A proposito di Zibaldoni

Un articolo di Claudio Morandini dedicato a "Zibaldoni e altre meraviglie" su "Letteratitudine".

di in: Rassegna stampa

SERGIO FERMARIELLO, Guerrieri

Tra le riviste culturali diffuse sul web, Zibaldoni e altre meraviglie ha una storia e delle caratteristiche che ne fanno ancor oggi qualcosa di originale e di difficilmente collocabile. Fondata nel 2002 da Gianluca Virgilio e Enrico De Vivo, che la dirige tuttora, nel corso dei primi anni ha potuto contare su collaboratori come Gianni Celati, Antonio Prete, Rocco Brindisi, Franco Arminio, Paolo Morelli, Mattia Mantovani, Giorgio Messori, e ha partecipato in prima linea al dibattito talvolta acceso sugli spazi concessi alla letteratura e alla critica sul web. Negli anni, Zibaldoni ha continuato ad alimentare il dibattito culturale, da una posizione sempre un po’ defilata (ma non periferica), senza inseguire le mode del momento, anzi insistendo su temi che, per così dire, attraversano i secoli e su cui i classici antichi e moderni hanno detto cose che vale la pena riproporre, chiosare, come se fossero parole di oggi. Ho anzi l’impressione che in molti dei testi pubblicati su Zibaldoni si respiri un certo turbamento dinanzi al presente, o almeno una sospensione del giudizio, e che solo il ricorso allo sguardo lungo dei classici permetta di trovare degli strumenti con cui non perdersi nell’imbarazzante, tragicomico guazzabuglio dell’oggi.
Ai primi collaboratori si sono aggiunti nel frattempo scrittori-studiosi come Walter Nardon, Simona Carretta, Stefano Zangrando, Carlo Cenini, Barbara Fiore, Brunella Antomarini, Giacomo Verri, Francesca Andreini, Giuseppe Dino Baldi e altri: ognuno è titolare di una rubrica in cui esplora tematiche, divaga liberamente attorno a un centro d’attrazione, gioca inanellando variazioni sui temi sentiti da tutta la redazione.
Zibaldoni e altre meraviglie, dicevamo, si tiene lontano dall’attualità a tutti i costi, quella che anima gli inserti culturali dei quotidiani nazionali, si defila dalla “baraonda critica” e dalla “chiacchiera” dei commenti che ingolfano la comunicazione su molte riviste letterarie, dalle “comunicazioni di servizio” e le “autopromozioni” che saturano anche molti spazi culturali sul web. Enrico De Vivo ha definito non a caso questi spazi “un territorio normalizzato e amministrato burocraticamente, dal quale viene spesso la voglia di scappare”, vero paradigma di un’Italia in cui “quello che conta non è il lavoro o le idee di chi scrive e studia, ma il potere che riesce a produrre e a gestire un indirizzo culturale al posto di un altro”.

