Largo Gadda, Carlo Emilio

Se uno è a Milano e si trova a fare un giro in zona Sempione, poco distante dall’Arena, deve essere proprio attento per capire, a un certo punto dei suoi spostamenti, che è capitato in Largo Gadda: in effetti, e lo dico per esperienza diretta, basta chiedere alle vecchine che chiacchierano sulle panchine di piazza Gramsci, ci sono delle persone che abitano proprio lì vicino, magari nelle case sopra il Carrefour, che se per caso gli chiedi dov’è Largo Gadda, ti guardano dispiaciute e ti dicono che loro non l’hanno mai sentito nominare questo posto e, anzi, ti chiedono se sei proprio sicuro che si chiami così perché probabilmente c’è un errore.

Quando ci arrivi, poi, ti viene il sospetto che un po’ della misteriosità di questo luogo sconosciuto anche ai suoi inconsapevoli frequentatori stia proprio nella sua anonimità, nel suo non sembrare altro che un incrocio di varie vie con una personalità e dei nomi ben definiti; probabilmente una volta questo era veramente un incrocio senza nome che poi, magari per porre rimedio a una inqualificabile dimenticanza, qualche burocrate del Comune avrà deciso di denominare Largo Gadda, dando lustro e rilevanza tardiva alla figura del Gran Lombardo, che di Milano è quasi un simbolo vivente (maturità al Liceo Parini, laurea al Politecnico, studi sul Manzoni), tanto che, a pensarci bene, c’è proprio da meravigliarsi che non gli abbiano intitolato un viale o una piazza in pieno centro storico.

Bisogna aguzzare la vista, allora, quando ci si ritrova in questo crocevia anonimo e trafficato, dove confluiscono in maniera un po’ disordinata via Canonica, via Paolo Sarpi, piazza Gramsci, via Prina e via Bertini, trasposizione toponomastica del groviglio che secondo Gadda contraddistingueva la realtà e le sue manifestazioni: si capisce che si è in Largo Gadda solo da due cartelli, uno in corrispondenza di via Paolo Sarpi, sopra una banca, e l’altro dalla parte opposta, tra via Prina e piazza Gramsci, messi in posti così defilati  e oscuri da sembrare quasi i protagonisti di quelle vignette in cui riconoscere le differenze della Settimana Enigmistica.

Essendo un incrocio, poi, Largo Gadda è il classico posto in cui uno passa ma non si ferma: non c’è un parcheggio o una minima area di sosta e tutto sembra studiato perché chi arriva qui se ne vada il prima possibile, o a piedi (verso le isole pedonali di piazza Gramsci o via Paolo Sarpi) o in macchina, magari verso l’Arena. Infatti che cosa ci sta a fare uno in un posto dove spunta l’uscita di un parcheggio sotterraneo, passano decine di autobus con traiettorie futuribili, e macchine e furgoni strombazzano per uscire da qualche ingorgo? Ci sarebbe anche da soffrire di claustrofobia, qui, se l’antennone della Rai, appena oltre corso Sempione, non regalasse un minimo di prospettiva e respiro a un incrocio che sembra raggomitolarsi su se stesso.

In Largo Gadda, altro fatto misterioso, non sognatevi di cercare qualche numero civico, non ne trovereste nemmeno uno: la gente non si sogna proprio di abitare o di lavorare in quest’isola sola e abbandonata, buona solo per prendere multe. Negozi e banche hanno alcune vetrine che si affacciano su quest’incrocio misterioso, ma se potessero le trasferirebbero subito nelle vie limitrofe, dove probabilmente c’è un’atmosfera più calma e rilassata.

Sarebbe curioso, poi, sapere cosa penserebbe Gadda se fosse a conoscenza del fatto che il luogo a lui intitolato si trova in quella zona di Milano sempre meno milanese che è Chinatown, il quartiere cinese che ha come centro proprio via Paolo Sarpi: forse si sarebbe scagliato contro una scelta così provocatoria, lui, amante dell’ordine, della tradizione e insofferente nei confronti dello straniero, già nostalgico del dialetto prima ancora che questo sparisse; o forse, astioso e controcorrente, avrebbe rilevato che al giorno d’oggi i cinesi rappresentano meglio del milanese quel concetto di operosità borghese che gli stava così a cuore, e che se gli Hu, i Chen e gli Zhou stanno scalzando i Rossi, i Fumagalli e i Brambilla, ci sarà pure una ragione.

Basterebbe sfogliare l’Adalgisa e i suoi disegni milanesi, con quella scrittura piena di invenzioni e quelle note tanto creative quanto puntigliose, per trovare angoli e strade di Milano (che non ci sono più, va da sé) descritti da Gadda, e invece ci si trova a pensare a lui e alla sua città in questo non luogo spoglio e anonimo,  sepolto dal rumore di clacson e scarichi: non tanto distante, e questa per lo meno è una bella coincidenza, a dove per anni ha vissuto uno dei suoi più fecondi e talentuosi “discepoli”: quel Gianni Brera a cui adesso è intitolata l’Arena Civica, che passò gran parte dei suoi anni milanesi in via Cesariano al 5, dove adesso urlano e giocano i bambini del quartiere, e dove, tanto per cambiare, baristi cinesi vendono vino al calice abbinato a olive e patatine.