Una macchina per raccontare tutti i futuri. Macedonio Fernández nel XXI secolo

Macedonio Fernandez

Nella sua epoca, l’epoca delle avanguardie, l’opera di Macedonio Fernández sembrava concepita per un lettore futuro, abitante di una città virtuale, capace di provare un’intensa commozione per mezzo delle parole e disposto a demolire tutti i miti sui quali si era andata creando la sua personalità. Un lettore eccezionale nel XX secolo ma, per ragioni diverse, il tipico lettore del XXI. Un lettore che ha superato i confini del libro, un lettore «intermittente», come lo chiama lo stesso Macedonio, che non si preoccupa della trama, ma piuttosto della capacità della prosa di essere una macchina in grado di generare trame infinite: un congegno che assomiglia fin troppo alla memoria futura di Internet, con i suoi links e ipertesti.

Nell’epoca delle avanguardie storiche, Macedonio Fernández – che non è un giovane avanguardista ma piuttosto un anziano avanguardista – si propone di costruire un’opera etica, estetica, politica e metafisica. Un obiettivo ambizioso, in effetti, per un genere – il romanzo – che si accontentava di essere «la prosa del mondo».

I problemi di Macedonio sono quelli di Joyce, Proust, Pirandello, Unamuno. Le sue soluzioni sono molto più stravaganti e marginali, a volte esclusivamente argentine. Quasi tutto quello che c’è da dire su Macedonio Fernández lo ha detto e scritto Ricardo Piglia. Quel poco che qui presento è un commento alla critica e alla finzione di Ricardo Piglia su Macedonio Fernández.

 

Una società utopica nell’Alto Paraná e l’utopia della Eterna

L’utopia, il non luogo, è una costante nell’opera e nella vita di questo argentino che non si mosse quasi mai da Buenos Aires. Due episodi segnano la sua vita: il tentativo fallito di fondare una società anarchica e la morte di sua moglie.

Nel 1897, ad appena ventidue anni, e immediatamente dopo aver discusso una tesi in Diritto d’ispirazione spenceriana dal sintetico titolo Sulle persone, Macedonio Fernández e un gruppo di amici partono per l’Alto Paraná, al confine tra Paraguay e Argentina: vogliono fondare una colonia socialista. Tra i partecipanti all’impresa appare il padre di Borges, il quale sta per sposarsi e alla fine decide di non unirsi alla compagnia. Il gruppo di «naufraghi in tight» — così li definisce un loro amico — si accampa in un luogo desolato con l’intenzione di dar vita a una nuova società ispirata a Fourier. Uno dei fondatori è Julio Molina y Vedía, architetto che ha rinunciato alla professione per non contribuire alla costruzione di un mondo in disfacimento e autore, un paio di decenni più tardi, di un’interessante e curiosa utopia letteraria: La Nueva Argentina (1929). L’esperienza non dura molto. L’entusiasmo e l’idealismo di Macedonio Fernández e dei suoi amici si spengono a causa delle dure condizioni del territorio, delle zanzare, ma soprattutto perchè minati nella loro radicalità collettiva dal più pericoloso degli stati d’animo: la noia. Nonostante tutto, questo è un episodio chiave per la formazione di Macedonio e per la sua idea del romanzo, un genere in prosa che gli permetterà di immaginare tutte le possibilità esistenziali e di aprire le porte all’utopia. L’esperienza del Paraguay risponde a una lunga tradizione di pensiero utopico applicato a quelle zone: dalle missioni dei gesuiti ai continui adeguamenti argentini dell’utopismo socialista durante il XIX secolo. Nell’opera romanzesca di Macedonio Fernández, così come in politica e nella vita, la presenza di Fourier e Spencer sarà costante. A parte il periodo delle avanguardie argentine, la relazione tra romanzo e utopia in America Latina si impone come un topos da quando il trionfo del «realismo magico» coincise con il ’68 francese e californiano. La fondazione di Macondo ad opera di José Arcadio Buendía, quel «paese felice, dove nessuno aveva più di trent’anni e dove non era morto nessuno» 1, diventa la parola d’ordine dei sogni giovanili.

Ma leggendo Macedonio Fernández c’è qualcosa di molto diverso: nel romanzo l’utopia si realizza come opera d’arte linguistica; la vita diventa romanzo attraverso il linguaggio. Il suo compagno di avventura in Paraguay, il già citato Molina y Vedía, conferma la vocazione utopica del romanzo all’inizio del XX secolo: «Pronosticare il nulla di un fatto futuro è generalmente rischioso e prematuro; predirne i diversi elementi e descriverlo nelle sue parti principali è fare un romanzo».

