Il Meraviglioso Libro Inventato /1

Il ricordo del Meraviglioso Libro Inventato è legato al viaggio in Francia di dieci anni fa con Giorgio e Fabio. Il libretto me lo aveva prestato Enzo Garramone, un signore dalla barba bianca, collezionista di fumetti degli anni quaranta e cinquanta, uomo di una gentilezza estrema, un po’ allucinata; signore di altri tempi, dalla voce profonda e buona. Mi aveva portato in soffitta, a guardare le sue raccolte di Gim Toro, Tex Willer, Cino e Franco… Amava quelle figure con la stessa delicatezza che portava nella conversazione e nei suoi giochi di prestigio, visto che era un mago, l’unico mago della città, oltre al Mago della Radio, ma quello era un falso mago, e veniva chiamato così, con affettuosa ironia, perché non indovinava una valvola, neanche una… Enzo Garramone accennava ai suoi giornaletti con il pudore e la meraviglia di un amante passionale e schivo. Un giorno mi raccontò di aver venduto tutto per togliersi un debito di poco più di due milioni di lire. Aveva confessato candidamente il suo problema a uno sconosciuto “collega” romagnolo; e quello, la mattina appresso, stava sotto casa, con il cofano aperto. Settecento chilometri con la soddisfazione, lo stupore di avere truffato qualcuno che lo avrebbe anche ringraziato. Immaginai lo svuotamento della soffitta, le sue braccia ricolme di tristezza, senza che né Tex Willer né l’Uomo Mascherato o Mandrake risolvessero la questione, a modo loro, con un colpo di pistola in fronte, un cazzotto o un numero di illusionismo. Mi piangeva il cuore a sentire la storia del debito e della soffitta ormai vuota, raccontata con una innocenza e una dignità che un po’ m’inquietavano, un po’ mi facevano incazzare, visto che avrebbe potuto chiedere quei soldi agli amici, che sarebbero stati felici di darglieli.

Conoscevo un altro, angelico collezionista di quell’età d’oro dei fumetti. Gli amici lo chiamavano Cecchino. Viveva in un palazzone della periferia, in compagnia della moglie, una donna ancora bella, placida e teneramente astratta come le avventure, gli eroi dei suoi affreschi di carta. Un’altra compagnia era il suo cane, che si ammalava, ogni tanto, e lo curavano con semplicità e qualche ansia. Le storie colorate, disegnate, non si ammalavano. Non avrebbero cacciato un lamento. Non si sarebbero strusciate addosso al loro padrone e servitore, impaurite da una improvvisa malinconia o dalla morte. Stavano tutte, o quasi, in una stanza. Negli stipi, sul tavolo e dentro la cristalliera, dove le guardava come feti immacolati. Da un paio d’anni si era ritirato in pensione; aveva insegnato il gioco del pallone a centinaia di ragazzini con la severità di un padre del deserto, ma senza il pallore dei fanatici, capace d’incantarsi di fronte alle “figure” del calcio così come davanti a un’avventura dell’Albo dell’Intrepido. La sua voce, sussurrata, adombrava il mistero di un gol su rovesciata, di una finta, palla al piede o senza pallone, che era anche un’antica finta del cuore. Era, anche lui, di una gentilezza di altri mondi; mai

cerimoniosa. Cominciò a sfogliare, in mia presenza, piccoli e grandi albi, con una felicità amorosa. Gli ridevano gli occhi a ritrovare quelle figure intatte, incapaci di ingannare, di sognare altre storie, altri gesti…

Il Meraviglioso Libro Inventato, del Cavaliere Domenico Chiummiento, fu il nostro nume tutelare, in quel viaggio a tre, che doveva essere a quattro, senonché venne meno una ragazza che aveva avuto una colica il giorno prima della partenza. Il suo posto venne preso da questo poemetto, amoroso non perché parlasse d’amore, ché il suo autore sembrava interdetto al comune intelletto d’amore, troppo intento a scrutare i segreti de terremoti, le connessioni siderali con l’infantile perfezione dei numeri e con la generosa, strabiliante matematica della morte e del Caso… Il Meraviglioso Libro Inventato aveva, amorosa, la lingua, un imbroglio geometrico, mai calcolato, neppure dettato o pronunciato in sogno; mai neanche la minima furberia poetica.

