La prima volta
che ho visto una casa incendiarsi

di in: Le prime volte

Fotografia di Francesca Andreini

Me ne stavo al computer insieme a mio marito a sbrigar faccende, una domenica sera, e abbiamo sentito un paio di grida, nella strada. Abbiamo pensato che era strano, che una voce umana rompesse la perfetta calma del suburbio residenziale. Sopratutto nella sera buia e immobile del suburbio residenziale. Ma siccome le grida erano brevi e poco concitate abbiamo ripreso gli affari nostri senza occuparci di quelli altrui.

Pochi minuti dopo, le sirene dei pompieri hanno squarciato davvero il silenzio con grida meccaniche acute e lunghissime e questa volta non c’era modo di ignorarle, e neppure di pensare che non ci riguardassero, perché si sono fermate proprio davanti a casa nostra.

Per qualche secondo ho temuto per noi. Forse al piano di sopra, nelle camerette dei nostri figli che noi immaginavamo a dormire, leggere e parlare con gli amici, si stava consumando una tragedia e noi la ignoravamo… ma affacciandomi mi sono subito ricreduta, perché le fiamme stavano avvampando, alte e feroci, proprio dall’altro lato della strada.

Crepitando si mangiavano il contenuto dell’enorme contenitore metallico dove da giorni gli operai gettavano i detriti dei lavori di ristrutturazione.

Le fiamme sfrigolavano avanzando su dal grosso contenitore verso lo scivolo che portava verso la casa e che gli operai usavano per gettare fuori le cose. In un secondo, via, lo scivolo di legno si è inglobato al fuoco e subito dopo lo stipite della finestra a cui era appoggiato, le pareti intorno, il tetto di quell’angolo di casa. Quel legno chiaro e sottile e quegli impasti bianchi che hanno un’aria così volatile, quando vedi le case in costruzione.  Che ti chiedi sempre come faranno a stare in piedi e resistere ai venti e alle altre intemperie, così chiari e leggeri e legnosi… ora si lasciavano rapire dal fuoco e cedevano a lui.

Perdevano la loro precedente forma e si tramutavano in luce e gas e rumore di vampa.

Una simpatica coppia giovane, con un bimbo di pochi mesi a seguito, ha comprato questa casa da cui la banca aveva sfrattato gli anziani proprietari di prima, pochi mesi prima. Gente che aveva in qualche modo sbagliato i calcoli, nella vita, e che perdeva tutto all’età in cui avrebbe invece voluto riposare.

Mi sembrava che una sostanza impregnata di sfortuna avvampasse intorno al materiale che bruciava, piagando la casa nella materia così come piagava i suoi proprietari vecchi e nuovi nello spirito.

Quanta sofferenza dentro quelle fiamme… debiti e speranze, sogni, ricordi… tutti intrecciati insieme ai guizzi gialli si alzavano verso il cielo nero della notte.

Tre camion dei pompieri intanto si sistemavano con cura davanti alla casa, si fissavano su enormi braccia meccaniche al suolo e sparavano tutto intorno fari dalla luce abbagliante. Nella strada illuminata a giorno i pompieri hanno cominciato ad uscire dai camion, a srotolare cavi e tubi, aprire valvole, controllare apparecchi. Mentre io, come un topo irrequieto, mi aggiravo su e giù nel mio giardino stringendo le mani e pensando “perché non si sbrigano?”. E mentre loro continuavano a muoversi lenti e saggi ho visto le fiamme lambire i rami del mio albero e ho pensato che la cosa poteva davvero finir male per tutti.

Invece, una volta attaccato l’ultimo tubo all’ultimo bocchettone, controllato l’ultimo attrezzo, fatto l’ultimo segno, un fiotto enorme di una sostanza schiumosa ha eruttato dalla pompa e ha subito placato il fuoco, soffocando la sua esuberante cima, che ha lasciato il posto a una coltre di fumo.

E ora che le fiamme si abbassavano, retrocedevano, rientravano dentro al cassone da cui erano uscite come un cucciolo indisciplinato e castigato, si potevano vedere i danni alla casa. Mezza facciata divorata, con piccoli mozziconi fumosi qua e là, il tetto scomparso, ridotto a uno scheletro di assi nere, piccoli focolai ancora accesi dentro le pareti e sotto i pavimenti, qua e là.

