Vengono prima i vigili o il traffico?

di in: Filosofia portatile

Josef Sudek, Untitled-egg on plate, 1930

Sull’autobus l’altro giorno, attanagliato nel traffico romano, nell’afa (duplice esperienza che in contemporanea nessun mistico degno di questo nome credo abbia mai fatto), ho ascoltato un signore sudato oltre i limiti della decenza dichiarare ad un sodale proprio questa frase, se venissero prima i vigili o il traffico. Ho capito subito che doveva trattarsi di uno di quei dilemmi originari, tipo l’uovo o la gallina, la notte o il giorno che appassionava Talete, il vuoto o il pieno che forma la base di ogni ragionamento per un certo tipo di filosofi cinesi.

Roba forte insomma. I dati bruti dell’esperienza ci dicono infatti che il traffico sembra scorrere un po’ meglio in quel tal crocicchio, poi arrivano di gran carriera (ironico) gli agenti biancovestiti di Roma capitale e da un momento all’altro, proprio da un secondo all’altro tutto il quadrante nord o sud o est o ovest risulta paralizzato per ore, forse per sempre. Ma questo non può essere, dice a questo punto il buon senso, visto che gli agenti in questione sono comandati e pagati proprio per l’esatto contrario. Ecco innestato il dilemma di stampo originario. Sono di quei circoli virtuosi o viziosi (con preferenza dei secondi però) che devono per forza apparire pressoché insolubili, e questo lo era lì sul momento, lo giuro, visto che l’intrecciarsi di auto appiccicate, pullman turistici, gas di scarico, imprecazioni e sudore formava una trama così fitta che, per salvarsi, non si poteva che tentare la levitazione.

Levitando, cioè tentando la fuga verso le alte sfere della ragione, mi è venuto da chiedermi se, almeno in questa fase e qui in Italia, venga prima la cultura o l’ignoranza, mi è sembrato lì sul momento uno dei dilemmi originari moderni italiani. Mi è sembrato, vista la rarefazione dell’aria, un argomento da prendere in seria considerazione, se cioè, in Italia attualmente, uno prima è ignorante dopo diventa colto, come suggerirebbe la vulgata del buon senso, oppure l’esatto contrario, come invece appare al dato di fatto. Oppure, per metterla diversa, se è l’ignoranza che crea la cultura o viceversa, attualmente in Italia.

Non mi sono minimamente soffermato sulla supposta ignoranza derivante dall’uso scriteriato e compulsivo degli apparecchi tecnologici. E neppure sul diffusissimo analfabetismo di ritorno. Mi premeva, è più che chiaro per ragioni che probabilmente vanno ascritte ad uno spirito di contraddizione inveterato, arrivare al dunque, verificare cioè se lo stato attuale dell’ignoranza diffusa, potente e prepotente in Italia derivi in qualche misura da chi, come i vigili, dovrebbe provare a sedarla e invece si trova ad alimentarla, più o meno coscientemente.

Va be’, ho pensato, se mettiamo il caso della Grande Editoria, o della TV ad esempio, con la loro formula magica “diamo alla gente quello che vuole”, lì il dilemma si spezza immediatamente, si capisce subito dove sta il marcio, dov’è che si innesta la parabola elicoidale verso il basso (nell’ultima settimana ho assistito a ben otto apparizioni tv di tal Mauro Corona, sedicente alpinista e scrittore, il quale ha dichiarato ogni volta indefettibilmente che “io sono come Robert Walser”). Se andiamo più sul generale invece l’enigma resta in piedi: se primo responsabile dell’attuale sfascio culturale già da tempo diventato antropologico (direi in Italia prima di tutto, è ormai larga opinione che siamo un osservatorio privilegiato, visto che siamo molto avanti sulla via) sia la gente comune talmente pervicace, ostinata ad essere ignorante e comportarsi di conseguenza oppure sono gli addetti ai lavori cosiddetti a immettere, infiltrare, inculcare l’ignoranza nel paese.

Per prima cosa va notato che sia gli uni che gli altri sono sì convinti di essere in una fase difficile, ma che si sia allo sfascio ormai , che la situazione sia così grave e compromessa non lo sostengono, anzi lo negano, e in ogni caso non è loro la colpa, loro non sono responsabili di niente. Coloro che la vedono così brutta sono i mettimale, attualmente detti gufi.