 

Macedonio Fernández dedica la sua vita a scrivere quel romanzo in grado di pronosticare tutte le possibilità: un cammino della prosa verso il futuro, un’opera che si prepara e non si finisce mai di realizzare. Realizzarsi, farsi realtà, infatti, significherebbe perdere la condizione di possibilità e futuro. Per questa ragione il romanzo di Macedonio è quanto di più simile a un’architettura infinita, a una costruzione utopica del linguaggio molto più solida dell’avventura socialista del Paraguay.

 

Due decenni più tardi, verso il 1920, muore Elena de Obieta, sposa di Macedonio Fernández. I quattro figli della coppia sono affidati ad alcuni parenti e Macedonio inizia una vita nomade, itinerante e letteraria tra stanze d’albergo, case di amici, dimore vicino a Buenos Aires, caffè e pasticcerie. In mezzo al dolore e al disordine, giunge il momento dello sviluppo letterario del suo pensiero utopico. Ora non si tratta più di fondare una colonia socialista, ma di costruire una città con la prosa, di fondare un mondo virtuale dove si possa superare la morte e dove siano possibili tutti i romanzi futuri: Museo del romanzo della Eterna 2.

Il Romanzo è una dimora, la casa di campagna in cui abitano i personaggi che ogni mattina si alzano per andare a Buenos Aires. Il Romanzo è un luogo in cui vivere, in cui è possibile annullare il passato, vincere la morte, praticare il presente continuo. Il progetto di costruire un modello di prosa che possa vincere la morte si inserisce all’interno delle utopie linguistiche dei primi decenni del XX secolo, dalla Lettera a Lord Chandos di Hofmannsthal al Finnegans Wake di Joyce, passando, ovviamente, per le nevrosi precise del Tractatus di Wittgenstein. Un sogno di totalità per eliminare il tempo e lo spazio, questo è il progetto del romanzo di Macedonio Fernández; per questo il romanzo, più che romanzo, è preparazione al romanzo, posticipazione dell’inizio, condensazione della trama e costruzione di una struttura formale infinita e concreta: un mondo virtuale, una raccolta di vicissitudini. Sì, quanto di più simile alle finzioni che si scrivono e si moltiplicano nell’eterno labirinto del web, immaginando un autore, presupponendo dei personaggi e una trama semplice: abitare il presente, preparare il futuro. Narrare è cercare di toccare tutte le possibilità, è una caduta nella concretezza della vita e al tempo stesso una salvezza dalla concretezza, attraverso la prosa, per avvicinarla all’infinito. Museo del romanzo della Eterna è la proiezione di quest’utopia sulla prosa, il romanzo che supera tutti i limiti del romanzo e le sue convenzioni di genere. Prosa inclusiva, integratrice di poesia, pensiero e psicologia sperimentale. Mistica e tecnologica. L’Onnipossibilità dell’immaginazione. Troppo XXI secolo nei primi decenni del XX.

 

La macchina della Prosa o la purezza di un genere impuro

La purezza in letteratura ha avuto il suo momento più alto, su entrambi i versanti dell’Atlantico, verso il secondo decennio del secolo scorso. La ricerca della purezza implicava, perlomeno nella letteratura in lingua spagnola, l’eliminazione di tutte le componenti storiche del senso per poter scoprire nelle parole l’unione essenziale con l’essere. Quello che in poesia aveva una solida base filosofica era difficilmente applicabile al romanzo, vale a dire alla prosa del mondo e alla sua tradizione ottocentesca. Il romanzo era lo strumento sbagliato per chi cercava un processo di essenzializzazione delle percezioni; è questa la ragione per cui in quegli anni troviamo così tanti poeti che ripudiano il romanzo. Lo stesso Borges lo considera un genere imperfetto e immaturo e i surrealisti vogliono reinventarlo. Negli anni venti Macedonio Fernández si chiede:

 

“Cosa rimane dunque alla Prosa, tolta la narrativa, la descrizione, i personaggi, le sonorità, le imitative fonetiche, le dottrine o idee […]? Rimane vittorioso l’insipido scarabocchio che si chiama scrittura, che non possiede arte alcuna, totalmente libero da impurità”.

 

La Prosa, o la scrittura, epicentro del pensiero teorico di tutto il XX secolo nei suoi estremi metafisici e antimetafisici, è un’arte della resistenza di fronte alla trama e al realismo. Per chi come Macedonio crede nell’utopia la prosa è, oltretutto, una forma di posticipazione, di ritardo dell’inizio ed eliminazione del finale. Tutto quello che Macedonio deve dire nel romanzo è nel suo farsi, nella soppressione di ogni tempo e spazio estranei alla scrittura. Il romanzo non è la cosa importante, ciò che importa è la possibilità futura di quel romanzo, o quello che la sua immaginazione concepisce come una macchina della prosa che permetta di scrivere futuri romanzi o favorire l’arrivo di un futuro romanzo perfetto.

