La “Repubblica dei Dotti” di Arno Schmidt e la perturbante storia tedesca

Un saggio sul misterioso e sempre più attuale Arno Schmidt tratto dal volume Perturbamento (Joker 2016), a cura di Marco Ercolani.

  1. Premessa

 

Quando si affronta la lettura di una qualsiasi opera di Arno Schmidt (Amburgo, 18 gennaio 1914 – Celle, 3 giugno 1979) credo sia opportuno essere consapevoli del fatto che proprio turbare e perturbare il lettore è uno degli obiettivi programmatici dello scrittore – potrei anche aggiungere espressioni quali disturbare, provocare, inquietare – ma fondamentale è comprendere che tutto questo, nella concezione che Schmidt ha della scrittura, non accade in maniera gratuita, non ha niente dell’ostentazione o di un eventuale narcisismo, non cede a tentazioni modaiole, bensì possiede motivazioni precise e stringenti che mi provo a spiegare.

Il concetto e la condizione psicologica del perturbamento possono essere applicati e aver luogo, mi si passi l’espressione, a “senso doppio di marcia”: perturbante è, secondo Schmidt, la storia tedesca e uno dei suoi portati più significativi, la lingua tedesca, ché entrambe incubano lungo gli ultimi due secoli e poi danno vita al fatto storico, politico, sociale e morale del Nazismo con tutto quello che esso ha significato – di conseguenza, quale coerente reazione e presa di posizione rispetto a tale realtà, la scrittura e il fare letteratura, coscienti di questa situazione, debbono essere perturbanti nei confronti di chi legge. Quale esempio concreto ho scelto di occuparmi brevemente di un libro pubblicato nel 1957, “Die Gelehrtenrepublik” (“La Repubblica dei Dotti”), uscito per i tipi di Fischer Verlag e riproposto nel 2006 dall’editore Suhrkamp.

L’idea di una “Repubblica dei dotti” sarebbe, in sé, positiva in quanto presuppone una comunità di spiriti capaci di applicare nelle arti e nelle scienze le migliori qualità umane e intenti a cercare il bene e il progresso per il genere umano. Nella sua “Gelehrtenrepublik” Schmidt rovescia invece  tale utopia in distopia, affrontando in maniera radicale e pressoché definitiva la problematica dell’identità tedesca già da lui tematizzata nei libri precedenti ed egli lo fa proprio a livello del linguaggio impiegato, della costruzione narrativa e delle vicende narrate.

 

  1. Fare i conti con il passato

 

Come per molti autori tedeschi che pubblicano le proprie opere subito dopo la Seconda Guerra Mondiale, anche per Arno Schmidt si pone la questione di come rinnovare, se non addirittura”purificare” la lingua tedesca, contaminata e come distorta dall’uso che ne ha fatto il Nazismo: è come se le cose dovessero essere nominate di nuovo, la lingua tedesca rasciugata e resa capace di dire, in modo diretto, e senza retoriche ideologiche la realtà, dal momento che è proprio il mezzo linguistico a permettere agli scrittori di confrontarsi con la storia a loro contemporanea e con quella appena trascorsa. Ma Arno Schmidt va molto oltre tutti gli altri scrittori tedesco-occidentali che scrivono dopo il ’45 (forse il solo Celan è in grado di proporre un modo di scrittura altrettanto nuovo, radicalmente altro rispetto alla tradizione e mai compiacente con le abitudini di scrittura e di lettura più inveterate); Schmidt rifiuta totalmente modi, lessico e stilemi della narrativa diciamo così tradizionale, li considera sorpassati e incapaci di avvicinarsi alla realtà, oltre che immorali proprio considerando quello che è successo; inoltre non opera alcuna rimozione nei confronti del passato nazionalsocialista (campi di sterminio compresi) e dà vita a una critica sistematica e impietosa nei confronti dell’identità tedesca così come quest’ultima è andata formandosi negli ultimi due secoli. Il suo è un circostanziato atto d’accusa nei confronti della storia della Germania e dell’Occidente (una delle sue affermazioni più note e provocatorie è che l’Inferno dantesco sia la rappresentazione più completa e circostanziata del campo di concentramento nazista, intendendo accusare la nostra civiltà di recare da secoli dentro di sé e di coltivare una mentalità concentrazionaria, tesa al controllo autoritario e violento sugli individui e sulle masse).

