Alice nel mondo attuale del libero scambio di libere opinioni

di in: De libris

Straordinari e sorprendenti commenti hanno accompagnato l’uscita dell’ultimo libro curato da Gianni Celati, Alice disambientata (Le Lettere, 2007), che per la precisione è la riedizione di una “macchina di scrittura”, avviata a Bologna nel 1976-1977 da un autore collettivo (per lo più studenti riuniti nel gruppo ALICE/DAMS, che all’epoca animava un corso universitario tenuto dallo stesso Celati), la quale ha “montato, ampliato o contratto i vari discorsi venuti fuori”, ossia, presumibilmente, molto di quello che si diceva o era solo implicito nell’aria in quei luoghi e in quegli anni abbastanza chiacchierati di recente.

La figura di Alice proveniva, negli anni Settanta, dalla controcultura americana e riassumeva in sé tutto quello che era “movimento” all’epoca: dal pacifismo alla cultura psichedelica, dalla musica di Bob Dylan alla musica jazz. Prese a circolare anche in Italia proprio grazie ai partecipanti a un corso su Lewis Carroll tenuto all’Università di Bologna da Celati, diffondendo ovunque le sue scombinatezze e le sue scostumatezze, le sue intuizioni e la sua sapienza insensata attraverso foglietti volanti, frammenti di discorsi, nastri registrati, blocchetti di appunti, quaderni e quant’altro. Celati seppe ascoltare tutto, non buttò via niente, e infine ne fece un libro che è qualcosa di più di un libro: è un manufatto vivo e contraddittorio (un non-libro), che nel 1978 passò quasi inosservato, ma che oggi, nella società della comunicazione globale e delle reti informatiche, è riuscito a mettere a soqquadro il mondo della cultura, suscitando, come dicevamo all’inizio, molteplici commenti e reazioni. Diversi intellettuali e scrittori, critici, professori e giornalisti sono scesi in campo e hanno scritto alla nostra redazione per esprimere il loro punto di vista su Alice disambientata, dando il via così a quello che sarà considerato probabilmente il dibattito culturale più importante in Italia dal dopoguerra fino ad oggi, occupando pagine e pagine di giornali e chilometriche trasmissioni televisive.

Dalle mail di scrittori, filosofi e storici che hanno scritto a ZIBALDONI E ALTRE MERAVIGLIE, emerge dunque un quadro sorprendente del quale mi accingo a darvi fedelmente conto, animato da un unico dubbio: da dove può essere scaturito un tale scalpore intorno a un libro del genere?

Che cosa può aver mosso nel profondo i migliori intellettuali italiani, spingendoli a confrontarsi oggi con un’opera dichiaratamente bucherellata e precaria (più che “aperta”), destinata fatalmente a sparire e a dissolversi nelle sue stesse spire? È forse lo spirito faccendiero, liberoscambista e liberopinionista del nostro tempo adatto a raccogliere l’eredità di un libro scritto chiaramente per sfaccendati malfunzionanti e incomunicativi?

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Ho capito subito il clima eccezionale che si stava venendo a creare intorno ad Alice disambientata, quando qualche giorno fa, aprendo il programma di posta elettronica della rivista, mi sono accorto che erano arrivate decine di mail recanti in oggetto un riferimento al libro curato da Celati. Provenivano tutte da mittenti particolari e illustri, che mai avrei immaginato conoscessero ZIBALDONI o addirittura che potessero interessarsi alle cose della letteratura.

La prima mail che ho letto era di un noto professore di una notissima Università italiana, filosofo cosiddetto, ma “interessato anche alla politica attiva”, di sinistra sedicente, ma “interessato anche a collaborare e dialogare con ampi schieramenti”. Diceva, questo filosofo, così: “L’ermeneutica del mondo attuale esclude chiaramente la praticabilità di strategie conoscitive fondate su meccanismi obsoleti come la scrittura automatica o il pensiero collettivo. Alice disambientata è frutto di una totale mancanza di lucidità, di una profonda incapacità di lettura della fenomenologia dell’attualità: è un libro sgangherato e sconclusionato, che non sono nemmeno riuscito a leggere tutto perché mi rilassava talmente che finivo per perdere il controllo del mio pensiero, e quasi mi dimenticavo delle mie salde idee, di me medesimo e delle cose che avevo da fare. Bisognerebbe sconsigliare vivamente a tutti questo libro, evitando che lo leggano soprattutto i giovani perché è innegabile che un testo siffatto possa far presa sulle menti inesperte della vita”.

Una seconda mail, scritta con molta eleganza e forbitezza da un professore di Estetica, lamentava l’assurdità di un modo di insegnare in una istituzione pubblica al modo di “questo Celati”, che “assume un atteggiamento dimesso e non centrale nella gestione del discorso plurale, facendo debordare le voci dell’Altro oltre il limite di una deriva frequentabile. Perché non dobbiamo mai dimenticare che anche la deriva ha un limite: e guai a oltrepassarlo!”. Quali guai, scusi, ho chiesto poi in un messaggio di replica. E lui ha precisato, in maniera piuttosto brusca: “Guai consistenti per le istituzioni, che così vanno a gambe all’aria – ma non capisce?”.

