Poeti frocioni d’Italia

L'incipit del romanzo I dispiaceri del vero poliziotto di Roberto Bolaño, accompagnato da un ritratto inedito di Davide Racca.

di in: Bazar

DAVIDE RACCA, Ritratto di Roberto Bolaño, 2013

«Per Padilla, ricordava Amalfitano, la letteratura era eterosessuale, omosessuale e bisessuale. I romanzi, in genere, erano eterosessuali. La poesia, invece, era assolutamente omosessuale. Nel suo immenso oceano distingueva varie correnti: frocioni, froci, frocetti, checche, culi, finocchi, efebi e narcisi. Le due correnti maggiori, tuttavia, erano quelle dei frocioni e dei froci. Walt Withman, per esempio, era un poeta frocione. Pablo Neruda, un poeta frocio. William Blake era, senz’ombra di dubbio, un frocione, e Octavio Paz un frocio. Borges era un efebo, cioè poteva diventare all’improvviso frocione e all’improvviso rivelarsi semplicemente asessuato. […] In Spagna, in Francia e in Italia i poeti froci sono stati legioni, diceva, al contrario di quanto potrebbe pensare un lettore non eccessivamente attento. Il fatto è che un poeta frocione come Leopardi, per esempio, ricrea in qualche maniera froci come Ungaretti, Montale e Quasimodo, il trio della morte. Nello stesso modo Pasolini rivernicia il frociume italiano attuale, si veda il caso del povero Sanguineti (su Pavese non metto bocca, era una checca triste, un esemplare unico nella sua specie)».

 

[Tratto da I dispiaceri del vero poliziotto, traduz. di Ilide Carmignani, Adelphi 2011]