Il perturbamento che lo scrittore esperisce può rassomigliare all’esperienza del protagonista del romanzo di Bernhard: le deformità, le follie, i vizi, le derive morali cui giunge la Germania nazista perturbano Schmidt e provocano in lui la sistematica ricerca di un modo altro, antipodico e ininterrottamente critico, di narrare, mentre la sua opera provoca, in tal modo, perturbamento nel lettore, costringendolo a ripensarsi in quanto Tedesco ed Europeo e in quanto erede di una storia e cultura violente e liberticide: la fine della guerra e del Nazismo non significano affatto, per lo scrittore di Amburgo, che sia iniziata un’epoca veramente nuova in cui la Germania possa presentarsi innanzi a sé stessa e alla storia di nuovo innocente e riabilitata.

Perturbante è, inoltre, la personalità stessa di Schmidt e la sua scelta di vita: quando è ancora un perfetto sconosciuto nel mondo letterario e ha ancora pubblicato pochissimo decide di dedicarsi in toto alla scrittura, isolandosi con la moglie in una casetta di legno in aperta campagna nella Brughiera di Luneburgo (a Bargfeld), vivendo nei primi anni una stentata vita tutta dedita alla stesura dei suoi libri, scrivendo preferibilmente di notte, nel silenzio più assoluto e dando alle stampe libri scritti in uno stile del tutto nuovo e che richiede un vero e proprio esercizio di “apprendimento” e di “adeguamento” da parte del lettore: assenza di una narrazione lineare, frasi spezzate, amore per le digressioni etimologiche più ardue e/o azzardate, salti logici, modulazione del testo attraverso varianti tipografiche, mentre le vicende narrate appartengono a una Germania che, anche negli anni della ricostruzione e poi del “miracolo” economico, non si allontana da una sotterranea mentalità nazista – è questa la grande accusa di Schmidt, è questo ciò che egli vede attraversando con la propria scrittura il corpo vivo del suo Paese il quale si imbelletta, agli occhi del mondo, offrendo di sé l’immagine di una nazione moderna e dinamica.

 

  1. I fatti narrati

 

Veniamo ora a un breve sunto del libro in modo che noi si possa riflettere su tali temi in maniera più circostanziata e concreta, benché, è bene si sappia, un riassunto permanga lontanissimo dal rendere la natura del racconto.

Nell’anno 2008 l’Europa non esiste più a causa di una guerra atomica che l’ha annientata e il reporter statunitense Charles Henry Winer (che viene presentato come il pronipote di Schmidt stesso) scrive due reportage di viaggio; ma le sue esperienze e i fatti di cui scrive sono spesso così scabrosi o pericolosi per la stabilità dell’autorità costituita, che, in seguito a una precisa disposizione della legge internazionale, non gli è consentito di pubblicare i suoi servizi se non in una lingua morta, e più precisamente in tedesco – a tale traduzione si è applicato un dotto un po’ pedante, Chr. M. Stadion (anagramma del nome Arno Schmidt), un “Restdeutsche” (un sopravvissuto di nazionalità tedesca) che non sempre sembra comprendere bene quello che Winer racconta e che cerca di spiegare taluni passaggi nelle note a pie’ di pagina.

Il primo reportage dà conto della visita da parte di Winer nella cosiddetta “Fascia degli ominidi” negli USA occidentali, zona separata dal resto degli States da lunghissime mura e nella quale abitano diversi esseri (centauri, enormi ragni-assassini chiamati “never-nevers”, uomini-farfalla detti “maschere”) resi mutanti a causa delle radiazioni nucleari – l’episodio che certamente più colpisce e impressiona qualunque lettore è il rapporto sessuale che il giornalista intrattiene con una giovane “Centaura”, mentre i sorveglianti della Fascia spesso abusano degli altri mutanti.

