L’altro giorno, a Roma in via dei Serpenti, un piccolo negozio di antiquariato era chiuso in pieno pomeriggio. Sulla vetrina c’era appeso un cartello scritto a mano: Torno subito. Sotto però si specificava: Se me va. Magari è solo perché il tenutario se lo può permettere, può essere che la flessione dialettale sia probante di qualcosa, è comunque a guardar bene una frase per certi versi illuminante, specie nella nube di parole di stampo economico-finanziario nella quale siamo costretti a orientarci in questo periodo, e in pieno regime di liberalizzazioni. Liberalizzazioni che ‘liberano energie’, libertà dell’orario di apertura ad esempio.
Una volta le culture differivano profondamente in quanto a concezioni che riguardano il tempo, non solo le idee di puntualità, ma la fretta e l’attesa, l’anticipo e il ritardo erano diverse, fino al modo di rappresentarsi il presente, passato e futuro. C’è stato un tempo in cui vi erano culture che enfatizzavano il tempo degli orologi e quelle che lo basavano sugli eventi, ora quel tempo non c’è più. Nel primo caso l’ora segnata sul quadrante determina inizio e fine di un’attività, mentre basare l’idea di tempo sugli eventi significava che erano le esigenze particolari a determinare la pianificazione, e le attività cominciavano e finivano quando coloro che vi erano implicati decidevano che scoccava il momento giusto. E non si può dire che quel tempo non fosse reale, né che non rispondesse a esigenze anche materiali. Da un po’ di tempo si è imposta la prima idea a carattere globale, quella astratta, il tempo è denaro sempre più uniformemente in ogni parte del mondo, vale a dire una convenzione per una convenzione, il più misterioso, aleatorio e senza forma fra i beni immateriali ridotto al valore più oggettivo delle quantità. Oggi si vive in un modo solo, è il denaro che fa girare gli orologi quasi in ogni anfratto del pianeta, e il denaro si sa, alla lunga rende ogni cosa equivalente, qualitativamente ‘indifferente’. E il tempo vale sempre di meno.
Per noi quell’abito è diventata natura, ma ora che il primato dell’economia come scienza cognitiva somiglia troppo a un espediente, ora che tale economia è patentemente truccata (pure mirata forse, nel senso dello “spirito segretamente auto-distruttivo” che già aveva percepito Adorno, visto che ha puntato in primo luogo alcuni dei paesi-culla della civiltà occidentale), ora che si va stabilizzando una tirannia denotata dall’assenza di volti riconoscibili, si ha il forte sospetto che proprio al tempo sia stata affidata la faccia del tiranno. Così, mentre gli speculatori s’appropriano del ‘tasso d’incertezza’ che ha il mondo, ci si riappropria di un’ora, un pomeriggio, un evento che ci interessa, come modo di ripensare a fondo il rapporto personale che abbiamo coi beni materiali e i bisogni. Del resto, ci ricorda Borges, siamo comunque “fatti di tempo”. Costi quel che costi.