La veronica

Mario Lanzione, Abissi cosmici

Per molti, dalle mie parti, i segni misteriosi che sembrano rimandare a chissà quali arcani sono quasi una fissazione: i fossili sui gradini delle scale, per esempio, quegli spessi punti interrogativi su ciò che è accaduto in ere remote, o certi sbreghi sui muri che sembrano sagome umane disegnate da un bambino o da un matto. Ogni tanto ci casco anch’io, ma lo prendo come un gioco, perché per me non sono segni ma ghirigori casuali, elaborate coincidenze che non rimandano a nulla, increspature accidentali sulla superficie del mondo. Sono enigmi che per la loro insensatezza mi mettono di buon umore – ma dalle mie parti c’è chi vede segni ovunque, c’è chi vede le madonne affrescate nelle cappelle che sorridono o piangono o guatano, e c’è chi, prima di chiamare l’idraulico o l’amministratore, di fronte a una macchia di bagnato sul muro, chiama il parroco.

 

Una sera, per dire, in palestra, durante il corso di GAG con cui cerco di frenare l’inesorabile declino fisico, vedo apparire un volto di santo barbuto sulla schiena di una signora davanti a me di qualche fila. Il sudore, cioè, le sta formando sulla canotta delle chiazze che riproducono nitidamente un volto maschile – gli occhi incavati, il taglio delle labbra e, attorno, la barba e lunghi boccoli. La comparsa di quella specie di veronica mi costringe a fermarmi per un momento.

Guardi, dico a una che sgambetta accanto a me.

Cosa?

Guardi!

Le indico la schiena chiazzata di sudore.

Quella? Non la conosco.

No, dico: guardi bene: non vede una faccia?

Vedo una schiena. Dai, su, non fermarti, che poi è peggio.

Non vede una faccia di santo?

Lei allora guarda meglio, strabuzza gli occhi.

Non ho i miei occhiali, ammette alla fine.

C’è una faccia di santo su quella schiena, dico.

Quale santo?

E che ne so? Un santo, comunque.

Di quelli con barba o senza?

Con barba.

Capelli?

Lunghi.

Mmm.

Lei strabuzza ancora gli occhi, poi prende coraggio e avanza fino alla signora con la faccia di santo sul dorso, la quale ignara di tutto continua a grondare e boccheggiare su e giù dallo step.

Non saprei, borbotta quando torna vicino a me.

Ci credo, dico io, le chiazze si stanno estendendo, non si vede più tanto bene.

Tutto quel movimento finisce per attirare l’attenzione di altre signore attorno.

Che succede? ci chiede una.

Lui ha visto una faccia di santo.

Dove?

Sulla schiena di quella là.

Quella quale?

Prima fila, seconda da destra.

Non la conosco.

Neanche io. Si è iscritta da poco.

Ora altre due o tre si concentrano su quella schiena.

Credo sia la cugina dell’insegnante di mio nipote. Matematica, o scienze.

Non fa la parrucchiera?

Non abita vicino a…

Ma la faccia, la vedete? insisto.

La faccia?

La faccia del santo!

La faccia… non saprei. Dovrei tenere su le lenti a contatto, ma qui ho paura di perderle, e…

Altre si fermano, guardano, chiedono informazioni alle vicine. Alla fine l’istruttrice smette di battere il tempo con le mani, allunga il collo verso di noi, e con un mezzo sorriso nervoso scende a vedere che cosa sta accadendo. A questo punto anche la signora che porta su di sé una faccia di santo si volta, e scopre di essere oggetto degli sguardi di quasi tutte.

Che c’è? ci chiede l’istruttrice, le mani sui fianchi come un personaggio di Goldoni.

Oh, nulla, cara, dice la tipa vicino a me. Questo giovanotto qui ha visto…

… Una faccia di un santo…

… sulla schiena di quella signora…

Sulla schiena mia? Una faccia di che cosa? Oddio…

La signora, come se si sentisse un grosso insetto camminare sul dorso, comincia a girare su se stessa, squittendo per l’agitazione, e con un braccio dietro le scapole e l’altro sopra una spalla cerca di scacciare l’intruso.

Aiuto, aiuto! strilla poi, mentre noi cerchiamo di rassicurarla.

Ma no, cara, non è niente, è…

… sarebbe…

… Un volto di un santo…

Forse, non dimenticatevi il forse…

… Il sudore, sai…

Lei si calma, finalmente, e quasi si accascia a terra.

Avevo capito uno di quegli insetti velenosi… dice tra le lacrime.

Ma no, ma no!

Tipo Testa di Morto, che so… Quelle cose lì, insomma… Dovrei chiedere al mio nipotino per essere più precisa… Sono brutte bestie, sapete…

Su, cara, su.

Ma chi ha visto che cosa?

Lui, mi indicano tutte. Lui ha visto. Chiedetelo a lui. Io, per me, non ho visto niente.

Nemmeno io.

Io nemmeno.

Fanno ancora voltare la signora: sulla sua schiena ora uniformemente bagnata di sudore non si scorge più alcun volto.

Vedete qualcosa? chiede lei, inquieta.

No, cara, no, tranquilla.

Perché io mi sento ancora qualcosa.

È solo suggestione.

Ora guardano tutte me come se fossi un matto, un fanatico senza speranza.

(Forse – me lo ripeto più tardi, nello spogliatoio –sospetteranno che ho voluto far loro un dispetto. Tutte loro hanno una gran voglia di intercettare ovunque le tracce misteriose di un linguaggio divino che però si attorciglia in rompicapi frustranti, e insomma si nega proprio nel momento in cui sembra svelarsi. Avrebbero tanto desiderato vedere anche loro una bella testa di santo su quella canotta: è da tanto che lo sperano, che ci si fissano. E ora penseranno che mi sia voluto prender gioco del loro bisogno di segni celesti.)