Un altro professore universitario, mi sono accorto che riprendeva il tema delle istituzioni in pericolo e minacciate da Alice. Era un professore del Sud Italia, di una università privata molto piccola ma legalmente riconosciuta e operante sul suolo patrio. Questo professore ripeteva che Alice era un pericolo per le istituzioni democratiche perché “quasi mette da parte la funzione docente” a vantaggio degli studenti, esaltando un’idea di studio molto poco seria e molto poco legata all’idea di sacrificio e impegno rigoroso. (Come esempio citava Benedetto Croce e la sua “resistenza al lavoro da tavolino” per almeno sedici ore al giorno)

Un docente titolare della cattedra di Pedagogia Sperimentale presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di ***, ha scritto una mail dai toni preoccupati, dichiarandosi “angustiato” dalle prospettive di Alice disambientata, perché sono “prospettive antiscientifiche e antiformative cui non è possibile dare spazio oggi nell’epoca del brainstorming e della ricercazione, uniche pratiche tollerabili per un adeguato  progresso delle intenzioni pedagogiche”. Quelle di Alice disambientata sono chiaramente invenzioni di

Gianni Celati , non nuovo a questi stratagemmi per mettere in crisi il nostro sapere. Io non credo possa esistere, né che sia mai esistito un luogo, in un’Università italiana per giunta, in cui si siano dette o si dicano certe cose in quel modo così… come dire… così vivo”.

Tra gli altri, mi ha telefonato anche un noto critico letterario, che voleva anche lui commentare a tutti i costi Alice disambientata. Usava però parole troppo complicate, prese forse anche da lingue straniere, e frasi lunghissime e contorte, per cui alla fine non ho capito quasi niente di quel che diceva. Faceva osservazioni curiose e perfino interessanti sul libro ma le infarciva con continue citazioni e nomi di altri critici, che mi confondevano e stordivano, anche se si capiva che il libro gli era piaciuto molto. Ricordo soltanto una frase della sua telefonata, che suonava all’incirca così: “questo libro sconquassa con cur[parola incomprensibile, forse inglese] e giusta squa[parola incomprensibile] tutto il panorama delle lettere contemporanee, oggetto finalmente di una caz[parola incomprensibile, forse oscena] colossale”.

Un altro critico letterario, invece, si è detto arrabbiato perché, a suo avviso, Alice disambientata non parla di niente. “Com’è possibile – ha detto – che in un libro non ci sia un argomento? Per quanto mi sforzi, non riesco a capire come si potrebbe scrivere una recensione a un libro del genere, che è di nessun genere cioè”.

Ci ha scritto perfino un politico di rango, uno di sinistra, uno di quelli che la politica la capiscono davvero e che son capaci di grandi progetti e affilate strategie per il bene comune. Mi astengo dal farne il nome perché provocherei un putiferio, però posso riferire l’affermazione della sua mail che più mi ha colpito, lapidaria: “Il Paese non ha bisogno di certa letteratura”. Si riferiva naturalmente ad Alice disambientata, così argomentando: “Nella fase difficile in cui si trova l’Italia, l’ultima cosa da fare è  illudersi di dare sollievo agli uomini con scambi di parole e di discorsi, o addirittura con figure e immagini, allontanare l’umanità dall’idea della moderazione e del dialogo come uniche vie per l’allargamento dello spazio democratico riformista e della cooperazione internazionale all’interno della NATO, senza con questo rigettare le istanze del movimento pacifista, ma incanalandole in una consapevole politica di pace, essendo l’Italia un Paese impegnato in missioni pacifiche, sebbene con molti soldati e carri armati, ma questi soldati e carri armati non sono di offesa, bensì di difesa, all’interno di una prospettiva europeista di responsabilità…”. La lettera va avanti così, salendo sempre più su di giri, ancora per una ventina di righe, che ometto sia per motivi di spazio che perché sono evidentemente fuori tema.

Tuttavia, le mail più critiche sono giunte da alcuni scrittori affermati e famosi, che dicevano tutti più o meno che “non capivano” [sic] dove Alice volesse andare a parare con il suo farnetico nel mondo attuale contemporaneo, “i cui problemi offrono infinite sollecitazioni alla sapienza artigianale depositata nella scrittura”, dalla quale “l’autore che sa il fatto suo…” (ha scritto proprio così, con i maliziosi puntini sospensivi, uno scrittore di Milano) può estrarre con facilità motivi di ispirazione, inventando nuove e sempre stupefacenti storie per i lettori, “che diventano, d’altro canto, sempre più esigenti e critici, attenti alle minime variazioni dello stile e alla bontà delle proposte editoriali proprio in quanto informatissimi e aggiornati dai moderni mezzi di comunicazione di massa, come ad esempio internet”.
       Alice disambientata, invece, “è un libro anacronistico, sbagliato già ai suoi tempi infelici, che infatti non hanno prodotto grandi autori, e ancora più sbagliato oggi che il progresso dell’arte della scrittura e della creatività in generale ha raggiunto vette memorabili, come mostrano le esperienze letterarie di Erri De Luca, Antonio Tabucchi e Domenico Starnone”, ci ha scritto un giovanissimo (23 anni) scrittore di Pollena Trocchia, il cui ultimo romanzo, Tranquillamente agitati, è inserito, secondo alcune indiscrezioni, nella cinquina del prossimo Premio Strega.

