Sulla sonata

Milan Kundera risponde a Massimo Rizzante.

Massimo Rizzante Sebbene i tuoi ultimi tre romanzi, scritti in francese, continuino a esplorare sempre lo stesso cerchio magico dei tuoi temi esistenziali, tu affermi che la loro forma è radicalmente diversa…

 

Milan Kundera Amo dire che i romanzi del mio ciclo ceco sono scritti in forma di sonata, cioè sono composti come una suite di movimenti – nel mio caso sempre sette – che per tono, stile, tempo e tema dominante contrastano moltissimo l’uno con l’altro. Con L’immortalitàho avuto l’impressione di essere giunto all’esaurimento di questa forma e delle sue possibilità.

 

M. R. A proposito, ho sempre sospettato che, all’interno del tuo ciclo ceco, L’immortalitàsia il romanzo che, segretamente, ti è più caro. È così?

 

M. K. Forse. Nell’Immortalità vedo una sintesi di tutto il mio periodo ceco. Dopo averlo terminato, ero convinto che non avrei scritto più nulla. E, in effetti, ho smesso di scrivere romanzi. Quando, sette anni dopo, ho inventato con insolita rapidità La lentezza, per me è stata una vera sorpresa. Ho vissuto quel momento come una rinascita inattesa. Ma la rinascita non è una ripetizione. Quello che mi ha affascinato è che grazie alla Lentezzaho trovato immediatamente un’altra forma. Meglio così: alla novità radicale della forma si era aggiunta la novità della lingua.

 

M. R. Hai definito questa novità formale come il passaggio dalla forma sonata dei romanzi cechi alla forma della fuga

 

M. K. Nella storia della musica la logica è opposta: l’epoca barocca, governata dalla forma della fuga, ha preceduto l’epoca della forma della sonata, che ha dominato l’epoca classicista. Ma Arnold Schönberg, quando crea la sua musica dodecafonica, ritorna al vecchio principio della fuga, cioè, alla composizione, lo cito, dove tutto è «creato da un solo nocciolo», dove «i gruppi di note sono creati in modo da essere insieme accompagnamento e melodia». La fuga, per me, è l’esempio della perfezione formale in tutte le arti; l’esempio di una composizione fatta di un unico blocco indivisibile dove il tema e il suo controtema invece di succedersi sono sempre presenti, in modo quasi simultaneo.

 

M. R. Si può davvero dire che la forma del tuo ciclo francese è radicalmente nuova? La tua frase, ad esempio, con tutta la sua volontà di chiarezza e di precisione, quasi ascetica, così poco simile a quella dei tuoi colleghi francesi, è sempre la stessa di quando componevi il tuo ciclo ceco. Non sarebbe forse più esatto parlare per i tuoi romanzi francesi non di una nuova forma ma di una nuova arte compositiva?

 

M. K. Sì, se vuoi.

 

M. R. Nel 1986, nell’Arte del romanzo, parli di quattro possibilità formali che il romanzo ha davanti a sé e dalle quali sei attratto: il gioco, che organizza la composizione (come un tempo in Sterne e in Diderot); l’intelligenza, che, attraverso le sue riflessioni, estende il campo delle conoscenze che il romanzo può scoprire (come in Musil); l’immaginazione, che ha l’audacia di spingersi al di là della verosimiglianza; infine, il confrontotra diverse epoche storiche nello stesso romanzo…

 

M. K. È vero. Nella Lentezza trovi realizzate tutte e quattro le possibilità formali che hai descritto. Il romanzo comincia come un saggio, con lunghe riflessioni. Ben presto fanno la loro apparizione i personaggi del XVIII secolo e due epoche storiche si incontrano nello stesso scenario. Questo incontro fa sorgere immediatamente uno spazio fantastico; e, infine, la composizione dell’insieme non è determinata dalla logica della story, ma dal principio del gioco, come si trattasse di un enorme scherzo.

 

M. R. La lentezza apre quindi il ciclo francese come una sorta di manifesto. Nei due romanzi seguenti resti sempre fedele alle tue ossessioni formali, ma non lo sarai mai più in modo così integrale. Nell’Identità, ad esempio, rinunci completamente alle riflessioni d’autore – è l’unica volta che lo fai in tutta la tua opera! –, rinunci anche al confronto dei tempi storici e non è affatto il principio del gioco che organizza l’insieme ma, al contrario, la rigorosa logica della story – in nessuno dei tuoi romanzi la storypossiede una logica così rigorosa! –; tutta la tua invenzione si concentra qui sull’inverosimiglianza che, a poco a poco, come una goccia di veleno, intossica le situazioni reali fino a trasformarle in un sogno o in un incubo dal quale non c’è via d’uscita. E L’ignoranza

 

M. K. Non ripeterti. Su quel romanzo hai già scritto un saggio eccellente.

 

M. R. In questo caso, potrei concludere per il momento in questo modo: a causa della loro composizione, i tuoi ultimi libri, La lentezza, L’identità, L’ignoranza, sono una negazione del tuo ciclo precedente, ma, allo stesso tempo, attraverso questa negazione, sono la sintesi di tutta la tua problematica esistenziale, la sintesi di tutte le tue ossessioni formali, la sintesi di tutta la tua opera.

 

(traduzione di Massimo Rizzante)
Questo testo è tratto dal volume
Al di là del genere
, a cura di Massimo Rizzante, Walter Nardon e Stefano Zangrando – Quaderni dell’Università degli studi di Trento – Euro 10,00