“FACENDO LUCE NELLE macerie che veniva da lui traforato, e così otteneva la grazia con la sua salva uscita.

“TRA I QUALI POI USCITO SALVO dal suddetto macerio sprofondato, Iddio lo fece ricco a causa del successo terremoto.

“PER AVER fatto una sua lunga camminata…. trovava per lungo la strada, un grosso portafoglio di moneta alla presenza di molta gente, e ritrovò la misera somma di lire cinquanta.

“E CON quella suddetta trovata moneta, e col suo relativo geniale pensiero, volette giocarsi i numeri rilevati sui morti e feriti, e così vincette la quaterna con una sola giocata.

“IL QUALE ESSENDO lui amatore del Signor Iddio ed anche del prossimo cristiano, facette uso del suo RELATIVO BUON CUORE…”.

L’epoca dei bandi del Cavaliere Chiummiento era quella delle canzoni cantate, mugolate, fischiettate, sussurrate, all’aperto, nei cinema, nelle latrine, nelle case dove si faceva il pane , dove ci si scontrava, di notte, per pisciare, al buio; e chi rimaneva in piedi, aspettava con pazienza, inabissato nelle note di una canzone che si era impiccata alla trave e che tornava a riprendersi la bocca dei vivi e dei morti… Erano i giorni degli angeli eccitati, che lo strusciavano sull’ombra, femminile, di un muro… La morte non ha mai avuto il senso del ridicolo.

“IL QUALE ESSENDO lui per punto miracolosamente salvato, ha voluto scrivere questo libro, la fortuna e la sfortuna della sua pianeta, col dire che se il presente libro fosse stato inventato prima del suddetto terremoto, centinaia di morti si sarebbero salvati”.

Da Reggio Emilia alle valli soffocanti della Val d’Aosta, cassette di Paolo Conte, Battisti, Van Morrison, ma anche la musica, senza trafitture o imbruscinamenti di nostalgia, che piaceva a Fabio. Fu in una di quelle valli, che fanno venire attacchi di claustrofobia, che Giorgio mi chiese di leggere alcune pagine del Meraviglioso.

“PRIMARIO LIBRO INVENTATO con le previsioni sul terremoto. PER chiunque farà l’acquisto del presente libro inventato, sarà sempre il primo a salvarsi per ogni qualvolta la terra terremoti. LIBRO SCIENTIFICO INVENTATO per sfidare il terremoto e la scienza”.

Il Meraviglioso sbaraccava le cartoline viventi dei villaggi alpini e la fissità un po’ stronza del cielo. Giorgio rideva in una maniera che gli ballava il culo e poteva essere una ragazza che gli nasce il cazzo in mezzo alle gambe per pura allegria e gioco. Fabio sorrideva, incerto.

Il Cavaliere Domenico Chiummiento era il banditore ufficiale della città di Potenza. Berretto d’ordinanza e trombetta.

Sott’ l’arch’ d’ San Giuvann
so arruvà li Tites.
fich’, in quantità
a trenda lir’ u chil… –

Chi avess truvat
Nu rùppel amar
Lu géss a purtà a lu Sanitarie
Ca ndùppela e stuppelà
S’ pozza affuà
Abballènn abballà –

Il figlio, l’unico figlio del Cavaliere, fa il calzolaio, guarda il mondo come un bambino grande e suona la fisarmonica. Non sapeva niente del Meraviglioso Libro Inventato, e quando se l’è trovato tra le mani e ha letto il nome del padre, si è messo a ridere, di curiosità, più che di commozione. Del padre non conserva nulla, tranne un antico libro di astrologia dove mancano le prime pagine.

La Francia è immensa. Il francese dei film, quello delle canzoni di Edith Piaf, Yves Montand, Serge Reggiani mi procura un’impressione di vaghezza, anche quando racconta disperate storie d’amore. Avrei voluto ascoltare Giovanna d’Arco quando risponde ai preti, che la vogliono morta non potendola carezzare e averla nei loro letti da viva. Il francese della Pulzella, di Thérèse, degli scaricatori di porto, di un bambino bretone folle…

Ho attraversato la Francia con questa idea nella testa; che la lingua francese non riuscisse ad esprimere qualcosa di inquietante o di doloroso.