Uno strano personaggio che ci ha scritto, non ho capito che cosa volesse con precisione né chi fosse. Si è dichiarato “esperto di comunicazione” e ha molto cianciato, in una lunghissima mail, di input e feedback e cose del genere, sostenendo in pratica che Alice disambientata non funziona per niente perché è un libro a “circolazione comunicazionale chiusa”, senza informazioni utili per il lettore, che finisce per sentirsi escluso dal circuito del sapere. In un mondo in cui l’imperativo è comunicare, cosa possiamo farcene di tutte queste elucubrazioni che non trasmettono alcun messaggio e non portano quindi da nessuna parte?”. Si è firmato “M., Il Guru della Comunicazione”, e in un P.S. ha scritto, aumentando per me il mistero sulla sua identità: “Sono innamorato follemente di una donna che neanche mi vede. Perché perché perché?”.

Voglio riportare, in chiusura di questa parziale rassegna, soltanto qualche stralcio dalla lettera di uno scrittore-prete docente di Scrittura Creativa, che affronta le questioni di Alice da un punto di vista leggermente diverso da quelli fin qui presentati, ma che comunque torna utile per un panorama completo dell’effervescenza della cultura italiana in questo preciso momento storico. “Nel libro Alice disambientata, – scrive Don C. R., – decadente e privo di qualsivoglia sentimento di religiosità, si intravede un subdolo attacco alla famiglia tradizionale. È inqualificabile la presunzione e la pericolosità di chi pensa, ancora oggi, che la famiglia sia un carcere o un teatro della crudeltà, discettando, come fanno queste ‘alici’ [sic], di ‘domesticazione faticosa’ e altre iperboli di questo tipo. Noi cattolici abbiamo accettato di discutere perfino delle coppie di fatto e dei matrimoni gay, ma non consentiremo a nessuno di mettere in dubbio l’eticità universale della famiglia”.

Ci ha scritto, a onor di cronaca, anche un altro scrittore-prete, docente pure lui di Scrittura Creativa, “ma di tendenza progressista”, ha tenuto a precisare. Ha sostenuto una vera e propria tesi critico-mistica nella sua mail, spiegando così: “l’acqua e il fuoco che fanno capolino nelle ultime pagine di Alice disambientata sono il chiaro segno di un pentimento e di una conseguente conversione che tutti, Celati in primis, stanno per abbracciare. La lontananza da Dio non dura mai troppo a lungo”. Tra le altre cose, questo scrittore-prete progressista mi ha detto che vorrebbe organizzare un convegno internazionale “sui segni che vedono gli scrittori nel loro percorso verso la salvezza”.

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Sinceramente, tutti questi interventi mi hanno molto disorientato. Non mi sarei mai aspettato che un libro come Alice disambientata venisse letto con tanta attenzione ed eccitazione nel mondo culturale italiano. Ora non è difficile immaginare che una tale bagarre di posizioni produca ulteriori reazioni e polemiche nei prossimi mesi. Alla nostra redazione continuano ad arrivare copiose mail da parte di intellettuali, storici e metafisici. Tra le altre ne è giunta una, proprio qualche ora fa, dalla redazione del TG1 a firma Bruno Vespa, il quale mi informa che sta cercando Celati per invitarlo a una puntata straordinaria del suo talk show Porta a porta incentrato tutto sulla figura di Alice. “Alla mia trasmissione – scrive Vespa – vorrei invitare Cossiga, Bifo, Freak Antoni, Renato Zangheri, Roberto Papetti, Belpoliti , Palandri, Cortellessa, Andrea Pazienza (ma è morto?), e anche lei, De Vivo, deve intervenire, mi raccomando. Vorrei dimostrare che oggi Alice è qui, e che non ha più bisogno di disambientarsi perché nel mio salotto televisivo regna finalmente il libero scambio di libere opinioni, che rende democraticamente tutti sazi e soddisfatti. Non è d’accordo? Ho un solo problema, – spiega Vespa, – Celati non riesco a rintracciarlo in nessuna maniera. Ho messo in giro i migliori segugi, giornalisti di classe, ho allertato perfino alcuni miei amici americani che in queste cose ci sanno fare: ma di Celati nessuna traccia, non sta da nessuna parte, pare che si sia volatilizzato. Com’è possibile che al mondo d’oggi uno si volatilizzi così in un’occasione tanto importante? Lei me lo saprebbe spiegare, De Vivo?”.

No, io non saprei spiegare niente, però, se non ricordo male, nel libro di Alice c’è scritto: “Sparire di continuo come Arsenio Lupin, volare nell’aria che il potere ha velato”.