Il secondo reportage descrive un’isola mobile che si sposta nella zona temperata del Pacifico e che ospita la “Repubblica dei dotti” (IRAS – International Republic for Artists and Scientists) concepita come rifugio e salvezza per i migliori intellettuali, scienziati e artisti del mondo in caso di una nuova guerra mondiale e sicuramente nucleare. Si tratta di un’isola d’acciaio galleggiante e semovente (“Propellerinsel” nel testo, cioè “isola a propulsione”; l’edizione del libro ne contiene anche una pianta) dove gli oltre 800 prescelti vivono nelle migliori condizioni possibili, assistiti da numeroso personale; ma essi sono sottoposti a una precisa regola: dovranno lasciare l’IRAS se dopo due anni non avranno prodotto nulla di significativo. La “Repubblica dei dotti” è divisa in un settore occidentale (prevalentemente nordamericano) e in uno orientale (sovietico); tra i due settori ce n’è un terzo, neutrale, destinato anche alle funzioni amministrative, i cui funzionari provengono dal “Terzo Mondo”. Decisivo è sapere che in entrambi i settori (l’orientale e l’occidentale) gli scienziati conducono in segreto esperimenti sugli esseri umani, per cui anche qui Winer entra in contatto con ominidi mutanti e assiste a esperimenti di trapianto del cervello umano in corpi animali.

 

  1. Solo l’anti-utopia può narrare il mondo postbellico?

 

Arno Schmidt si è ispirato a un’opera di Friedrich Gottlieb Klopstock del  1774: Die deutsche Gelehrtenrepublik, piegando l’idea iniziale ai propri fini satirici e polemici, rappresentando il mondo diviso nei blocchi contrapposti degli anni Cinquanta del Novecento e minacciato dall’ecatombe nucleare, mentre l’isola navigante trae origine da un’invenzione narrativa di Jules Verne (il cui ritratto è visibile in uno degli edifici dell’isola galleggiante).

Ma, per dir così, questi risultano essere aspetti esteriori di un libro che vuole avere effetti deflagranti sulle abitudini di lettura delle persone; lo stesso stile, che somiglia a una serie di appunti “in presa diretta” degli accadimenti, l’ortografia, spesso di carattere fonetico, l’alternarsi dei caratteri in grassetto, in corsivo o in stampatello minuscolo, i vocaboli composti inventati da Arno Schmidt provocano quell’effetto che qualcuno ha definito “urtante”, proprio perché costringe chi legge ad abbandonare le proprie inveterate abitudini di lettura e a dover seguire i ritmi imposti dall’autore.

E per molti versi, infatti, l’opera e lo stile narrativo di Arno Schmidt rimangono unici nel panorama letterario tedesco, non a caso lo scrittore non ha trovato eredi o imitatori, proprio perché la sua poetica è così radicale e irripetibile. Perturbante, l’ho già scritto, è la stessa figura di Schmidt, persona che ha assunto senza alcuna remora posizioni aspramente critiche nei confronti di autori universalmente acclamati, di gruppi (come il “Gruppo ’47” di cui facevano parte anche Böll, Bachmann, Grass!) da lui accusati di non affrontare in modo adulto la questione dell’identità e della storia tedesca.