Giorgio implora qualche rigo del Meraviglioso Libro Inventato. È piena di fiumi, la Francia. La nostra partie de campagne sulla riva della Loira. Manca la tovaglia. Mancano le ciliegie e il ciliegio; il signore e la signora Dufour. Non c’è neanche il fantasma di Henriette. Amo i fiumi dei film, ma anche questo è bello. Ci appisoliamo all’ombra di un albero largo e maestoso. Più tardi, una passeggiata con Giorgio. Fabio dorme. Ci fermiamo in una trattoria pensile, una ragazza ci porta una bottiglia.L’acqua del fiume e il vino rosso.

La piazza di un villaggio che si chiama Ciel cielo. Un bar, una ragazza, che ci serve il vino. La madre, giovanissima. Comparse di vecchi film francesi.

Il Cavaliere Chiummiento aveva una moglie che toscaneggiava, una donna magrissima, con i capelli di paglia, gli occhi senza mistero, girava per le feste delle madonne col treppiedi e la macchina fotografica.

“CON questo meraviglioso libro si rileva la data per sapere su ogni quanto tempo avvengono dei forti terremoti, di cui tale interessato nominativo lo troverete nella pagina quarantotto.

“PRESSO TROVERETE UN BELLISSIMO segreto adatto per vincere il terno al gioco del lotto, col seguente regolamento depositato nella seguente pagina sette”.

Le risate di Giorgio, e i sorrisi, sempre più convinti, dell’autista. Un campeggio vicino al fiume. Montiamo la tenda. È per due. Giorgio decide, amorevolmente, di concedermi il posto, e trasforma in letto il cofano dell’auto. Dopo un paio di minuti lascio la tenda perché mi manca l’aria, raccolgo un po’ d’erba, falciata e ancora fresca, ne faccio un cuscino, dovrebbe essere bello dormire sotto le stelle. Non è così. Comincio a smaniare. Sarà l’umidità, che non sopporto. Vedo Giorgio allungato sul duro giaciglio da eremita.

Il museo Nièpce. Il terrore di scoprire, in una vecchissima foto, un dagherrotipo, le mie figlie… Ritrovarle nei volti di due contadine alsaziane. Imprigionate in un paesaggio di fine ottocento.

La sera del nostro arrivo andiamo al mare. Una sosta alle saline. Le foto, in bianco e nero. Imbrunisce. La spiaggia è una piazza grigia e immensa. Qualche ombra. Il mare è scuro e agitato. Ci teniamo lontani dalla riva. Abbiamo fame. Una baracca illuminata. Mangiamo qualcosa. Omelettes e vino rosso. Fabio, il convertito, l’ex miscredente, mi chiede un assaggio del Meraviglioso Libro.

“DOMANDA E RISPOSTA Che cosa occorre per uso della salvezza? Principalmente anzitutto occorre di farsi l’acquisto del presente libro in casa, leggendolo almeno una volta per ogni mese, seguire le avvertenze del presente libro e poi comprare la piccola invenzione che verrà pubblicato nella seconda edizione del PRESENTE LIBRO il quale sarebbe un piccolo macchinario che viene applicato internamente sul tetto del proprio dormitorio, facendo un suo bellissimo rumore, costituendo l’avviso famigliare, in occasione delle scosse terremotati”.

Giorgio, Fabio e le loro risate innamorate.

Ad Arles siamo ospiti di una ragazza francese. Sono ubriaco. Ci sono altre ragazze. Un paio sono italiane. Leggo alcune pagine del Libro Inventato e la ragazza francese che sta di fronte a me, faccia a faccia, scoppia a ridere. È l’ex donna di Claude, un fotografo amico di Giorgio che ha fotografato molte ragazze italiane. Il libro si chiama, se non sbaglio, “L’amore, d’estate”. Continuo a leggere il Meraviglioso.

“DI CUI… SECONDARIAMENTE occorre prepararsi un semplice vestito, con un paio di scarpe leggiere, acciocché si possano mettere tutto insieme nel suddetto preparato largo fazzoletto, per tenerlo sempre pronto in casa solamente per uso dei tristi e in aspettabili rifugi… ACCIOCCHE’ PER QUALORA sentirete il rumore del suddetto macchinario…”.