Io pensavo con sgomento alla giovane coppia con il bambino, e a quante volte li avevo visti passare la domenica a curarsi della casa, quasi finita, con il bambino poggiato sull’erba e un’aria di festa in ogni loro gesto. E a quante volte avevo visto lui arrivare la mattina presto a parlare con gli operai, controllando che tutto andasse bene. Li pensavo a letto, adesso, a dormire ignari del fuoco che gli aveva portato via così tanto, e mi veniva quasi da piangere.

Altri vicini si erano avvicinati all’incendio, dalle case intorno, e stavano con sguardi preoccupati e facce di cordoglio ad osservare la scena.

I pompieri lenti e sicuri, intanto, ricevevano rinforzi e da sette camion brulicavano fuori le loro tute marroni, i loro caschi con le visiere ampie, gli stivaloni. Tutti in silenzio, sembravano sapere esattamente cosa fare e non avevano bisogno di parlare fra di loro, nessuno sembrava dare ordini. Soltanto uno, a un certo punto, ha afferrato un’ascia e ha gridato verso l’interno della casa se qualcuno era dentro; poi, non ricevendo risposta, ha buttato giù la porta con pochi colpi ed è penetrato dentro. Altri son entrati da finestre o porte sul retro o chissà da dove e dopo poco, nell’interno affumicato della casa, si vedevano queste sagome lente che armeggiavano in giro.

“Poveri ragazzi”, pensavo io, intanto. Chissà come ci rimarranno male, domani, a vedere cosa è rimasto della loro casetta. Mi immaginavo le pareti e il tetto scempiati, i mozziconi di stanze e finestre sotto la luce del giorno, che avrebbe reso più evidente il disastro. Pensavo i miei vicini fermi davanti alla casa e i passanti che si sarebbero accostati, tenendosi un po’ a distanza, a sbirciare la scena, sgomenti e contenti di non essere toccati da vicino. Immaginavo la giovane madre piangere con il bimbo in braccio e speravo di poterle essere di aiuto in qualche modo, se non altro offrendole una tazza di caffè.

Ma i miei pensieri si sono confusi di stanchezza, a un certo punto, e il fuoco scemava e scemava, dentro al contenitore di metallo. E il fumo era meno spesso, i movimenti dei pompieri ancora più lenti e sicuri. Gli altri vicini si dileguavano discreti verso le loro case. Mi sono voltata verso la mia, ho guardato con tenerezza la facciata intatta e le finestre accese su un interno confortevole e sicuro. Ho salutato mentalmente la scena dell’incendio e sono andata a letto, con un’ultima stretta al pensiero dell’indomani.

L’indomani, al risveglio, mi sono affacciata e dell’incendio non c’era traccia evidente. La casa era ricoperta di teloni di plastica ben fissati alla struttura, il tetto messo in sicurezza, nessun detrito in giro. Solo un po’ di acqua ai lati della strada e qualche rivoletto schiumoso.

La giovane coppia era là. Lei ai piedi delle scale, stava salendo per entrare. Lui dal mio lato di strada, appena l’ho chiamato si è voltato e ha allargato le braccia per farsi abbracciare. Cosa che ho fatto, molto commossa. “Mi dispiace”, gli ho detto, “mi dispiace tanto”.

Lui si è stretto nelle spalle, ha sospirato e mi ha chiesto se avevo visto qualcosa. Gli ho detto certo, sì, ho visto tutto! E ho offerto un immediato aiuto nella ricostruzione dei fatti. Da dove è partito il fuoco (probabilmente i gas di qualche barattolo di vernice buttato fra i detriti, mi ha spiegato lui), come si è propagato, fin dove è arrivato. Mostravo concitata i posti dove la sera prima aveva guizzato il fuoco e dove ora gli operai sembravano svolgere le loro normali operazioni, e invece finivano di sgomberare e di aggiustare l’aggiustabile.

“Per fortuna mezza casa è ancora in piedi.” Ha detto il vicino. “Hai mica fatto delle foto?” Mi ha chiesto poi. Io ho annuito, contenta di poter essere utile. “Me le puoi spedire?” ha chiesto di nuovo, “mi saranno utili per l’assicurazione”.

Io ho detto certo, che di sicuro gliele spedivo subito. Poi l’ho visto salutarmi ed entrare, a passo spedito, nella casa mezza coperta di teloni.

Sono rientrata anche io, in casa, un po’ stupita e con il senso di vuoto che viene quando le cose vanno diversamente da come te le aspetti. Mi sono fatta io, un caffè; e subito al posto del vuoto mi è venuta la contentezza. Ingurgitandomi un bel sorso di bevanda ho pensato che era proprio un bene come andavano le cose quando una casa si incendiava, qui in America.