La scelta del nome, Zibaldoni, rimanda ovviamente al Leopardi prosatore e ricercatore, a quel gigantesco work in progress che è lo Zibaldone, in cui il capriccio e il ghiribizzo condividono gli stessi spazi dell’analisi e dell’esegesi, in cui finito e non finito si compenetrano e si completano: un “luogo di riferimento costante, di interrogazione e di avventura intellettuale”, per citare Antonio Prete. Andrea Cortellessa, già nel 2003, su L’Indice, parlandone come di “una delle più originali riviste di oggi”, poneva Zibaldoni e altre meraviglie sulla “linea dell’indefinibile e dell’incollocabile” che ha “il suo modello (anti-modello, o, meglio, non-modello)” nella lezione leopardiana, “messa a frutto in maniera nuova attraverso il web”. A quel senso della ricerca culturale, inesausto, mai compiaciuto, paziente e impaziente insieme, si ricollega lo spirito con cui De Vivo e gli altri redattori della rivista lavorano perlustrando gli angoli in cui si nascondono, nella letteratura come nella realtà, le cose più interessanti. Anche le collane delle pubblicazioni di e-book che fanno capo a Zibaldoni, e che qui diventano ZiBook, ammiccano a Leopardi: Lontananze si chiama la collana di varia, tra saggistica e narrativa; Ricordanze quella che ripropone il meglio delle prime annate della rivista. “Leopardi resta la guida ideale nelle tenebre avanzanti del web come nella realtà”, ha riconosciuto De Vivo ancora in un’intervista del 2011.
Insomma, lo Zibaldone, inteso come forma e come rivista, vuole essere un “calderone di scrittura” in cui l’autore conserva il proprio materiale, che è ricerca (di stile, ordine, disciplina), è l’incubatore in cui sperimentare varie possibilità, non tanto opera quanto “tensione verso l’opera”: osservazione, ricerca, curiosità, lettura, flânerie, collezionismo, non enciclopedia dunque, ma inesausta messa in gioco, che rischia anche l’errore, l’approssimazione, l’incompiutezza, la sbandata. È un fagocitatore di generi, anti-genere, anti-classificazione. Ha scritto Enrico De Vivo (potete trovare queste citazioni tra le pagine negli ZiBook gratuiti che raccolgono il materiale delle prime annate): “vagabondare alla ricerca di quelle meraviglie che gli uomini hanno disseminato a piene mani, magari senza accorgersene,” “col solo fine di scoprire un sempre nuovo sentimento della vita”; la ragion d’essere “non è nelle teorie, ma nelle meraviglie degli scrittori”. “Non ci si chieda verso dove andiamo, semmai da dove partiamo” si leggeva in una delle prime dichiarazioni d’intenti. E Racconti, studi, pensieri, stupori letterari era il sottotitolo di cui si fregiava Zibaldoni al momento della sua nascita.

Sfogliando (diciamo così) la rivista, si nota subito che molti interventi dei collaboratori di Zibaldoni si incentrano su un’esplorazione di spazi, di luoghi (anche mentali, anche sociali), sullo sforzo di trovare costanti partendo dall’enunciazione o dal racconto di un caso, di un fatto. C’è, in questa tendenza, la dimostrazione di un comune modo di muoversi. Qui la lezione (l’imprinting, se vogliamo) di Gianni Celati si fa sentire, così come si vede allungarsi l’ombra di un altro importante riferimento zibaldoniano da sempre, Robert Walser, anche lui grande camminatore e ricognitore (al quale si sono dedicati in particolare Mattia Mantovani e Marco Ercolani).
E d’altra parte, scorrendo le biografie dei collaboratori vediamo che Barbara Fiore è etnologa, Paolo Morelli scrive libri che raccontano viaggi e vagabondaggi (dell’ultimo, Racconto del fiume Sangro, abbiamo anche parlato qui su Letteratitudine), altri come Massimo Rizzante, Nardon e Zangrando vivono e lavorano in territori di confine, in zone liminali da cui osservare ciò che accade tutt’attorno; e potremmo continuare. In molti casi sono lo sguardo obliquo di chi sta un po’ discosto, la mancanza di frontalità dinanzi ai problemi, la curiosità trasversale a caratterizzare i contributi – anche di quelli dei collaboratori di provenienza universitaria, che in Zibaldoni trovano lo spazio per “giocare” con gli oggetti dei propri interessi senza soggiacere all’intransigenza dello stile accademico.
Finisce per delinearsi, così, all’interno della rivista, il profilo di una “comunità”: “comunità alternativa, cioè… che regoli i suoi rapporti in modo diverso rispetto al modo in cui li regola la società” e che “attraverso un’opera comune contribuisce all’edificazione di qualcosa che infine oltrepassi noi stessi e faccia bene al mondo”.

 

[Questo articolo è stato pubblicato su Letteratitudine il 7 luglio 2015]