Il puzzle grottesco di Pietro Altieri

Gustavo Paradiso intervista Pietro Altieri, autore di Una disperazione confusa, il primo ZiBook della collana Lontananze prodotto da Zibaldoni e altre meraviglie. Altieri evoca i suoi riferimenti letterari e parla del suo metodo di composizione, ispirato al montaggio cinematografico e ai collage dei dadaisti e di William Burroughs.

Pietro Altieri

Gustavo ParadisoCome è nata l’idea di questo libro?

 

Pietro Altieri: Risale a più di dieci anni fa, forse anche prima. Dopo essermi occupato per tanto tempo di poesia, mi è venuta voglia di scrivere un testo in prosa, ma non un romanzetto come quelli che vanno tanto di moda oggi. Non è proprio nelle mie corde, tra l’altro. Ho pensato allora a una specie di patchwork, di puzzle di materiali linguistici eterogenei, della più disparata origine e provenienza: articoli di giornale, spot pubblicitari, scenari avveniristici, citazioni rubate qui e lì, inserti poetici, monologhi, scene di film, brandelli di sogni, ecc. Insomma, ho tentato di fare con le parole e i testi esattamente quello che hanno fatto Enrico Ghezzi e Marco Giusti con il noto programma Blob.

 

Gustavo ParadisoTi sei ispirato a qualche autore in particolare per la struttura del testo? Intendo dire, ci sono influenze letterarie che riconosci esplicitamente alla base del tuo modo di scrivere?

 

Pietro Altieri: Ovviamente sì. Influenze di cui non solo sono perfettamente consapevole bensì che addirittura rivendico! Ma questa è una lunga storia… In primo luogo e soprattutto William Burroughs, del quale ho cercato di imitare fin da ragazzo le tecniche compositive. Il cut-up che lui usava (forse potremmo tradurlo oggi con taglia e incolla) è l’equivalente del collage dei Dadaisti e degli artisti d’avanguardia. Se non ricordo male, Burroughs ha scritto da qualche parte che “gli scrittori lavorano con le parole e le voci come i pittori lavorano con i colori”. E da dove vengono queste parole e queste voci? Da qualsiasi fonte possibile, dalla grande letteratura di tutti i tempi e da luoghi più bassi e triviali, come giornali, riviste, film, trasmissioni televisive, videoclip pubblicitari. D’altronde, nel Manifesto Les Voleurs (I Ladri), scritto nel 1976 a Parigi con l’amico Brion Gysin, Burroughs invitava esplicitamente al saccheggio disinibito della Biblioteca di Babele e dell’Arte universale: “Bosch, Michelangelo, Renoir, Monet, Picasso – rubate tutto quello che c’è in vista. Volete una certa luce in una vostra scena? Prendetela da Monet. Volete uno sfondo 1930? Usate Hopper. La stessa cosa vale per lo scrivere. Prendete quello che vi serve”.

 

Gustavo ParadisoIn realtà il romanzo del Novecento ha già da tempo alle spalle procedimenti di questo tipo. Penso a Joyce, naturalmente, a Dos Passos, a I sonnambuli di Hermann Broch. Ma nel tuo libro ho notato anche la forte rilevanza delle immagini, delle scene oniriche, visionarie, che sembrano testimoniare l’influsso del cinema e del montaggio dei fotogrammi mentali sul tuo modo di scrivere.

 

Pietro Altieri: Sono una specie di feticista del cinema, adoro il cinema muto, i capolavori di Stanley Kubrik e dei grandi Maestri della regia, avrò visto forse un milione di film in vita mia. La scena di Blade Runner che ho messo nel libro è una sorta di omaggio a questa mia antica passione. Sono sempre stato affascinato anche dal montaggio, una pratica artigianale che richiede perizia e infinita pazienza, proprio come la poesia, ma che ti permette, quando la sai usare adeguatamente, di trasformare, come un alchimista, la cosa più volgare e prosaica in oro. Da giovane mi sono occupato per diversi anni di teatro sperimentale e ricordo uno spettacolo, Commutatore di sogni, tratto da un mio breve racconto di fantascienza, costruito con diapositive a dissolvenze incrociate, montate con pazienza da amanuense insieme a filtri di colore che ne accentuavano l’effetto straniante, e ricordo ancora come se fosse oggi il brivido di soddisfazione che provai quando finalmente vidi sullo schermo che le immagini fluivano in perfetta coordinazione con la musica e le voci registrate.

 

Gustavo ParadisoVorrei chiederti adesso del tema del libro, adombrato del resto dal titolo. Pensi effettivamente che il mondo attuale sia “disperato” e “confuso”?

 

Pietro Altieri: Temo proprio di sì. Anzi, di più, credo sia una galassia implosa o, se si preferisce, una realtà che esplode in mille pezzi, e noi stessi siamo tanti Diogene, disorientati e ciechi, che si aggirano tra le rovine e i frammenti senza una bussola che ci sappia indicare in che direzione andare. Con in sovrappiù quel tocco di grottesco che cerco di parodiare nel capitolo “La Repubblica delle Libertà”, che mi fa sempre venire in mente quella frase geniale del grande Ennio Flaiano sul Belpaese: “La situazione è grave ma non è seria”. 

 

Gustavo ParadisoPer concludere questa intervista permettimi di chiederti, per pura curiosità personale, quali sono, oltre Burroughs naturalmente, i tuoi autori di riferimento?

 

Pietro Altieri: Per la poesia potrei citare tre fasi: l’infatuazione giovanile per Dylan Thomas e Garcia Lorca, specie quello di Poeta a New York, poi la devozione totale per Rimbaud, infine la passione smodata e viscerale per Paul Celan. Tra gli italiani potrei citarti Andrea Zanzotto e Milo De Angelis. Per la prosa la lista sarebbe sterminata, ma per sintetizzare direi Kafka, Beckett, Broch, Ernst Jünger, Ernesto Sábato, specie quel capolavoro che è Sopra eroi e tombe, il Céline di Viaggio al termine della notte, Borges, Cortázar, Melville, Don De Lillo, Cormac Mc Carthy. Tra gli italiani, fin da ragazzo avevo una vera e propria venerazione per la prosa di Giorgio Manganelli, poi in particolare Italo Calvino, Dino Buzzati, Tommaso Landolfi.

 

La copertina dello "ZiBook" di Pietro Altieri

La copertina dello “ZiBook” di Altieri

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