Non a caso Arno Schmidt immagina che il testo originariamente inglese del romanzo venga tradotto, per una precisa disposizione di legge, in una lingua morta, cioè in tedesco – intendendo dire che per lui quella tedesca è una lingua morta dal momento che è espressione e veicolo comunicativo di un popolo che ha incubato in sé e poi dato vita al Nazismo e che ancora dopo la guerra esercita il conformismo e l’autoritarismo. Senza dimenticare la lezione di Benjamin e di Freud (i quali criticavano l’immaturità del popolo tedesco davanti alle scelte della storia) Schmidt si chiede come narrare nell’epoca postfascista senza cadere nel paternalismo e nell’ovvio. Richiamerei l’attenzione del lettore anche sul fatto che Schmidt immagina l’intera Europa completamente annientata dalla guerra atomica e che sull’isola “a propulsione” i dotti, gli scienziati, i letterati sembrano vivere in una dorata prigione, abbandonati a una soporifera pigrizia quelli della parte occidentale e ossessionati dal dover produrre quelli del settore orientale, tutti sottoposti a una sorveglianza instancabile.

Uno dei tratti salienti sia della prima che della seconda parte del libro è la descrizione minuziosa e ricorrente degli esami clinici cui viene sottoposto Winer per primo quando s’accinge a entrare nella “Fascia degli ominidi” e successivamente nella “Repubblica”, per cui gli strumenti medici letteralmente entrano nelle parti più riposte del suo corpo, ne scandagliano l’intimità più segreta, ne rivelano l’inconfessabile. Winer non ha altro da contrapporre se non una taglientissima ironia (che, non a caso, spesso indispone i suoi interlocutori-controllori) e la sua mente, sempre estremamente vigile e cosciente, registra fatti, imposizioni, comportamenti, dialoghi che svelano, tutti, un mondo assoggettato a maniacale controllo e pronto, malgrado le conseguenze di tre guerre mondiali, a una quarta. E anche l’istinto sessuale, esso pure presente e determinante nell’intera opera di Schmidt, caratterizzando un personaggio come Winer che è assai vitale, sta a significare la contrapposizione tra un mondo dominato dalla tecnologia (e dai suoi fallimenti) e un’attrazione per la naturalità che però è stata ridotta o a zone “off limits” o ai momenti del coito con “partner” occasionali. Winer è, così, colui che non si conforma, colui che vede la perversione e la violenza, ne racconta, ma viene reso innocuo proprio perché i suoi reportage vengono tradotti in una lingua che nessuno più comprende. Ma, a ben riflettere, in realtà Arno Schmidt scrive la sua “Repubblica dei dotti” in una lingua che milioni di persone parlavano e ancora parlano e comprendono, dando luogo al paradosso di giudicare “morta” la propria lingua materna per i motivi che già conosciamo, ma, proprio attraverso di essa, di esprimere tutto il suo odio e il suo disprezzo per ciò che, nei Tedeschi, era e continua a essere razzismo, violenza, conformistica idiozia. In un passaggio del romanzo Winer si spinge addirittura ad affermare che è “una benedizione” il fatto che la catastrofe nucleare abbia annientato i Tedeschi e i Giapponesi.