 

Ricardo Piglia ha utilizzato il tema della macchina per produrre romanzi in quasi tutta la sua opera. Nelle sue pagine troviamo costruttori di città in scala, apparecchi per la visione e la riproduzione, registratori vocali, mondi virtuali della finzione. Nei suoi romanzi e saggi compaiono sempre quei mezzi o marchingegni capaci di costruire universi virtuali del passato e del futuro. Piglia è il narratore della vita e dell’opera di Macedonio; questo lo colloca all’inizio di una tradizione del romanzo moderno.

Nel 1995 Piglia diventa attore e narratore nel film su Macedonio diretto da Andrés di Tella (Macedonio Fernández, regia di Andrés di Tella e sceneggiatura di Ricardo Piglia e Andrés di Tella, 1995), ma già nel 1992 dedica il suo romanzo La ciudad ausente alla macchina del romanzo: «Macedonio non cercava di produrre una replica dell’uomo, ma una macchina per produrre repliche. Il suo obiettivo era annullare la morte e costruire un mondo virtuale».

Fourier e Macedonio Fernández sono, secondo Piglia, inventori clandestini di mondi che guardano allo Stato e al romanzo da una stessa prospettiva virtuale. Nello Stato di Fourier e nel romanzo di Fernández l’opposizione etica tra verità e menzogna dovrebbe essere sostituita da un’opposizione nettamente romanzesca e immaginativa tra possibile e impossibile. In questo modo il romanzo rimane aperto all’universo utopico della prosa quando non si tratta solo di narrare, ma di costruire, come un ingegnere, una macchina per produrre narrazioni. Una tradizione argentina che va dalla riproduzione di Buenos Aires nei racconti e nei romanzi di Roberto Arlt fino all’isola di La invención de Morel 3 di Bioy Casares.

L’esperimento sociale dell’Alto Paraná è parallelo all’esperimento del Museo del romanzo della Eterna. Piglia, seguendo le istruzioni del suo mentore, trasforma in romanzo l’esperimento socialista quando ne La ciudad ausente la macchina narrativa parla di un’isola nell’Alto Paraná, l’isola di Finnegans, dove è stata costruita una società al margine del mondo che ha come libro sacro il Finnegans Wake di James Joyce: «perché possono leggerlo sempre, qualunque sia lo stato della lingua in cui si trovino». Gli abitanti dell’isola hanno il ricordo di «un tempo in cui la lingua era una pianura per la quale si poteva andare senza sorprese».

 

“Rimpiangiamo un linguaggio più primitivo del nostro. Gli avi parlano di un’epoca in cui le parole si estendevano con la serenità della pianura. Era possibile seguire la rotta e vagare per ore senza perdere il senso, perché il linguaggio non si biforcava e si espandeva e si ramificava fino a trasformarsi in questo fiume dove si trovano tutti gli alvei e dove nessuno può vivere, perché nessuno ha patria. L’insonnia è la grande malattia della nazione. Il rumore delle voci è ininterrotto e le sue variazioni risuonano notte e giorno”.

 

Trasformare il romanzo in vita è contemplare la possibilità che la vita sia fatta solo di parole e che esista pertanto la possibilità di eliminare il dolore, la malattia e la morte.

 

Il lettore intermittente

Macedonio Fernández distingue all’interno della sua opera «l’ultimo romanzo brutto», che è Adriana Buenos Aires, un romanzo triste e filosofico su un triangolo amoroso, e «il primo romanzo bello», che è Museo del romanzo della Eterna. Il romanzo brutto è destinato al «lettore ininterrotto», quello che si attende una trama e un epilogo. La storia tratta della relazione tra un quarantenne e una coppia di giovani tra i quali scorre passione, compassione, amore e tenerezza.

Il romanzo «bello», quello che fonderà una nuova tradizione, ha anche bisogno di un nuovo lettore: questi è per Macedonio Fernández il «lettore intermittente». Se buona parte della critica del XX secolo ha optato per l’idea di un’opera letteraria che si crea attraverso le diverse interpretazioni di lettori astuti, colti, o intuitivi, fino a considerare che non esistono opere ma solo letture, l’autore di Museo del romanzo della Eterna non presuppone l’esistenza di un tipo di lettore: ha bisogno, gli è imprescindibile, il tipo di lettura che solo un «lettore intermittente» può compiere. La sua esistenza è conditio sine qua non della macchina utopica della prosa e del futuro romanzo perfetto. Forse è solamente una condizione per non sentirsi solo e ridicolo nel mondo virtuale che sta costruendo, ma ad ogni modo il «lettore intermittente» è importante tanto quanto l’autore o i personaggi. Questa è la ragione per cui il lettore è presente in tutto il romanzo, certamente come un personaggio in più, ma soprattutto come una necessità estetica e metafisica del romanzo.