Premesso che quando si generalizza si è sempre scortesi con la verità, è pur vero che se uno è un mettimale, vero o presunto, ci gode ad essere scortese. Ecco quindi che, prendendo in esame gli addetti ai lavori di quello che più mi interessa direttamente, vale a dire l’ambito letterario cosiddetto, ovverosia coloro che ci campano con la ‘cultura’ libresca che offrono, constatiamo che si tratta di personaggi talmente persi nella contemplazione estetica che diuturnamente la loro coscienza opera su se stessa che si sentono migliori del resto della società, intellettualmente va da sé, ma pure intellettivamente e perfino moralmente! Con le brutture che denotano i comportamenti del resto della società, le meschinerie, il livore, in definitiva l’ignoranza loro non hanno niente a che fare. Che questo sia ormai un paese in mano all’odio, che sia in atto lo slacciamento dei bassi istinti non c’entrano manco per idea! Sono i ‘contenuti di valore’ che immagazzinano ora dopo ora a renderli diversi e migliori secondo loro, invece secondo i gufi sono prettamente uguali, basta frequentarli un paio d’ore per rendersene conto, solo un po’ più ridicoli come tutti quelli che si credono meglio degli altri.

Ora, a guardar proprio bene in quel paio d’ore che li si frequenta, tali ‘superiori’ sono più o meno giustificati a reputarsi tali dal fatto che si caratterizzano per una pressoché totale vacanza dal pensiero, difatti i loro libri e quelli che propalano non solo non sanno di niente ma non hanno alcun valore nutritivo che, come avvertiva ad esempio Paul Valery, sta nel pensiero bien cachée dans le vers o frase che sia. Quel che detengono è solo l’enorme capacità del copia e incolla, senza quasi accorgersene e nella sicurezza che altri sodali provvederanno a reggergli il gioco. Loro l’altro dilemma antichissimo, vale a dire se il mondo sta lì fermo, immobile e inamovibile oppure dipende dal nostro sguardo e, quindi, in definitiva non esiste, non sanno nemmeno che esiste. Per costoro il mondo è lì bloccato in perenne attesa che arrivino con lo sguardo volpino tipico del funzionario statale, ogni cosa o avvenimento li aspetta con la sua bella etichetta sopra che basta tagliare e incollare appunto, poi spruzzarci sopra uno sbruffo di creatività che emana dall’elevazione, l’elezione, l’autorità di cui l’autore finalmente si riappropria nell’etimo.

I gufi dicono pure che non solo sono uguali ma che lo sfascio gli funziona alla grande, ci hanno scommesso sopra, per loro l’unica cosa importante è che le cose non cambino di un millimetro, pena la perdita della attuale ‘rendita di posizione’, quindi in definitiva sono pieni responsabili della diffusione dell’ignoranza 2.0. attualmente in voga. Lo si vede dalla solerzia con cui sono impegnati nell’eradicazione netta di ogni originalità, di ogni particolarità persino, di ogni minimo brandello di pensiero che non sia convergente. La deriva nichilista di cui noi gufi siamo spettatori consapevoli è assolutamente imprescindibile al perseguimento delle loro carriere di perdenti di successo. Se infatti la letteratura avrà un futuro loro saranno dimenticati, se non lo avrà saranno dimenticati comunque, e allora avanti col Carpe diem! Si tratta di fatto di un blocco conservatore, tenuto insieme da una pasta densa di omertà e vigliaccheria: quella che va stroncata sul nascere è ogni attività che venga dal basso e non tenga conto del loro ‘filtro’ potente, quindi altra loro solerte attività è la scelta meticolosa, capillare, ossessiva del mediocre. Mediocre dopo mediocre credono con ciò di avere un totale controllo…

Viene in mente un film messicano di qualche anno fa, La Zona si chiamava. Lì c’era una città nella quale i ricchi si erano costruiti un bunker sorvegliatissimo per difendersi dal marasma dei poveri. Era un film ad alto tasso di drammaticità. Come metafora funziona per tutto il nostro ‘mondo culturale’ (non saprei come chiamarlo altrimenti) e quindi anche per la classe dei letterati (non saprei come chiamarli altrimenti, visto che loro stessi non hanno più la faccia per definirsi Società letteraria, tantomeno poi Repubblica delle Lettere!) solo che qui non s’arriva purtroppo nemmeno al comico, il ridicolo rimane la sola cifra stilistica possibile. Si tratta di gente rimasta chiusa dentro il bunker, la quale vive nel disinteresse di quelli che se ne stanno beatamente fuori nell’ignoranza e cerca di circuirli e fidelizzarli proponendo una supposta nobilitazione sociale se si leggono i loro libri, incompatibili e forieri di nuova ignoranza per ogni essere ‘normale’ (mi prendo la responsabilità di un termine a tal punto ambiguo). Nella realtà infatti sono mossi da un profondo disprezzo per i lettori (basta leggere frasi come ‘Giulia ha erotto in un pianto convulso’ o, ‘c’era una luce esatta’, tanto per fare esempi a caso) che considerano esseri deboli, inetti, sottoposti, in definitiva clienti, un po’ come Berlusconi considerava i suoi elettori.

Tali libri, pensavo nell’immobilità mistica del traffico sudato, creano uno stato di rassegnazione, incutono soggezione, incoraggiano il servilismo. In definitiva diffondono la ragioni stesse e profonde dell’ignoranza. Questo almeno è un dato di fatto. Quanto a risolvere il dilemma è un altro paio di maniche.