Le ragazze italiane ridono in maniera sommessa, ma la francese sembra infilarsi la lingua del Meraviglioso sotto la pancia…

Ho bevuto troppo. Mi viene da vomitare. Una delle ragazze mi indica il bagno con sorriso benevolo. Mi accompagna Giorgio. Mentre mi libero, Giorgio mi tiene una mano sulla fronte. Infelice chi non ha mai vomitato con la mano di un amico premuta sulla fronte.

“L’agg’ accattat doie chil d’ nzogna
gn’agg’ affunnat lu cuor toie bbell
ca sta nvernara m’ l’aggia menà
abballènn abballà!”.

I bandi che il cavaliere Domenico Chiummiento avrebbe voluto cantare ma che nessuno gli chiese di cantare nella bella città dei mattini.

“A la fundana d’ Sammechèl gn’ stann doie figliol’
Chi li cerca nu li trova.
Chi li vòl, nu li vèr,
Chi s’ li vòl’ accattà, resta cecat’”.

Le giostre con i cavalli di cartapesta, le luci bianche. Le città, i paesi della Francia ne sono piene. Un caffè, di notte. Una bionda sui trentacinque anni, occhi verdi, blue jeans, camicetta attillata, sfida alle freccette due uomini della sua età, che sono forse suoi amanti, e vince. I due uomini le stanno vicini, mai addosso; s’impegnano, ma senza accanimento. Neanche lei si accanisce. Sensualità, indifferenza inattingibile del suo culo. I suoi segreti. Nessuna gelosia, nessuna invidia, per me, che non mi sarei accontentato di avere un culo di donna. Avrei voluto anche occhi e bocca…

“Chi avéss’ truvat nu par d’ corn’
s’ l’accungiass prima ca è scur’
L’ha pèrs aier Rocche Cusccòn’
Ndrunàt cum’era, nu ns’ n’è accort.
P’ la Madonna e p’ Sant Dunat’
Mettir’vell’ bell’ aggiustat.
Rocch’ va addumannènn’ casa casa.
A qualcun gn’ chiang’ lu cuor’
E gn’ vuléss’ prestà li soie.
Ma Rocch’ nu n’ vòl’ savé,
li ccorn’ soie bbell’ vòl t’né.
Abballènn’ abballà”.

La città del banditore, anni quaranta e cinquanta. Ma lui era forestiero, parlava così come scriveva, una lingua mpupàra, che sarebbe a dire ubriaca di prima mattina e pure nel sonno. Ubriaca senza lacrime dolci e senza vino. Non aveva segreti, storie di femmine o di angeli da raccontare, e la sua lingua si drizzava come il cazzo mite e svagato di certi pazzi che non sfiorarono mai neanche i capelli di una donna e ridevano a mettere un piede nella sua ombra.

Zi Pasccal Corrad’, trombone, clarinetto e sambugnella.

Giuvann’ Mezzapruvingia, trombone e fiasco di vino. Andava in giro suonando per raccogliere uova. Mast’ Rrocche Basentìn, fisarmonica a quarantotto tasti. Non andavano a tempo con la musica e Mangusiedd’ s’ ngazzava. Mangusiedd era alto un metro e trentadue, zoppicava, faceva il lustrascarpe sul vicolo dei Fratelli Bandiera; altri mestieri di Mangusiedd erano lu Mpagliasegg’ o Seggialar’, l’Accongiambrell o Mbrellar, L’Ammolaforbic’ (insomma, l’Impagliasedie, l’Aggiustaombrelli e l’Arrotino), teneva un bordello assieme alla sorella, organizzava pellegrinaggi alla Madonna di vicino Foggia, a San Michele Arcangelo, a Montevergine. Aveva due figlie, una con un occhio storto, dalla chiacchiera dolce; l’altra, ombrosa e scortica pelle di maschi nei pensieri.

Malanga. Il marito la costringeva a mettersi i mutandoni, perché sotto le griglie c’era la pasticceria e i pasticcieri spiavano.