Un lettore che verrà letto: è questo il vero autore del romanzo utopico, e così ne parla Macedonio Fernández nel prologo che ha per titolo «Andando», dove oltre a definire il romanzesco del suo romanzo fa appello a un lettore fantastico:

 

“Romanzo la cui esistenza fu romanzesca perché tanto annunciata, promessa e abbandonata, e romanzesco sarà il lettore che lo capirà. Tale lettore verrà reso celebre con la qualifica di lettore fantastico. Sarà il mio lettore, molto letto, da tutto il pubblico di lettori” 4.

 

Per Ricardo Piglia, che è il lettore che sta sognando Macedonio Fernández, Museo del romanzo della Eterna inverte la relazione che definisce le grandi teorie di Auerbach, Lukács e Bachtin sul realismo nel romanzo: per lui non si tratta di cercare la realtà nel romanzo ma di cercare il romanzo nella realtà. Un’inversione che, inevitabilmente, conduce all’utopia, all’Onnipossibilità della vita che solo il romanzo può favorire. Sappiamo che Piglia colloca l’origine della tradizione letteraria del Río de la Plata in quel libro in cui si mescolano saperi, forme, generi, stili e linguaggi che è Facundo 5 di Domingo Faustino Sarmiento. Un libro che non solo fonda una tradizione letteraria, ma che fonda uno Stato: la Repubblica Argentina. Questa è la grande tesi di Piglia e l’argomento dei suoi romanzi: lo Stato e il romanzo sono una stessa cosa, possiamo leggere lo Stato come se fosse un romanzo e leggere un romanzo come se fosse uno Stato. In Museo del romanzo della Eterna è centrale la figura del Presidente: un Presidente del romanzo che ha le stesse competenze di un Presidente della Repubblica, entrambi fittizi.

Il lettore di cui ha bisogno Macedonio Fernández, il lettore «intermittente», è una premonizione dell’internauta, del lettore che ha imparato a leggere nei primi anni del XXI secolo e per il quale leggere non è seguire una trama, una concatenazione di avvenimenti e di stati emotivi, ma in grado in qualsiasi momento di trovare una trama nella totalità delle sue letture. Macedonio non rinuncia tuttavia a un senso, non si abbandona al surf cibernetico che cerca stimoli senza fine. Cerca di scuotere la personalità, frastornarla, indurla a uno stato di spossessamento estetico senza rinunciare alla memoria personale e alla possibilità dell’oblio. Le esperienze del lettore fanno parte della costruzione romanzesca, sia sul piano astratto e concettuale che su quello concreto e linguistico. È il lettore a unirsi alla missione utopica del romanzo e a sospettare della finzione utopica dello Stato. Un lettore che verrà letto come costruttore di ciò che è futuro, artefice (e questa è una parola fondamentale nel mondo di Macedonio) della non-realtà.

 

La trama di Museo del romanzo della Eterna (Primo romanzo bello), è una trama senza inizio né fine: venti capitoli, preceduti da più di cinquanta prologhi e seguiti da tre epiloghi. Potremmo considerarlo un romanzo astratto se qualcosa di simile fosse possibile, se nel mondo della prosa ogni astrazione potesse liberarsi dalla concrezione vitale dei personaggi, dalla loro condizione di «ego sperimentali», secondo la celebre definizione di Kundera. Fernández sogna una prosa capace di costruire mondi schematici ma infiniti, come lo spazio nella pittura di Kandinsky o nelle narrazioni del tempo nella cinematografia sperimentale del cineasta spagnolo José Val del Omar, inventore di procedimenti tecnici che avvicinavano il cinema alla mistica: la visione tattile, il suono diafonico o lo straripamento apanoramico. Di nuovo mistica e tecnologia, mistero e tecnica al servizio dell’umano. Così lo definisce in un testo del 1959:

 

“Ai nostri contemporanei tocca concretamente di vivere l’istante della scoperta e dell’applicazione della meccanica automatica ed elettronica: l’istante dell’esplosione elettronica delle comunicazioni umane, l’istante del grande strappo sensoriale dell’Io verso il mio prossimo”.

