C’è verità solo nei fenomeni

di in: Bazar

Un uomo, dopo aver letto più e più volte un romanzo apparso postumo di un grande scrittore francese, si mise in testa che c’è verità solo nei fenomeni e da quel momento in poi osservò le cose del mondo per trovare una conferma della propria convinzione.

Si mise insomma a studiare gli eventi che accadono, nel senso che studiava i fenomeni del mondo e le reazioni morali che gli esseri umani avevano nei confronti dei fenomeni stessi. E siccome la sua idea che c’è verità solo nei fenomeni se la mise in testa in un giorno di pioggia, ecco che cominciò a studiare la pioggia e le reazioni morali che si hanno o si possono avere quando piove. In questo modo, arrivò subito alla conclusione che c’è verità solo nella pioggia che cade e non nelle reazioni degli esseri umani alla pioggia che cade. La pioggia, infatti, come non poté fare a meno di constatare, può essere causa di eventi tragici come inondazioni, incidenti stradali e così via, e in questo senso provoca una reazione morale negativa; ma può anche essere attesa e accolta con grande favore, per esempio dopo un periodo più o meno lungo di siccità, e in questo senso provoca una reazione morale molto positiva. Di conseguenza, l’uomo che si era messo in testa che c’è verità solo nei fenomeni si trovò a dover constatare quanto segue: è vero e indiscutibile solo il fenomeno della pioggia, mentre le reazioni al fenomeno sono contrastanti e contraddittorie e quindi non vere.

Rinforzato nella sua convinzione da questa constatazione, l’uomo che si era messo in testa che c’è verità solo nei fenomeni continuò i suoi studi su altri fenomeni come ad esempio le giornate di sole e di caldo estivo, e constatò ciò che aveva già avuto modo di constatare per la pioggia: la calura solare poteva essere causa di abbronzature e di guarigione di alcune malattie, ma poteva anche provocare siccità, malesseri e perfino decessi. Questo fu, di conseguenza, quanto mise per iscritto nel suo studio sui fenomeni e le reazioni morali degli esseri umani: è vero e indiscutibile solo il fenomeno della calura solare, mentre le reazioni al fenomeno sono contraddittorie e contrastanti e quindi non vere.

Quando poi, sempre più convinto che l’idea che si era messo in testa fosse un’idea vera o meglio con ogni probabilità l’unica idea vera che ci si potesse mettere in testa, lasciò lo studio dei cosiddetti fenomeni naturali per disporsi allo studio dei fenomeni della cosiddetta vita sociale, si trovò di fronte a conferme sempre più chiare dell’idea che si era messo in mente. Studiando infatti i fenomeni della cosiddetta vita sociale notò ad esempio che ciò che è importante per gli uni non lo è affatto per gli altri e viceversa. C’erano fenomeni come i libri e la loro pubblicazione, che a lui interessavano moltissimo e ad altri non interessavano per nulla; come le partite di calcio e più in generale gli eventi sportivi con i loro risultati, che a lui non interessavano per nulla e ad altri interessavano moltissimo; come il far soldi e carriera e vivere in case lussuose con sofisticatissimi sistemi d’allarme, che a lui non interessava per nulla e ad altri interessava moltissimo. Decise dunque di approfondire ulteriormente i suoi studi chiedendosi perché nella cosiddetta vita sociale degli esseri umani c’erano fenomeni che interessavano agli uni e non agli altri e viceversa, ma non trovò risposte. Fece anche viaggi in terre più o meno lontane, ed ebbe il modo e la possibilità di constatare che l’unica risposta alla domanda che si era posto era che non c’erano risposte, nel senso che dappertutto, nella cosiddetta vita sociale degli esseri umani, c’erano fenomeni che provocano reazioni morali contrastanti e contraddittorie e quindi non vere.

