Facebook, il recinto dei vigliacchi

di in: Filosofia portatile

Disegno di Mirando Haz dedicato a Charles Dickens

La mattina di circa una settimana fa, percorrendo la statale 652 di Fondo Val di Sangro, in Abruzzo, sull’arcata della galleria dopo il paese di Villa S. Maria ho visto la scritta in vernice rossa: “Facebook, il recinto dei vigliacchi”, scritta in grande.

Era ora molto antelucana, stavo andando da solo in montagna nel primo chiaro, e sebbene tutti mi consiglino sempre di non farlo, mentre guidavo ho preso appunti sul tema che meritava secondo me una riflessione (del resto, mi dico ogni volta per giustificarmi, se a volte scrivo mentre dormo e poi al risveglio non ci capisco niente non vedo perché non dovrei farlo guidando), appunti che vengo ora elaborando.

Solo che, mi accorgo subito, gli appunti che nel frattempo avevo pressoché dimenticati evitano di prendere di petto la questione, anzi di più evitano direi alla grande di commentare la frase. Sono appunti confusi, ma fin da subito vi si evidenzia come non avessi nessuna voglia di entrare in argomento, anzi lo considerassi controproducente. C’è da dire che sono un individuo dotato di memoria corta, e le salite in montagna poi servono proprio a fare una specie di tabula rasa, quindi cerco qui di ricostruire alla bell’e meglio.

Quello che è sicuro è che mi ha fatto molto piacere leggere quella frase, ah, c’è chi l’ha capito!, dev’essere stata la prima sensazione. Ma pure, deduco dagli appunti, subito devo aver pensato a come la coazione a ripetere già a questo punto avrebbe portato l’eventuale lettore a cliccare su: eccolo qui l’ennesimo oscurantista fuori tempo massimo, anziano oltretutto, così mi sono messo a fare una digressione in mia difesa (ma pure in attacco). Vale a dire ribadire che già all’inizio degli anni ’80 mi ero appassionato alle nuove tecnologie informatiche, le ho studiate a fondo, pensate che credevo all’Intelligenza Artificiale fosse il nuovo umanesimo, ho venerato gli Hofstadter-Dennett e il loro Gödel, Escher, Bach e ho presto posseduto un computer (un Epson antidiluviano anzi roccioso direi con uno schermo di 5 righe 5 e i nastrini per registrare). Ce ne ho messo del tempo a capire l’inganno. Va da sé che molti di coloro che mi danno ora dell’antidiluviano non erano ancora nati quando io già digitavo, ma molti altri si, e questi ultimi mi prendevano in giro e si facevano delle pazze risate all’insegna del “Che ora le cose te le fai scrivere dal computer? Ah, ah…”, ora invece si fanno delle pazze risate giacché ho deciso di non seguirli verso il sole dell’avvenire. Per concludere l’apparato d’attacco, voglio precisare che la mia attuale posizione è che niente mi appare umanamente più inerte, incongruente, perfino ottuso ai fini del miglioramento della vita del continuo aggiornamento tecnologico; e inoltre che secondo me mai e poi mai nei millenni la modernità è stata così vecchia, rimbambita, noiosa e illusoria, oscurantista e sorpassata come oggi. Su queste affermazioni ci metto la firma.

La verità come appare dagli appunti sul bloc-notes è che, evidentemente, non avevo alcuna intenzione di prendere di petto la questione, la stavo dilazionando in quanto, sebbene sia un vero appassionato delle cause perse non vedevo la ragione di convincere nessuno sulle caratteristiche nefaste dei social networks cosiddetti, è stato già fatto da persone molto più attrezzate di me, e anche meno moraliste al riguardo. È stato già detto e ridetto degli effetti di straniamento che producono soprattutto nei nativi digitali, vale a dire di coloro ai quali si è come rattrappita per nascita ogni facoltà analogica, quindi già adesso non sono più in grado di valutare, o meglio proporzionare o ridimensionare la propria presenza al mondo. È stato poco toccato è vero il fatto che l’utilizzo dei social networks renda incontrovertibile l’assorbimento passivo. Semmai si addivenisse a chiedersi come mai, per esempio di fronte a un processo irreversibile che è, si badi bene, di glebalizzazione prima di tutto, vale a dire di impoverimento delle grandi masse a sempre maggior favore di una percentuale ristretta di individui (tale è e sarà l’effetto della presunta globalizzazione), non vi sia quasi alcuna reazione, anche violenta, forse si potrà ricorrere alla spiegazione, sicuro tacciata di essere semplicistica, di come il nostro tempo psichico sia irriducibile a quello informatico che tende, anzi pretende la simultaneità di azione e reazione, e questo disagio venga poi pagato in termini di passività, inanità e acquiescenza.

