Ritorti e Sarchioni

di in: Bazar

Ritorti e Sarchioni sono famosi, nel rione dove vivo, quasi una leggenda. Il loro è un copione che possiede variazioni, improvvisazioni diciamo, dovute al tempo e alle stagioni, ma in fondo è sempre uguale. Spesso, non sempre, finisce che si accapigliano, e allora qualcuno li va a dividere. Anche a me è successo di alzarmi dalla sedia del bar per raggiungerli e mettermi in mezzo, però in genere ci si va lentamente, perché il giorno appresso l’incontro si ripete come se niente fosse successo.

Li vedo come puntini all’orizzonte, poco fa non c’erano, ora invece li vedo arrivare. Hanno appena svoltato l’angolo in fondo al viale alberato e di sicuro si dirigono in questa direzione, ma piano, con frequenti pause in cui si fermano a discutere. La lentezza con la quale procedono dipende dalla solita agguerrita discussione, con contorno di accuse e recriminazioni, scuse e giustificazioni. Se proviamo a immaginarne una non ci discosteremo troppo dal vero.

Dal momento del loro incontro giornaliero, che non ha bisogno d’appuntamento, sembra che i due seguano un rito rionale. Per esempio si danno del lei, pur conoscendosi fin da piccoli. Dopo i saluti, Ritorti, già teso e imbronciato, si sarà sentito attribuire da Sarchioni una bella cera e l’avrà presa a male. Oppure, appena sarcastico, sarà stato lui a far notare l’aspetto giulivo dell’altro. In ogni caso, possiamo giurarlo, Ritorti avrà per parte sua sbandierato il pallore, le occhiaie e la lingua impastata: ‘C’è chi dice, ho mal di fegato, ma non so perché. Io invece lo so il perché, ce l’ho ben chiaro, è perché mi rode, e ne ho tutte le ragioni!’. In genere è da lì, dall’aspetto che i due si attribuiscono, che nasce la baraonda.

Ritorti è il più inviperito, quello che il destino ha reso vittima, mentre Sarchioni è un vincitore che sente il peso della vittoria, e ne contesta l’evidenza con un senso di colpa e un amor proprio che non gli danno pace. Ritorti invece prima di tutto è un invidioso, e non può fare a meno di dimostrarlo ogni mattina.

E del resto, come lo si può definire se non scioperato? È un tizio molto grasso, il sigaro sempre acceso, la forfora sul cappotto, la barba che va ormai sul bianco e sembra sfinire il volto pallido e sofferente. Una madre troppo protettiva gli ha lasciato in eredità una cronica inabilità al lavoro, e infatti lui non ha mai lavorato in vita sua, almeno nella realtà. Però era famoso fin da giovane per sparire dalla circolazione (si chiudeva a casa con le serrande abbassate) e riapparire dopo qualche mese con belli e pronti racconti favolosi di viaggi, rigorosamente di lavoro. E una volta era stato in Afganistan al seguito di una spedizione mineraria, e l’altra in Perù come tecnico per una produzione cinematografica, l’altra ancora in Siberia per un censimento delle tigri bianche. Siccome la parte se la preparava proprio bene e la sapeva raccontare, e i lavori erano di quelli appassionanti, per noi ragazzi era un piacere starlo ad ascoltare.

Mi ricordo, ma era già una delle ultime volte, che raccontava di esser stato per tre mesi impiegato come fattorino in un enorme negozio di chiavi, in Finlandia, dove molte donne gli giravano intorno, cosi stava costantemente arrapato. Un giorno che c’era uno sciopero dei fattorini, lui non aveva partecipato, il grande negozio era quasi vuoto, e a un certo punto era andato in gabinetto. All’improvviso era entrata (o era comparsa) una cliente vestita o trasformata (non s’è mai capito) in clown scaramacai che voleva costringerlo a montarla da sopra, ma lui quel giorno non voleva faticare e c’era stata anche un po’ di discussione, così era stata lei a montare sopra Ritorti, naturalmente spargendo in seguito la voce del fattorino italiano arrapato, tanto che nei giorni a seguire ci fu un via vai di signore e signorine finlandesi, tutte vestite o trasformate in clown scaramacai.

Insomma ad ascoltarlo c’era da stare allegri.

Gli anni però passavano e la crisi dell’occupazione cresceva, così i suoi viaggi sono diventati sempre più brevi, fino a ridursi all’ambito nazionale e regionale. A un certo punto ha cominciato ad avere dei disturbi, per i quali è stato in clinica un paio di volte ma senza risultato. Fior di professoroni se lo sono passato come un raro caso psichiatrico e alla fine, visto che per il resto si presentava normale, lo hanno rimandato al rione.

Il fatto è, che da un certo punto in poi Ritorti aveva cominciato a sognare i suoi impieghi di notte, e contemporaneamente, purtroppo, questi s’erano trasformati in lavori vili e pesanti. Erano sempre viaggi planetari come da giovane e da sveglio, ma adesso, appena poggiata la testa sul cuscino si ritrovava impiegato come manovale, smazzatore, fonditore a 3000 gradi, bracciante agricolo, minatore a cinquecento metri di profondità, mozzo su pescherecci d’altura, addirittuta schiavo negro nei campi di cotone o aratore sulla polvere della Luna.