E il tema sessuale, l’episodio del coito tra Winer e la giovane centaura Thalja, ma anche gli abusi dei guardiani sui mutanti, il sospetto che le “maschere” siano usate come oggetti sessuali dai soldati (ogni soldato ne ha una “in dotazione”), tutto questo mette in scena il tema del rapporto tra l’umanità e l’animalità, dell’attrazione-repulsione che l’animalità esercita sull’essere umano, l’estrema labilità del confine tra le due nature; perturbante è, allora, un mondo come quello descritto nel romanzo che torna ad avere i contorni del Lager, dove centauri e never-nevers si combattono con inaudita ferocia, dando vita a massacri rituali dopo violentissme cacce reciproche; perturbante è la luna che diffonde una luce rossastra, in quanto divenuta discarica in cui gli USA e l’URSS sversano i propri rifiuti nucleari; perturbante è l’incontro e il rapporto sessuale di Winer con la sua guida e interprete nel settore sovietico dell’isola autopropellente, giovane e affascinante donna nel cui corpo Winer non sa, però, se non possa essere stato trapiantato il cervello di un uomo o di un animale. E perturbante è la realtà di un mondo ancora lacerato in due parti contrapposte pronte, con irrazionale fanatismo, a scatenare un’altra guerra atomica. L’apparente paradosso è, infatti, il greve clima di sospetti e da guerra permanente che regna nella Repubblica dove lo spirito umano, che dovrebbe elevarsi ad altezze mai prima raggiunte, è in realtà asservito a logiche di potere economico-politico. È in questo senso che un romanzo che a una lettura superficiale potrebbe apparire datato (guerra fredda, blocchi contrapposti, minaccia nucleare) conserva una triste attualità sia in termini storici (il mondo ancora diviso, seppure secondo nuove geografie politiche e strategiche) che letterari e intendo dire che un’opera come la presente, costruita non secondo uno sviluppo lineare della narrazione, ma in cui la narrazione viene continuamente franta risultando disturbante rispetto all’abituale porsi del lettore quale recipiente di un racconto, un’opera come questa, dicevo, continua a risultare valida proposta rispetto alla domanda su come si debba narrare il mondo contemporaneo. Probabilmente Arno Schmidt è l’unico autore di lingua tedesca che raccoglie e porta alle sue logiche conseguenze il geniale e davvero innovativo metodo narrativo che Alfred Döblin aveva così efficacemente impiegato in Berlin Alexanderplatz, là dove poche narrazioni a lui successive (Rayuela di Cortázar, La vie, mode d’emploi di Perec, La cognizione del dolore di Gadda, Horcynus Orca di D’Arrigo) e a lui precedenti (Ulysses e Finnegan’s wake di Joyce innanzitutto) si pongono con altrettanta radicalità l’obiettivo di cambiare il modus narrandi nel mondo delle due guerre mondiali e dei campi di sterminio.

 

  1. L’incipit del romanzo.

 

Alla scheda comparativa (età, altezza, stato di salute, reddito annuo, temperamento, ecc.) di Winer e di Stadion segue la premessa del traduttore (Stadion) e quindi inizia il romanzo vero e proprio di cui fornisco, per dare un’idea concreta di quanto da me scritto in precedenza, la mia traduzione della prima pagina:

 

  1. 6. 2008: Su trampoli di luce e da ragno il corpo del sole in stretti legacci sul paesaggio.

Tardo pomeriggio in auto (1): ancora una volta provare a sentire – ? – Sì: taccuino, binocolo, occhiali verdi; soprattutto i documenti. E la strada s’alzava e abbassava: sole e cactus mescolati. Accanto fumava il capitano (e cantava; sempre in “uun”: moon e noon e june e racoon – esistono già gruppi umani che apprendono un lessico intonato solo su certe vocali?)

“Brutta strada!” – Ma egli alzò solo una spalla : conduce proprio al muro. / Alle 16 avevamo lasciato Prescott, Arizona e stavamo seduti nella calura come dentro l’ambra; (esseri umani in blocchi di resina sintetica: roba del genere esiste da gran tempo. Per tramandare ai posteri mode e cose simili. La numero 238 del museo di Detroit era stata allora, quando ero ragazzo, il mio grande amore (benché oggi appaia ridicola e fuori moda; allora avevo cura di dedcarle ogni mia erezione puberale. Non più vista da undici anni: rotolata via dai pensieri.) ).

Le strisce polverose all’orizzonte?: “Sì, è il muro”. (E rallentammo; il motore ancora più silenzioso. Ci andammo proprio incontro).

Poi piegare verso nord; sempre lungo il muro: “No-no”: alto 8 iarde!” / E non è una minuzia se ci si riflette: due volte 4.000 miglia di muro in cemento per sbarrare da entrambi i lati il nostro corridoio americano! (Sono curioso di sapere com’è dentro la fascia: dicono di aver già visto squadroni di centauri in Nevada! Fatte salve alcune crude dicerie. Ero comunque il primo che da 11 anni avesse ottenuto il permesso di attraversamento!)

 

(1) (nota di Stadion a pie’ di pagina) : “a rumore ridotto, con trazione atomica; ho scelto il termine più prossimo al vocabolo inglese tra quelli tedeschi scomparsi”.