Il fatto di trovare dappertutto delle conferme all’idea che si era messo in testa lo rallegrò infinitamente, almeno all’inizio, perché era contento di essersi messo in testa un’idea giusta e forse, anzi, l’unica idea giusta che ci si potesse mettere in testa. Poi, però, man mano che la sua convinzione trovava sempre più conferme, capì che in fondo non è che ci fosse molto da rallegrarsi, perché se l’idea che si era messo in testa era davvero l’unica idea giusta che ci si potesse mettere in testa, allora la vita non aveva alcun significato e di conseguenza non era assolutamente degna di essere vissuta. Lui ad esempio, che aveva sempre pensato che i libri e la loro pubblicazione fossero una cosa importantissima, si accorse e notò con sempre maggiore evidenza che i libri e la loro pubblicazione erano soltanto uno degli infiniti fenomeni del mondo, un fenomeno al quale gli uni reagivano con interesse e gli altri con indifferenza. Ne trasse perciò la conclusione che esiste solo il fenomeno dei libri pubblicati, mentre le reazioni morali a questo fenomeno -sia il suo interesse che l’indifferenza degli altri- erano da considerarsi contrastanti e contraddittorie e quindi non vere.

Ma non solo: più si addentrava nel suo studio, più si trovava nell’obbligo di rendersi conto che anche all’interno di un singolo fenomeno si verificano reazioni morali contrastanti, contraddittorie e quindi non vere. Se rifletteva ad esempio sul fenomeno rappresentato dai libri e dalla loro pubblicazione, ecco che si trovava a constatare quanto segue: c’erano dei libri pubblicati che a lui interessavano moltissimo e che invece agli altri non interessavano affatto, così come c’erano libri pubblicati che agli altri interessavano moltissimo e a lui non interessavano affatto. Questa constatazione gli diede molto da pensare, perché metteva in dubbio l’unica certezza che si era creato nella sua vita. E allora si mise ad andare in giro nelle librerie per guardare attentamente i libri che si trovavano appunto nelle librerie, e si trovò nella necessità di dover constatare che la sua constatazione era vera: c’erano libri pubblicati che a lui interessavano tantissimo e agli altri non interessavano affatto, così come d’altro canto c’erano libri che a lui non interessavano affatto e che invece agli altri interessavano tantissimo. Questa constatazione della sua constatazione lo fece piombare in uno stato di sonnolenza eterna, nel senso che se ne andava in giro come un sonnambulo sempre in cerca di conferme che trovava dappertutto e che lo facevano diventare ancora più sonnambulo. Strano destino, questo, perché di solito, così gli era parso di osservare, gli esseri umani che trovano conferme alle loro constatazioni se ne andavano in giro per il mondo con la sicurezza di chi ha trovato conferme alle proprie constatazioni, mentre a lui accadeva il contrario: più trovava conferme, più gli crescevano dentro le incertezze che lo facevano andare in giro come un sonnambulo.

Ma a questo punto è forse il caso di fare un esempio che può far capire come si trovava a seguito delle conferme alle sue constatazioni. Ecco l’esempio. Una sera si recò ad un avvenimento culturale che per lui aveva o meglio rivestiva una grande importanza e un non meno grande significato. Si trattava della presentazione di un libro pubblicato da uno scrittore che lui riteneva di notevole valore e che aveva già scritto molti libri pubblicati che lui aveva letto con estremo interesse e piacere. La sala dove si teneva la presentazione del libro si trovava non lontana da un grandissimo luogo di cura delle malattie, e proprio a causa di questa vicinanza tra la sala o auditorium dove veniva presentato il libro pubblicato e il grandissimo luogo di cura delle malattie accadde quanto segue. Lui si trovava seduto nella sala gremita di altre persone che come lui erano interessate alla presentazione del libro pubblicato di quell’autore che lui trovava notevole, ma nel mentre l’autore parlava del suo libro pubblicato e spiegava e specificava e puntualizzava e sosteneva e argomentava e sottolineava e precisava e chiariva ecc., si udiva un continuo passaggio di autoambulanze che portavano malati gravi nell’immenso luogo di cura delle malattie. Questa concomitanza di fenomeni rafforzò ulteriormente la sua convinzione che c’è verità solo nei fenomeni, nel senso che erano veri solo il parlare e spiegare e specificare ecc. dell’autore del libro pubblicato e insieme il passaggio delle autoambulanze che portavano malati gravi nell’immenso luogo di cura delle malattie, ma le reazioni morali che si avevano a questi fenomeni erano contrastanti e contraddittorie e quindi non vere, perché a quelli che come lui si trovavano nella sala non importava niente dei malati gravi portati nell’immenso luogo di cura delle malattie, così come ai malati gravi e anche a quelli che li trasportavano in autoambulanza nell’immenso luogo di cura delle malattie non importava niente del libro pubblicato dall’autore che a lui sembrava notevole e che in quel momento parlava e spiegava e specificava ecc..