Così lui irrimediabilmente passa le notti a farsi un mazzo tanto, come usa dire, senza pause né interruzioni, e per forza che la mattina al risveglio è stanco morto! Da allora non ha avuto via d’uscita, né modo di licenziarsi. Prima era un tipo pacioso a cui piaceva dormire, ora tutte le notti fa quella fatica disumana per sette , otto, nove ore, e quando si sveglia è distrutto. Dopo l’abbandono da parte dei professoroni alla sua strana malattia, aveva tentato in ogni modo di avere sogni differenti, cambiando casa, materasso, alimentazione, ma non c’è stato niente da fare, e alla fine s’è rassegnato a passare almeno la domenica in riposo prendendo degli eccitanti che lo tengono sveglio. Ma la fatica, i sacrifici, le pastiglie, e quel sentirsi definire scioperato mentre lavora come uno schiavo in condizioni ambientali difficilissime e straordinarie, senza ferie né stipendio oltretutto, gli hanno causato il mal di fegato e degli sbocchi di bile incontrollabili.

C’è da capire come mai si presenti ogni mattina all’appuntamento abbattuto e infuriato, ma è soprattutto l’invidia a rodergli, perché invece l’amico d’infanzia ha avuto un destino completamente diverso. Certo nessuno potrebbe legittimamente definire Sarchioni uno scioperato, sebbene fin da giovane fosse così pigro che non gli piaceva l’uva per i semi. Ma una madre un po’ più scaltra di quella di Ritorti lo aveva fatto assumere a forza in un Ministero, sebbene lui recalcitrasse e tentasse di svicolare. Si sentiva l’animo da paroliere Sarchioni, e ne aveva anche il fisico segaligno e gli occhiali a fondo di bottiglia, sognava la vita come avventura oltre i confini conosciuti e sconosciuti, e quell’imposizione materna l’aveva presa molto male, aveva abbandonato la famiglia e s’era chiuso in un mutismo assoluto durato per dei mesi. Un atteggiamento sdegnoso che aveva portato pari pari sul luogo di lavoro, lavoro che a tutt’oggi, vent’anni dopo, Sarchioni non sa nemmeno bene in che consista, anche perché nel frattempo è passato di grado più volte, e ultimamente qualcuno lo ha considerato la persona più adatta ad occuparsi delle assenze dei dipendenti per cause di forza maggiore, cause delle quali è stato giudicato il più esperto a livello nazionale, e per l’importante mansione ha ottenuto un ulteriore aumento di stipendio.

Perché se per i primi tempi Sarchioni era costretto ogni mattina a raggiungere il palazzone del Ministero, scendere le scale fino al sottoscala, allungarsi sul sacco a pelo a ascoltare i parolieri preferiti o riprendersi delle notti brave con una bella dormita, in seguito era diventato un vero esperto del cavillo e della scappatoia, e aveva scoperto che si può benissimo essere impiegati in un Ministero per una vita intera, lavorando, diciamo, due settimane ogni cinquecento (ed è grasso che cola), e si ha comunque diritto a un minimo garantito. Per alcuni anni, visto che s’era sposato con una che lavorava all’estero, in base a una legge chiamata del ravvicinamento familiare era stato in paesi esotici a guardarsi intorno, spaccare noci di cocco e parolare, sempre regolarmente pagato dall’amministrazione statale, perfino con 14 mensilità, pensione e cassa malattia.

Poi in uno di questi paesi è scoppiata una guerra, e lui è stato rimpatriato (con un aereo dell’aeronautica militare, quindi senza pagare il biglietto), ma al rione però, al Ministero non ci mette piede se non una volta ogni tanto.

Questa la situazione a tutt’oggi, questo l’oggetto del contendere fra lo stracco Ritorti e il freschissimo Sarchioni, così va la vita. Il fortunato, per l’antica amicizia che li lega, ha tentato di alleviare con sensi di colpa o canzoni il mondo del lavoro immaginario dell’amico, riuscendo in ambedue i casi a mandarlo in bestia ancora peggio. Ha provato perfino offrendogli delle donazioni che Ritorti ha rifiutato sdegnato, lui che vive con una pensione d’invalidità, piccola almeno quanto è inspiegabile la sua malattia. Quest’ultimo certe volte va proprio fuori di sé fino al punto di delirare, e Sarchioni cerca di rassicurarlo, peggiorando la situazione qualsiasi cosa dica. Sebbene siano ancora lontani possiamo facilmente riferire un tipico brano. Ritorti: ‘Ora poi che altro mi resta, ora che sono finiti anche i fichi settembrini che mi piacciono tanto!’ Sarchioni: ‘Però ci sono i cachì che sono buoni altrettanto. Ricordo che ne andava pazzo.’ Ritorti: ‘Pazzo io? Ma come si permette? E poi, per quelle palle di melma zuccherata che ti si sciolgono fra le mani e ti macchiano la camicia indelebilmente?!’

C’è da dire che il fortunato si prende sì cura dello sfortunato Ritorti, ma fino a un certo punto. Quando quest’ultimo gli urla che lui è un ladro, un assenteista, un saprofita, una mignatta, un affamatore della nazione, un infame, allora l’altro abbozza, va tutto bene. Ma se lo offende sostenendo che le sue canzoni fanno schifo, Sarchioni si arrabbia come un mulo. Forse è proprio di una di queste ingiurie, forse è per una canzone che stanno litigando in questo momento. Anche se sono lontani possiamo azzardarlo senza paura di inventare troppo. Ecco che si accapigliano di nuovo. Certo non dovrebbe far piacere vedere due amici di lunga data che si spintonano. Stavolta lascio che sia qualcun altro a dividerli.