Nella colonia penale

È appena uscita una nuova edizione del racconto di Franz Kafka Nella colonia penale (Zona Contemporanea) - traduzione, cura e disegni di Davide Racca. Ne presentiamo in anteprima due estratti.

di in: De libris

Davide Racca, Nel dispositivo attuale del vecchio potere

“È un dispositivo particolare”, disse l’ufficiale al viaggiatore in esplorazione, e, con un certo sguardo di ammirazione, controllava il dispositivo a lui pur ben noto. Il viaggiatore sembrava avere accettato solo per cortesia l’invito del comandante di assistere all’esecuzione di un soldato, reo di insubordinazione e oltraggio a un superiore. In realtà nell’intera colonia penale non era molto grande l’interesse per questa esecuzione. Ma almeno, qui, nella piccola valle profonda e sabbiosa, chiusa intorno da calvi pendii, oltre all’ufficiale e al viaggiatore, c’era il condannato; un uomo ottuso, dal muso largo, con capelli e volto trascurati, e con lui un soldato che reggeva la pesante catena dove fuoriuscivano le catenelle con le quali il condannato era legato caviglie polsi e collo tenuti insieme anche da catene di collegamento. Del resto il condannato sembrava così caninamente sottomesso che dava l’impressione lo si potesse lasciare correre libero sui pendii e, al momento dell’esecuzione, si doveva solo fischiare perché arrivasse.

Il viaggiatore dava poco peso al dispositivo e passeggiava visibilmente incurante su e giù dietro al condannato, mentre l’ufficiale provvedeva agli ultimi preparativi, ora strisciando sotto il dispositivo profondamente piantato nel terreno, ora salendo una scala per controllare le parti superiori. Erano lavori che in realtà si sarebbe potuto lasciar fare a un macchinista, ma l’ufficiale li eseguiva con grande zelo, sia perché era un fiero sostenitore di questo dispositivo, sia perché, per altre ragioni, il lavoro non poteva essere affidato ad altri. “Ora è tutto pronto!” gridò infine, e scese dalla scala. […]

 

[…] “Questa procedura e questa esecuzione capitale, che ha ora l’occasione di ammirare, oggigiorno non trovano più sostenitori nella nostra colonia. Ne sono l’unico rappresentante e, contemporaneamente, sono l’unico erede del vecchio comandante. Non posso minimamente credere a un ulteriore sviluppo della procedura, e ho bisogno di tutte le mie forze per conservare l’esistente. Quando era vivo il vecchio comandante la colonia era piena dei suoi seguaci; la capacità persuasiva del vecchio comandante io la posseggo solo in parte; è il suo potere a mancarmi completamente. Per questo i seguaci si sono nascosti; sono tanti ancora, ma nessuno lo dichiara. Se lei, oggi, proprio in un giorno di esecuzione capitale, si reca alla locanda del Tè e tende l’orecchio, forse sentirà solo esternazioni ambigue. Loro sono i veri seguaci, ma assolutamente inutili sotto l’attuale comandante e le sue concezioni. E ora le chiedo: è pensabile che a causa di questo comandante e delle sue donne, che lo influenzano, un’opera di tutta una vita come questa”, e indicò la macchina, “debba andare in rovina? Si può permettere ciò? Anche se si è solo da un paio di giorni sulla nostra isola come stranieri? Ma non c’è tempo da perdere, si sta tramando qualcosa contro la mia giurisdizione. Al comando hanno già luogo preparativi ai quali non vengo invitato; perfino la sua visita di oggi mi pare significativa per l’intera vicenda; sono vigliacchi e si manda avanti lei, uno straniero… Com’era diversa un tempo l’esecuzione! […]

 

Estratto da Nota alla traduzione

 

Nella trasposizione del racconto ho cercato di restare il più fedele possibile al dettato originale. In particolare tengo a sottolineare che su alcuni termini ho inteso discostarmi da una tradizione che tende a tradurre la stessa parola con differenti sinonimi, anche a scapito dell’eleganza nella lingua di “approdo”. Per esempio, per lo strumento di tortura, descritto all’interno del racconto dall’ufficiale, Kafka utilizza solo due termini: Apparat e Maschine. In una traduzione illustre della prosa, come quella di Franco Fortini, il termine Apparat, che già all’inizio è adoperato due volte nella stessa frase, viene tradotto prima con apparecchiatura e poi con macchina, per evitare l’effetto “disturbante” della ripetizione. È mia opinione, però, che Kafka avrebbe potuto adoperare termini sinonimi se avesse voluto evitare questa ridondanza, ben percepibile del resto anche in tedesco. Lo stile di Kafka non è un bello-stile, e la sua precisione si nutre anche del “disturbo” di certe reiterazioni. Per questo ho mantenuto rigidamente per Apparat il significato di dispositivo[1], e per Maschine quello di macchina. […]

 

(Per gentile concessione dell’editrice Zona Contemporanea http://www.zonacontemporanea.it/nellacoloniapenale.htm)



[1] Il termine Apparat, che filologicamente sarebbe più corretto tradurre con apparecchio, viene in questo contesto tradotto con dispositivo. Un termine che a partire da Foucault, ha stimolato riflessioni più vaste. Riporto qui una citazione da un saggio foucaultiano di Agamben (Che cos’è un dispositivo?, Nottetempo Edizioni, Roma 2006, pp. 13-14) che fa al caso nostro. «Se proviamo ora a esaminare la definizione del termine “dispositivo” che si trova nei dizionari francesi di uso comune, vediamo che questi distinguono tre significati del termine:

a. Un senso giuridico in senso stretto: “Il dispositivo è la parte di un giudizio che contiene la decisione separatamente dalle motivazioni”. Cioè la parte della sentenza (o di una legge) che decide e dispone.

b. Un significato tecnologico: “Il modo in cui sono disposti i pezzi di una macchina o di un meccanismo e, per estensione, il meccanismo stesso”.

c. Un significato militare: “L’insieme dei mezzi disposti in conformità di un piano”».