Un altro esempio del quale vale forse la pena di parlare è poi di nuovo il seguente. Andandosene in giro come un sonnambulo che trova conferme alle proprie constatazioni, gli accadde un giorno di venire a sapere che era programmato un importantissimo incontro di calcio tra due squadre divise da sempre da un’acerrima rivalità. E allora decise di assistere a quell’incontro di calcio e si procurò i biglietti e si recò allo stadio come un sonnambulo che sa che ormai le sue constatazioni potranno trovare solo conferme. E in effetti, assistendo allo svolgersi della partita di calcio, non poté esimersi dal constatare una volta ancora che le sue constatazioni erano assolutamente vere. Nel senso che si può qui di seguito spiegare come segue. Tutti gli intervenuti alla partita di calcio erano interessati al fenomeno della partita di calcio, ma se a realizzare un gol era come ovvio l’una e non l’altra delle due squadre, si verificavano scene di incredibile esultanza da parte dei tifosi o sostenitori dell’una e non dell’altra squadra, mentre i tifosi o sostenitori della squadra che aveva subito il gol si abbandonavano dal canto loro a scene di incredibile disperazione. Da tutto questo, l’uomo che si era messo in testa che c’è verità solo nei fenomeni trovò un’ulteriore conferma del fatto che l’idea che si era messo in testa era davvero un’idea giusta e forse, anzi, l’unica idea giusta che ci si potesse mettere in testa. C’era infatti il fenomeno costituito dalla partita di calcio, e questo fenomeno era vero proprio in quanto fenomeno che accadeva, ma le reazioni che gli interessati al fenomeno avevano nei confronti del fenomeno stesso erano contraddittorie e contrastanti e quindi non vere. Era vero, insomma, solo il fenomeno della partita di calcio. Tutto il resto erano reazioni o parole che davano l’impressione di significare molto ma che in realtà, ad un’analisi più approfondita, non significavano nulla.

Inutile dire che uscì dalla partita di calcio ancora più sonnambulo di prima, perché ormai aveva cominciato a vivere nella certezza che non ci sono certezze. Prese dunque a considerare la vita nel suo insieme, approfondì le proprie ricerche, visitò molti altri luoghi dove avevano luogo fenomeni che davano adito a reazioni contrastanti e contraddittorie e quindi non vere. E dappertutto non trovava che conferme. Dappertutto non trovava che constatazioni.

