Speciale Elezioni/ 1

In compagnia del giambico Daniele Ventre e dell'infernale Hieronymus Bosch, ZIBALDONI s'incammina pensosamente verso le prossime elezioni politiche. Sette puntate tachicardiche, popolate di figure grottesche di scrittori politici banchieri, da scandire ad alta voce e in buona compagnia, per purificarsi dalle scorie velenose delle propagande.

di in: Politica poetica

Da prima c’era quello che chiamavano

il caos, mole indigesta e rozza e strabica

di mare e cielo e terra e fuoco e fulmini,

di magmi e di marasmi e televendite

di poetini accorti e un po’ selvatici,

di trucchi salva-Italia e arguti tecnici

bancarii con amanti e figli a carico

col posto fisso (certo non si annoiano).

Ma poi la luce: ricomincia il turbine

di bande e sarabande e sketch e scandali,

e saltimbanchi e banche già si sbancano

e d’improvviso le elezioni esplodono

per ogni ordinamento democratico

(o quasi tale), e il mondo si precipita

a rinnovarsi nel bordello cosmico

di morra e zara e il circo della chiacchiera

impazza e le parole rifioriscono

in nuovi sensi che non sai se credere,

fra un bond e un Bondi (che i poeti abbondano)

e un Vendola che svende i suoi versicoli,

– eh, gli editori cedono ai notabili,

poi in fretta condiscendono benevoli

i critici più arguti e più coriacei

che ad altri fanno gli aristarchi a tavola

(“Sai? Metti in metro suoni un poco arcaici”)

– pazienza se nemmeno ti capiscono.

Ma c’è da stare allegri, voi, fidatevi,

e soprattutto, vigili, partecipi,

che tutto cambierà – ma il caos continua

e il circo e la commedia si rinfrescano

con grigie nullità da palcoscenico

e dal contegno appena un po’ dispotico.

Se uno poi rimugina fra il pubblico,

è il solito isolato, un po’ distopico:

mitraglia compulsivo e tachicardico

i suoi commenti nella nota a margine

d’un casalingo acciottolio di pentole

che il fine letterato loda ironico

(ai letterati raffinati piacciono

i toni casarecci e un po’ bucolici,

se il ciabattino non va oltre il sandalo)

– e con gli amici bene torna a irriderti.

Ma al lunapark i simboli svolazzano

in carta straccia e dopo la domenica

la festa piega l’ala dei coriandoli.

 

1.

 

Maestri di scrittura, poetucoli,

voi tutti che credete al verso facile

e alle prosette asfittiche da vendere

a un tanto al chilo, abbiate un po’ di fegato,

in vita vostra, o andate a farvi friggere!

Vi preme troppo il placuit dell’editor

che vi confina in quelle forme flaccide

da abbreviatori di realtà sintetiche.

Mi sembra di sentirvi già serafici

svelare i vostri facili incantesimi

da fiera fra conigli e carabattole,

con tono tra l’affabile e il messianico,

con il peluche in testa e l’erre flebile

e il conformismo pseudodemocratico

che già da troppo mi concilia il vomito.

Ne avete di aderenze e lombi ignobili

fra i lottacontinuisti e i neocattolici

tra l’oppio da siringa e quello biblico

che propinate ai pavidi discepoli,

incatenati al vostro verso libero,

alla scrittura creativa e rapida.

Ma di creativo avete solo i volvoli

che il crasso ritma in scoppi peristaltici.

Semplicità cercate, s’ha da vendere

e il pubblico anzitutto ha da comprendere.

Ma io sarò banale e meno affabile

e ve lo dico che il mercato è un alibi

per ogni mente vuota e fioca e insipida.

Che se qualcuno ingrana due o tre sillabe

gli rispondete con la bile in bilico

“Sèi tu citazionista sciatto e melico!”

da veri postmoderni e pseudocritici,

con sulla bocca quel pensiero debole

in cui si atteggia solo un vuoto d’anime.

 

[I – continua]