Gerarda Riviello, vedova con cinque figli, vendeva granoni cotti, carbone, carbonella e petrolio per lucerne, in Vico Cirillo. Aveva le mani da forgiara e non si era mai infilata un paio di mutande in vita sua. Quella che la vestì, da morta, gliene mise due paia.

I fornai dormivano in mezzo alla via. Facevano festa con mangiate di lumache. Il vicolo diventava una cantina. Tendòn s’impiccò.

Quercia. Antonio Napparedda. Maria Lapatata.

La figlia era fidanzata con Cammarota, il macellaio. Lui perse la testa per una pantascca di femmina. Maria si avvelenò.

Bruna bruna. Vent’anni. Bella.

Da Panzariedd si faceva sempre festa. Figliole di Largo Barbelli. Lucia Salvati. Na mundagna d’ figliola. La cumparsita. Lu sax. In mezzo alla strada.

Nu spazzin, con un occhio soltanto, mangiava come una bestia a la festa d’ Sanda Lucia.

Rocche Buénn, senza pizza in mezzo alle gambe, e Rocchin Femminella che faceva il cameriere, portava i guanti bianchi per non sciuparsi le mani.

Rocchìn Pallungìn sunava l’urganett’, bevìa lu latt’ a litr.

Uno sposalizio a Betlemme. Nu caverar con quattro pecore. N’atu caveràr pieno di polli. Na sciolta di suonatori. Cecuorie. Buppa buppa bù!

“ALTRE MIE OSSERVAZIONI giustificato sulle aperture della terra; tra i quali per questo non occorre temere, perché le aperture della terra, vengono formate per ogni lunga distanza, di cui sebbene potranno danneggiare quei tali persone che si possono trovare sul taglio…”.

Il Cavaliere gettava il bando per un anello perduto, per un paio di lettere che lo Spirito Santo mandava alla Vergine e che erano state smarrite dall’Angelo; per la Fiera di Zangh, per chi avesse trovato il pazzariello di un Santo, per i puparul’ a buon mercato…

Scarparedd’. Voleva vendere soltanto ombrelli e pettini. Quando lo dimisero dal manicomio, vulìa accattà pettini e ombrelli con la pensione. Si metteva l’olio Venus. Lo comprava da Vinciguerra. Se ne andava in giro con la brillantina solida nelle tasche.

Michele Leone. Capelli a spina di pesce. Con la scrima dietro. Impazzì per una figliola che l’aveva lasciato. Quando faceva caldo, gli scorreva la brillantina sopa lu cuzzett. E sempre con le mani se l’asciugava. Bellu uagliò. Capelli neri e ondulati. Un altro fratello, pure in manicomio.

Agli sposalizi c’era il violino e il violinista, le maracas, la fisarmonica. Ballavano femmine con femmine, bambine con bambine, figliole con figliole. Le femmine grandi ballavano senza guardarsi negli occhi. Si vedevano criatur con la crema degli sciù dentro i capelli, stutati da una mezza coppa di spumante dormivano allungati tra le gambe di qualcuno.

– Il mio fidanzato se n’era andato di testa, a fare le stelle e i fiumi. Ma neanche un’ambasciata mi mandava. Perché era timido assai ed era mille volte più vecchio di me che avevo tredici anni. Si metteva vergogna a spettinarmi i capelli pure quando ero calata a sonno, che non l’avrei sentito. Mai che mi avesse portato nu pugn d’ ceras. Io gli volevo bene e mi accontentavo di un po’ di vento che mi faceva con un giornale dietro la nuca. Una mattina mi sono accorta della gelosia sua che era un’ombra sopra il quaderno dove facevo le lezioni. Aveva paura che m’ero messa a scrivere un bigliettino d’amore chissà a chi.

Chi tornava dalla fatica, si sedeva davanti alla porta, e per non guastare l’aria dolce, muoveva solamente gli occhi. Cristo teneva una terrazza dove invitava la Morte a pigliarsi una scruppedda senza miele.

I muli del carbonaio portavano salme di legna. Pietre grosse dal fiume, Cristo con la croce e con tutti i peccati, case della Madonna che non sapevano volare.

I bambini accendevano candele; gli angeli, dispettosi, le spegnevano.

(I – continua)