Benedetto pessimismo

Benedetto pessimismo

 

Accompagno in giro per la città l’amica scrittrice di sofisticata tormentosità, che stasera presenterà un suo libro recente in un caffè libreria del centro. Si fa presto a finire il giro: cento metri a destra, e la strada si perde in una periferia di nessun interesse; altri cento metri nell’altra direzione, e si finisce in mezzo a campi, a orti abusivi presidiati da bunker di vecchie lamiere. Intanto, conversando, prendiamo qualche accordo sui temi e l’ordine delle domande e delle letture. L’amica scrittrice è scrupolosa, ci tiene a presentare al meglio il suo libro, un romanzo breve di tonalità piuttosto cupa, un piccolo capolavoro di disperazione costantemente monitorata dalla bellezza ariosa dello stile. E anch’io voglio che la presentazione sia limpida, piacevole, intrisa di arguzie e di garbo.

Nel tardo pomeriggio, attendiamo che qualche avventore si unisca ai pochi, ma benedetti, amici che si sono presentati per evitare che l’incontro fallisse. Finalmente, quando ormai stiamo per rassegnarci a raccontare a gente che già sa, e già ha il libro, ecco una signora, piuttosto agée ma di sguardo ancor vigile, si siede, in prima fila addirittura.

Si può cominciare, sussurro all’amica scrittrice.

Non racconterò la presentazione, mi limiterò a dire che fila liscia, che la gestiamo con perizia consumata, giocando con i temi sui quali ci sentiamo vicini, concedendoci anche un paio di lievi schermaglie attorno a punti su cui le nostre opinioni non convergono del tutto, così, come cadeau per gli amici, che infatti sorridono, educatamente, e ricacciano in gola gli sbadigli che, dopo tre quarti d’ora, tendono sempre a manifestarsi. Arriva così il tempo delle domande, che di solito si sbriga in fretta, con due spiritosaggini, prima che il caffè libreria chiuda e non serva più aperitivi. Ma qui la signora agée, finora compunta, immobile, e va’ a sapere se per pietrificazione dinanzi alla lucida narrazione della condizione umana fornita senza alcun alibi dalla mia amica scrittrice, o se per abbiocco occultato dalle spesse lenti affumicate, d’improvviso si agita sulla sua sedia, posa la borsetta voluminosa per liberarsi una mano e alzarla e scuoterla in aria, si schiarisce più volte la voce. Ha una domanda, una domanda vera.

­Ma senta, dice quella che potrebbe essere un’insegnante di liceo in pensione (non la conosco, però, non la conosco proprio), senta, cara, lei si è detta pessimista, però, tutto questo pessimismo…

L’amica scrittrice, alla parola pessimismo, si irrigidisce sempre. Non le piace come suona nella bocca di chi la usa per dare del tristanzuolo agli altri. Non ho mai usato la parola pessimismo, dice infatti.

Però lo è, pessimista.

Non direi.

Non crede in una vita dopo la morte. Dunque è pessimista.

Credo sufficientemente in questa vita. Dunque non sono pessimista.

Lei descrive degli uomini soli, persi in vite più grandi di loro, destinati a una sconfitta.

Nemmeno questo è vero. Io racconto vite, e basta.

La signora agée scuote la testa, con un sorriso che esprime una integrale, paciosa riprovazione: Lei, mia cara, anzi tu, posso darti del tu, vero? Sei ancora così giovane, potrei essere la tua mamma, tu mostri solo il lato triste delle cose, quello più brutto, ma dov’è quello bello?

Lei, scandisce l’amica scrittrice, con voce metallica, lei fraintende le mie intenzioni.

Guarda, cara, io ho più esperienza di te della vita, e la vita è piena di cose belle. Perché non racconti quelle?

Le trovo poco interessanti, replica l’amica, che cerca con lo sguardo il nostro appoggio complice. Ma la signora risponde con un sorriso aperto, vasto, da vincitrice.

Un uomo di mezz’età, entrato da poco senza che lo notassi, e rimasto in piedi dietro una colonna, muove un passo avanti e coglie al balzo: Anch’io ho un’altra domanda! Perché è così pessimista?

Ma non è un’altra domanda, è la stessa!

Guardi, io il libro non l’ho letto, ma stavo ascoltando e ho capito subito che…

Lo incalza la signora agée: Che il finale del libro…

Così privo di speranza…

Così schiacciato a terra, in una dimensione puramente umana…

Umana per non dire bestiale…

Dove sono i valori dell’uomo, dov’è la speranza?

Ecco, sì, la speranza! La Speranza, anzi!

Nemmeno io ho letto il libro, cara, osa un terzo, ma sento che…

Anch’io sento che, attacca un quarto.

Tutto questo pessimismo

Ma se la condizione umana è di implacabile sofferenza, l’arte non dovrebbe consolare?

E invece lei, signorina, è lì che rigira il coltello nella piaga…

Vero, signorina?

Vero, cara?

Vero?

Curiosamente, alla fine quei petulanti ottimisti comprano il libro, e pretendono pure le dediche, che la mia amica scarabocchia di malavoglia – si defilano poi in fretta, perché l’ora della cena qui arriva presto. So che leggeranno il romanzo solo per trovare conferma alle loro impressioni categoriche, e giunti alla fine chiuderanno il volume con trionfante Lo sapevo! Noi, la mia amica e io, intanto, per fare sbollire la tensione dell’incontro, andiamo avanti e indietro, nelle vie già deserte.

Dove sono tutti? chiede lei.

A casa, di fronte ai loro piatti di zuppa, dico io. Qui si mangia in fretta e si va a nanna presto. A proposito, che ne diresti di rientrare?

Ma un suo sguardo maldisposto mi persuade che è il caso di camminare ancora – prima di qua, verso la periferia che il buio sta rendendo mortuaria, poi verso gli orti abusivi, da cui però latrati minacciosi ci costringono a tornare di corsa.

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