 

José Val del Omar è cosciente del potenziale che la tecnica visiva avrebbe acquisito nella seconda metà del XX secolo, così come Macedonio sapeva del potere della finzione, e per questo propone un’arte cinematografica che aspiri alla Passione attraverso la tecnica:

 

“Virtù del tecnico sarà mettere in gioco, per il bene, questo complesso strumentale psicofisico delle tecniche attuali, che oggi si prospettano come aggressive e lesive dell’intimo della persona umana”.

 

Curiosamente, troviamo i più diretti precursori del XXI secolo nelle pieghe o zone d’ombra delle avanguardie del XX secolo.

 

Sulla base di un’intensa riflessione sul materiale che dà forma al romanzo, Macedonio Fernández non può lasciare fuori dalla sua prosa il processo di costruzione, il laboratorio intellettuale in cui si produce l’edificio verbale di ogni storia. L’autore è necessariamente un personaggio in più, esterno in quanto artefice, riproduttore, stratega, conoscitore di una tecnica che gli permette di costruire un mondo di parole che aspira ad abolire il tempo e lo spazio. In uno degli epiloghi che chiudono Museo del romanzo della Eterna intitolato «Il romanzo a stadi», Macedonio vede il romanzo del futuro come «una melodia senza musica»:

 

“La scuola artistica che dominerà presto, quando regnerà la massima severità dell’arte, coltiverà unicamente il romanzo a stadi, una sorta di melodia senza musica del succedersi dei vari stadi che traspongono i capitoli, una sorta di metafora di quello che si è sentito in ogni tempo del romanzo” 6.

 

Il futuro, un futuro continuo, è il tempo della prosa di questo argentino quasi inesistente. Il suo Romanzo, una dimora nei dintorni di Buenos Aires, può benissimo essere il luogo in cui vivono la letteratura e i lettori occidentali nei primi decenni di questo «intermittente» XXI secolo.

 

[Traduzione di Daniele Crivellari]

  Bibliografia

Fernández, Macedonio, Museo de la Novela de la Eterna, edición de Fernando Rodríguez de la Fuente, Cátedra, Madrid 1995.

 

Fernández, Macedonio, Adriana Buenos Aires (última novela mala), Península, Barcelona 1998.

 

[Fernández, Macedonio, Museo del romanzo della Eterna (Primo romanzo bello), trad. it. Giovanna Albio, Paola Argento, Martha Canfield, Fabio Rodríguez Amaya, il melangolo, Genova 1992].

 

[García Márquez, Gabriel, Cent’anni di solitudine, trad. it. Enrico Cicogna, Feltrinelli, Milano 2005].

 

Molina y Vedía, Julio, Hacia la vida intensa (sociología subjetiva), Tonini, Buenos Aires 1904.

 

Molina y Vedía, Julio, La Nueva Argentina, edizione dell’autore, Buenos Aires 1929.

 

Piglia, Ricardo, (ed.), Diccionario de la novela de Macedonio Fernández, FCE, Buenos Aires 2000.

 

Piglia, Ricardo,  Crítica y ficción, Anagrama, Barcelona 2001.

 

Piglia, Ricardo,  La ciudad ausente, Anagrama, Barcelona 2003.

 

[Sarmiento, Domingo Faustino, Facundo, o civiltà e barbarie, trad. it. Mario Puccini, UTET, Torino 1953].

 

Val del Omar, José, Dilemma e potenza. Le tecniche di conquista psico-fisiologiche ed il rispetto all’intimità dello spettatore, in XIV Congreso Internacional de la Técnica Cinematográfica, Torino, Settembre 1961.

 

Val del Omar, José, Meca-mística (Idea filosófica motriz de mi técnica de transmisión emotiva de nuestra cultura) [1959], in Gonzalo Sáenz de Buruaga e Mª José Val del Omar (eds.), Val del Omar sin fin, Diputación, Granada 1992.

 

[Questo saggio è tratto da La poesia della prosa, a cura di M. Rizzante, W. Nardon, S. Zangrando, Editrice Università degli Studi di Trento, 2011]

  1.  Gabriel García Márquez, Cent’anni di solitudine, Milano, Feltrinelli, 2005, p. 14 [N. d. T.].  
  2. Macedonio Fernández, Museo del romanzo della Eterna (Primo romanzo bello), Genova, il melangolo, 1992.   
  3. Trad. it. L’invenzione di Morel, Milano, Bompiani, 1966 [N. d. T.].   
  4. Museo del romanzo della Eternacit., p. 38 [N. d. T.].   
  5. Trad. it. Facundo, o civiltà e barbarie, Torino, UTET, 1953 [N. d. T.].   
  6. Museo del romanzo della Eternacit., p. 326 [N. d. T.].