Tre poesie di Nāzik al Malā’ika

Traduzioni di Antonietta Giampaglia.

di in: Politica poetica

Invito a sognare

Vieni a sognare, la bella sera è vicina
la morbidezza della penombra e le guance delle stelle ci invitano.
Vieni, afferriamo i sogni, contiamo i fili della lucentezza,
le dune di sabbia siano testimoni del nostro amore.
Insieme cammineremo nel cuore della nostra isola desta,
lasceremo sulla sabbia le orme dei nostri piedi erranti.
Sopraggiungerà il mattino , spargerà la sua fresca rugiada
e farà germogliare là dove abbiamo sognato anche solo un’unica rosa.
Sogneremo di innalzarci e di cercare i monti della luna,
gioiremo nella solitudine dell’infinito e dell’assenza di uomini
lontano, lontano… là dove i ricordi non potranno raggiungerci
essendo noi al di là dell’estensione del pensiero.
Sogneremo di divenire due fanciulli sui colli,
che innocenti corrono sulle rocce, portando al pascolo cammelli,
fuggiaschi senza dimora alcuna se non la capanna della fantasia.
E allorché dormiremo, rotoleremo i nostri corpi nella sabbia,
sogneremo di incamminarci verso il passato non verso il domani,
di giungere a Babilonia in una certa alba bagnata di rugiada,
portando come due innamorati la promessa del nostro amore al tempio
ove un sacerdote babilonese dalla candida mano ci benedirà.

L’sola dell’ispirazione

Conducimi verso il mondo lontano
o barca della magia e dell’eternità.
Vai con il mio cuore verso le rive
che ispirano la perfetta poesia.
L’isola dell’ispirazione, in lontananza,
appare come remota speranza.
La sabbia sulla sua spiaggia, umida di rugiada,
attinge dalla frescura del Tigri.
La dolce luna, nel suo cielo,
è il desiderio del poeta solitario.
Vai, o barca, con l’anima mia
è giunto il tempo di risvegliare il mio liuto.
È giunto il tempo per la poesia di cantare
il sogno allegro e sfuggente.
Il mio sogno, forgiato come un canto,
rallegra la mia esistenza con la sua magia.
Poetessa mia, osserva,
questa è l’isola della poesia e del canto.
Sono apparse in lontananza le sue coste,
desiderio di un mondo nuovo.
Se le pupille fossero da lei distolte,
i desideri ad esse griderebbero: tornate.
Sorridi, figlia dei canti,
alle coste magiche ed estese.
Ferma la barca affaticata
sotto i raggi di luce diffusa.
Il liuto, la poesia e i desideri…
poetessa mia, canta e canta ancor più.
Ti ha sorriso la vita e i venti
della disperazione e dell’angoscia si sono placati.
Si è mutata la tristezza
in letizia e desideri, che festa!

Ad una rosa bianca

Tesoro di frescura e di nettare, rifugio di morbidezza profumata
tu, che sei fatta di neve, di latte, di luna
splendore di una gota di seta bianca, pienezza della vista
rosa bianca, ritrovo di farfalle di attesa primavera
il sole desidererebbe che tu dissetassi la sua luce con altri doni
l’alba ti segue fedele ed effonde la tua ombra nel fiume
o crocevia d’amore di ruscelli, di allodole, di alberi
ohimè! Gli uomini!
Son passati vicino al tuo tesoro chiedendo:
poverina, che cosa possiedi?
La Rosa bianca: “Noi, io e te, nascondiamo un segreto seducente
il mio e il tuo segreto non lo riveleremo alla schiera cieca.
Cosa noi possediamo? Né terreni, né servitori, né castelli,
null’altro che il tremore della luna vacillante nel ruscello,
canti di brezze serali che vellutati giungono,
il favore degli uccelli, l’alba variopinta, la fragranza,
l’amore del tenero sole, il bacio della pioggia copiosa
e il soffice cuscino dei pascoli.
Pietà per coloro che chiedono
e per la loro stessa domanda: che cosa possiedi?”.