolezza politica della solitudine in cui si avvia a operare l’artista, che nell’epoca della Restaurazione comincia a esser condannato al “mercato”, ossia alla servitù nei confronti di qualcosa di troppo grande ed estraneo che lo sovrasta e controlla, lo aliena e avvilisce.

Nel solco dell’esperienza leopardiana, noi riteniamo che la letteratura oggi abbia bisogno di uno slancio visionario che la porti al di là dei suoi stessi discorsi, che sempre più spesso sono ormai solo discorsi tecnicistici e autoreferenziali.

Per questo motivo, è un bene che gli scrittori e gli intellettuali si incontrino e discutano, perché così facendo riscoprono la nobilissima arte della Politica. Oggi non ci basta più il “piacere” solitario (dei libri, della lettura, etc) e l’”intelligenza” individualistica delle cose che riguardano la letteratura. Desideriamo agire per preservare quel “piacere” e quella “intelligenza” dalla distruzione prodotta dal “mercato” e dalla bassa politica, che foraggiano una pratica letteraria lesiva della dignità dei lettori e degli scrittori, e ricercare un nuovo senso comunitario della letteratura: questo significa per noi fare Politica.

Gianni Vattimo, partendo da Heidegger, ha sostenuto che il ruolo dell’intellettuale oggi è tutto da reinventare, è un ruolo completamente nuovo: “non scienziato, non tecnico, ma qualcosa di più simile al prete o all’artista: prete senza gerarchia, però, e forse artista di strada” [Heidegger filosofo della democrazia, Istanbul 2003]. Le figure del prete senza gerarchia e dell’artista di strada sono assolutamente estranee ai tradizionali meccanismi che veicolano la funzione artistica e intellettuale, e allo stesso tempo testimoniano una profonda tensione sociale, collettiva, politica. Il prete senza gerarchia e l’artista di strada sono due emblemi visibilissimi, anche se non sono certamente gli unici, di un modo di fare e di essere che non riguarda tanto l’americanissima affermazione di sé, il successo, quanto la vita collettiva e la responsabilità di far parte di una comunità.

La rivista-zibaldone, per la sua stessa natura divagante e collettiva, mette al centro del discorso letterario innanzitutto le modalità dello stare insieme e del progettare insieme; non ammette calcoli ed esibizioni perché tutto quanto si propone deve avere innanzitutto un valore comunitario, sollecitare riflessioni che abbiano a che fare con il mondo in cui viviamo mentre additano un altro mondo e fanno intravedere, con la forza visionaria della scrittura, come potrebbero essere le nostre vite in “avvenire”. Per questo crediamo che la rivista-zibaldone sia la metafora più giusta per indicare questa nostra idea di letteratura come espressione comunitaria.

Ci rendiamo conto che parlare di “avvenire” in tempi di crisi e di nichilismo come quelli attuali, possa apparire ridicolo. Ma anche in questo caso, per noi è utilissimo l’esempio di Leopardi, il cui nichilismo non è mai una consolazione o l’alibi migliore per arrendersi, ma la molla principale per scattare e pensare, per scrivere e agire, per muoversi, se si vuole, anche in senso strettamente fisico. L’opera intera di Leopardi è un insieme infinito di slanci e di visioni, e il suo modello di Zibaldone è l’esatto opposto di un prodotto letterario bello e pronto da consumare.

L’esperienza di un anno di pubblicazione della rivista Zibaldoni e altre meraviglie ci insegna che oggi molti scrittori si fermano proprio nel punto in cui dovrebbero spiccare il volo, cioè non appena si chiede loro di immaginare qualcosa che sia al di là della “comunità data”, dello status quo. È in questo che noi scorgiamo il fallimento di tanta moderna letteratura e la perdita di ruolo dello scrittore, né prete né artista di strada, ma sempre più diffusamente intellettuale salariato al servizio dell’industria culturale.

La nostra proposta mira esattamente al cuore di questo gigantesco problema e indica un’alternativa: la “comunità avvenire”, che noi invitiamo a costruire giorno dopo giorno attraverso un lavoro comunitario, che per noi è un lavoro sommamente politico, in quanto riguarda il bene di tutti.

Quanti scrittori e intellettuali hanno coscienza fino in fondo del loro potenziale ruolo politico? Ben pochi, forse. Eppure, politica è sempre l’azione di chiunque scelga di mettere in pubblico qualsiasi cosa, ovvero di partecipare con il “proprio” alle attività “comuni”. Noi non vogliamo lasciare per l’ennesima volta il compito di organizzare i discorsi che ci riguardano a chi presume di averne ricevuto l’incarico: i mediatori culturali, i funzionari ministeriali, i mass media monopolizzati dall’unto del Signore (si parla spesso di Berlusconi proprietario di tv, ma ci si scorda che controlla anche la maggior parte dell’editoria nazionale).

A queste domande fondamentali scrittori e intellettuali che hanno risposto al nostro invito faranno corrispondere delle risposte nel convegno di Frascati. Il nostro augurio è che questo incontro pubblico susciti comunicazione di esperienze etiche ed estetiche e non rimanga una mera occasione di confronto su un terreno neutrale o tecnicistico. Che la letteratura acquisti un senso, qui e ora, a partire da una prospettiva futura – da una “comunità avvenire” – verso la quale sempre sono orientati i nostri sforzi.