Anche del fatto che siamo in un’epoca dominata da un feroce determinismo tecnologico, nella quale l’idea che lo sviluppo della tecnica accompagni verso sorti magnifiche e progressive è indefettibile e intoccabile, epoca nella quale impera l’ideologia tecno-ottimista che anzi sarebbe meglio definire una nuova teologia, anche di questo qua e là si è parlato. Si è già visto come ogni volta che si evidenzino alcuni effetti negativi, psichici o fisiologici anche gravi del flusso policentrico, senza tempo e senza progetto della rete informatica, la reazione sia che ogni passo avanti è ineludibile, fosse pure una condanna a morte, dalla quale certo non ci si può esimere. Di fronte al fatto che vengono continuamente incensati i momenti aggregativi della Rete, completamente falsi, è stato già detto come la comunicazione informatica sia solo presunta e di quanto essa porti acqua a un’epoca che sarà ricordata, se mai lo sarà, come l’Epoca della Grande Presunzione. È stato pure detto (ad esempio da quelli del collettivo Ippolita) come in effetti essa sia soprattutto tecnocrazia, digital divide e un mercato controllato da pochissimi oligopoli. Sta lì la nuova frontiera dello sfruttamento, ma se si arriva a fare degli eroi dei vari Zuckerberg, Jobs o del repellente Cook, vuol solo dire che costoro hanno messo in atto una strategia di potere atta ad imporre agli utenti, ai clienti, in ogni caso ai sottoposti di credere che il potere non ce l’hanno. Ecco cos’è oggi il massimo del potere, l’imporre agli altri di pensare che il potere non ce l’avete.

Dal bloc-notes traspare (è il termine giusto, in quanto era nello zaino e in montagna ha piovuto) come non avessi voglia di parlare al vento, del resto dico le stesse cose da decenni tanto che mi annoio da solo, a volte risulto poco credibile proprio perché sembra che non ci credo nemmeno io.

L’unica cosa un po’ sensata che si potrebbe dire agli utenti dei social è che si tratta di una gran perdita di tempo, ma non è proprio quello che vogliono? Non è per questo che siamo vivi, vale a dire per non diventare adulti neanche un po’ per tutta la vita, al massimo un paio di settimane prima di morire, ma mica tutti? Da queste parti, grazie a 500 anni almeno di ruberie globali ci è permesso tutto l’excursus, studiare lavorare figliare e nipotare perfino senza mai diventare adulto neanche un po’, nonostante le apparenze, oggi poi con tutti i giocherelli possibili e immaginabili ce lo possiamo permettere dalla mattina alla sera…

Ma poi alla fine, se la Stultifera Navis ha oggi preso questa forma, assai accattivante a dire il vero, se vogliono tutti navigare su di lei, ci dovrà pur essere qualcuno che non ha punto voglia di rincorrerla nella follia…

Nel frattempo ero arrivato ai piedi dell’imponente parete della Maiella. Io vi aspetto qui, non so per quanto ma vi aspetto qui…, ho scritto bello chiaro sul notes come ultima frase, compresi i puntini.

Però, guarda un po’, quando nei giorni seguenti ho ripetuto quella frase in giro, Facebook: il recinto dei vigliacchi, tutti ma proprio tutti erano assai d’accordo, assentivano tutti, in primis quelli che sulla Rete ci passano metà della giornata.