Il musicante

di in: Bazar

Si era cresciuto nel recinto del manicomio dov’era triste come il re di denari, che non piscia mai in compagnia e che ha paura di essere una spia. A trent’anni cominciò a salire in città. Chiedeva soldi pure alla Madonna Santissima, per comprare radioloni. Quando gliene veniva in antipatia uno, lo metteva sotto i piedi, lo pigliava a maleparole e se ne comprava un altro. Le canzoni che cantava sembravano serenate, e la città non era stata così bella di canzoni da chissà quando. Si portava appresso una banda di ragazzini, giravano felicemente a vuoto, inventavano corse senza senso, furti di cose che non esistevano, corteggiamenti senza speranze. Lui, che si sentiva re della via grande, nei vicoli, obbediva agli ordini dei ragazzini. Gli sanguinavano i piedi per le scarpe strette, non guardava le nuvole, fischiava le colonne sonore dei western di Sergio Leone. Amava, più di tutto, la musica dei duelli finali, specie quella di Per un pugno di dollari”. Nel corso affollato, o nella piazza, vuota, delle domeniche mattina, si fermava, di colpo, con la calma e la serietà di un esattore del destino, inseriva la cassetta al punto giusto, allungava il braccio, metteva due dita a forma di pistola e mirava l’invisibile con una tale noncuranza del tempo e dell’eternità e una così infantile attitudine a fingere la morte che la città, se avesse avuto un dito di giudizio, sarebbe andata in sposa alla sua puzza di piedi. La notte dormiva nel cimitero o al Mercato dei Poveri. Una sera fece irruzione nella Piazzetta Duca della Verdura, durante un concerto per pianoforte e violino, e fece fuoco, con una pistola a tamburo, sugli spettatori, ma siccome nessuno moriva, stramazzò lui, a terra, per accontentare la morte bambina che guarda i film, all’aperto, con l’olio dei peperoni che le scorre sul mento. Era alto quanto un Cunto de li Cunti, ebbe per fidanzate novantanove radioloni, ma non si accasò con nessuna. Quando era pazzo di malinconia si tagliuzzava le braccia con una scheggia di vetro, andava in canottiera con la neve. Lo chiusero, due tre volte, nel manicomio criminale di Aversa. Si spargeva la voce, di tanto in tanto, che fosse morto, poi, all’improvviso, qualcuno diceva di averlo visto in quella tale strada, con un sorriso da bambino sulle labbra. Siccome ricompariva tutte le volte che veniva dato per morto ammazzato, caduto in un precipizio, messo sotto un’automobile, la gente cominciò a spazientirsi e qualcuno insinuò che chi continuava a vederlo, fosse morto anche lui, senza saperlo.”