Le vie degli scrittori

Bianciardi e Mastronardi: vendesi. No agenzie.

Sembra uno strano scherzo del destino quello che accomuna Luciano Bianciardi e Lucio Mastronardi nello stradario di Milano. Sradicati, poco compresi e un po’ emarginati nella loro vita di uomini e scrittori, adesso lo sono anche in quella di titolari di strade nella città che li ha ospitati per un po’ a cavallo negli anni del boom economico, quelli nei quali facevano la fame scrivendo della nuova borghesia che si arricchiva snobbando libri e cultura. Deve quasi uscire da Milano, infatti, chi cerca via Mastronardi e via Bianciardi, inoltrarsi nella periferia a sud-ovest del centro, prendere vialoni, salire ponti, passare sotto cavalcavia e perdersi in rotonde tutte simili, vicine a campi di calcio in odore di tangenziale. Deve raggiungere Muggiano, chi cerca tracce di questi due scrittori un po’ dimenticati, un quartiere che è quasi un paese, che una volta era un pezzo di Baggio, prima che Baggio diventasse un pezzo di Milano e venisse inghiottito dai palazzoni di cemento che adesso si stagliano imponenti e grigissimi. Muggiano sembra un quartiere timidamente residenziale, con i suoi palazzi di mattoni rossi e intonaco giallo, gli ampi terrazzi e quegli alberelli che si stanno facendo grandi, aspettando di fare ombra a strade solitarie e tranquille: bisogna passare sotto la tangenziale ovest, dunque, imboccare via Mosca, proseguire per via Jemolo e poi svoltare a destra in via Moltoni, strada chiusa che conduce verso un nulla di case e parcheggi, che finisce in una rotonda che riporta al punto di partenza, in un giro della morte che lambisce prati disordinati e cespugli che nascondono rogge in cui scorre acqua triste e marroncina. Via Mastronardi e via Bianciardi sono in fondo a via Moltoni, quindi, giusto prima della rotonda di chiusura, strade chiuse anche loro, che danno su parchetti con giochi per bambini e balconi con sedie di plastica e stendini pieni di roba ad asciugare. Erano amici intimi, Bianciardi e Mastronardi, e lo sono rimasti anche dopo morti, linee parallele in un angolo di Milano che puoi facilmente confondere con altri angoli poco lontani, appartenenti però a Cusago, a Trezzano sul Naviglio, a Corsico, paesoni di periferia che si truccano da grande città, cosmetizzandosi al contrario, diventando brutti al posto che belli.

Sarebbe bello sapere cosa penserebbero delle poche centinaia di metri a loro intitolate, Bianciardi e Mastronardi, se ci si ritroverebbero, se un piccolo moto d’orgoglio li attraverserebbe al pensiero delle tracce toponomastiche che hanno lasciato. Sarebbe bello anche chiederlo alle persone che ci vivono veramente, in queste vie, se non fosse che in giro, in questo pomeriggio d’estate, non c’è praticamente nessuno. Solo un signore esce un po’ trafelato da un cancello ma scompare subito nella sua macchina, come se avesse una gran fretta; per il resto solo calma piatta: nessuno porta in giro il cane, nessuno fuma una sigaretta parlando al telefonino, nessuno lava la macchina in canottiera: Muggiano è un’oasi di silenzio e afa, molto lontana dalla Milano cinica e operosa della Vita agra, forse più simile alla domenica pomeriggio della Vigevano di Mastronardi, quella che smetteva per qualche ora di fare le scarpe, per poi ricominciare più in fretta di prima («I vigevanesi la torre del Bramante neanche la guardano, pensano solo alle scarpe. Chi non fa scarpe è considerato un inetto, un uomo superfluo, che non è utile alla famiglia né alla città»).

Allora mi affido alle tracce di chi comunque da queste parti ci vive, anche se adesso è tutto deserto: ed ecco i cartelli con i nomi delle vie, ad altezza uomo, sulle inferriate che proteggono le piante di un signore che abita a piano terra. Via Luciano Bianciardi, c’è scritto, scrittore, 1922-1971, caratteri neri incisi su marmo bianco. E vicino il risultato del passaggio di qualche ragazzino, o magari di qualcuno anche più grande che, con vari pennarelli, ha disegnato un pene molto grande o ha scritto parolacce senza senso, incitando qualcuno a succhiare qualcos’altro. È probabile che non ce l’abbia con Bianciardi, questo anonimo scribacchino, ma che abbia scambiato quella lastra di marmo per una lavagna o per una più moderna bacheca di Facebook, sul quale lanciare messaggi e condividere opinioni, con il classico stile di chi vuole andare dritto al sodo, senza giri di parole e inutili lirismi.

Poi ci sono i cartelli vendesi e affittasi. Sembra che la gente non stia molto bene qui, perché le proposte immobiliari sono tante e variegate: vendesi bilocale di settanta metri quadri, dice per esempio uno in via Mastronardi, soggiorno con cucina a vista, camera da letto, bagno, ampio disimpegno e ripostiglio. Termautonomo con box e cantina. No agenzie. E poi altri annunci di ogni tipo, con classi energetiche, doppie esposizioni, balconi come se piovessero. Chissà dove vuole andare questa gente: forse qui si sente troppo isolata? Forse la sera è pericoloso uscire? Forse d’inverno c’è una tale nebbia che non si vede il palazzo di fronte?

Alla fine è un po’ triste passeggiare qui, si ha come l’impressione che la vita vera sia altrove, che in questo angolo polveroso di Milano ci si limiti a dormire, a guardare la tv a volume alto a parcheggiare la macchina in divieto di sosta, anche se c’è un sacco di spazio a disposizione. E ci si chiede se in qualche modo Mastronardi e Bianciardi vivano un po’ in questi spazi desolati, se l’inquietudine, la malinconia e la rabbia di chi vende e affitta case o di chi scrive parolacce sui cartelli sia un po’ anche la loro, che hanno sperimentato il mal di vivere in altri luoghi e in altri tempi, mettendolo nero su bianco su pagine vissute sulla propria pelle, piene di vivida ispirazione e di impellente necessità di sbarcare il lunario.

E allora penso che sì, forse sì, forse un po’ Bianciardi e Mastronardi si ritroverebbero nella desolazione di Muggiano, personaggi minori e incompresi in tempi che, alla fine, non cambiano mai.

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