Si mise poi anche a riflettere sulle parole che sembravano significare molto ma che in realtà, ad un’analisi più approfondita, non significavano nulla. Aveva come l’impressione che le parole vivessero per così dire di una vita propria, indipendente e separata dalla vita degli uomini che le pronunciavano, e che anzi gli uomini che le pronunciavano le sceglievano non tanto per comunicare con gli altri quanto piuttosto per darsi delle arie nei confronti di se stessi. Quando per esempio andava in giro da sonnambulo per le strade della sua città, aveva come l’impressione di capire che le parole che venivano dette non significassero nulla, e che venissero dette solo per darsi delle arie. E questo gli capitava non solo quando ascoltava gli uomini che volevano proprio darsi importanza con le parole che dicevano e di conseguenza le scaricavano sugli altri così come in guerra si scarica l’artiglieria pesante sul nemico che si vuole annientare. Non solo: questo gli capitava ad ogni minima occasione della sua cosiddetta vita quotidiana, nel senso che ogni volta che apriva la bocca per pronunciare delle parole gli sembrava di darsi delle arie. Bastava che dicesse “buongiorno” o “buonasera” o “tutto bene” o altre parole del genere, e subito aveva l’impressione di non essere lui a parlare, ma un altro al suo posto che voleva darsi delle arie. Arrivò perfino a pensare che molto probabilmente erano le parole stesse che si davano delle arie, nel senso che erano le parole a farsi scegliere dagli esseri umani e non gli esseri umani a scegliere le parole con cui comunicare. Ne ricavava di conseguenza un’ulteriore impressione di sonnambulismo e di straniamento, perché allora anche le parole erano forse dei fenomeni che in quanto tali erano veri ma che poi provocavano reazioni contrastanti e contraddittorie e quindi non vere. Se così fosse stato, allora tutti parlavano senza dire niente, perché usavano parole che rimandavano a qualcos’altro che nessuno sapeva cos’era.

Per non parlare poi delle parole che trovava scritte sulle pagine dei giornali che raccontavano ogni giorno gli avvenimenti del mondo. Le parole pronunciate con la bocca, almeno avevano il vantaggio di perdersi nell’aria circostante la bocca di chi le pronunciava. Le parole scritte sulle pagine dei giornali possedevano invece una pesantezza particolare, erano scritte nere su bianco, e un uomo che ad esempio comprava un giornale se le doveva portare con sé tutto il giorno e a volte perfino per settimane intere. Si davano davvero un sacco d’arie, le parole scritte sui giornali, al punto tale che gli sembrava che gli avvenimenti del mondo esistessero soltanto per permettere alle parole che li raccontavano di darsi un sacco d’arie. Ma se poi si interrogava sul reale significato di quelle parole scritte nere su bianco sui giornali, non riusciva a trovare niente di reale e niente di significativo, nel senso che quelle parole -così gli sembrava- esistevano prima del mondo che raccontavano, e dunque non si poteva dire cosa volessero veramente dire, se non che volevano darsi un sacco d’arie e obbligavano quelli che le scrivevano a dire quello che volevano loro, le parole, e non loro, cioè quelli che usavano le parole.

Ma se le cose stavano veramente così, e c’è verità solo nei fenomeni, si disse infine una sera al termine di uno dei suoi lunghi giri da sonnambulo in cerca di constatazioni e conferme delle proprie certezze, allora non è vero niente. Non è vero neanche che sono ancora vivo e non sono ancora morto, si disse. Non è vero neanche quello che sto pensando tra me e me, aggiunse. Non è vero neanche che trovo continuamente conferme e constatazioni delle mie certezze, rifletté.

E cosa dire poi di tutti i libri che aveva letto? Anche loro, in fondo, erano pieni di parole che uno poi portava con sé per tutta la vita. E a cosa servivano quelle parole che uno portava con sé? Per scivolare un po’ meno sprovveduti verso la morte eterna? Per darsi arie scivolando verso la morte eterna?

Accese la televisione, perché voleva in qualche modo togliersi di torno quei pensieri e quelle constatazioni che lo molestavano. Ma certo accendere la televisione non era il modo migliore per togliersi di torno i pensieri molesti. C’erano attori in pose da attori, giornalisti in pose da giornalisti, ballerine in pose da ballerine, calciatori in pose da calciatori, gente che parlava in posa da gente che parlava e così via, tutto come in un grande spettacolo della vita esteriore, che non rimandava a niente se non appunto alla propria esteriorità. Ma dov’è allora la vita interna… si chiese. Non è nella televisione, non è nella cosiddetta vita quotidiana, non è nelle parole che si dicono e nemmeno in quelle che si leggono, perché quelle pensano solo a darsi arie e non dicono niente. Dov’è allora la vita interna? C’è verità solo nei fenomeni, d’accordo, ma dov’è questa verità? Nel sonno, pensò. Certo, nel sonno. Ma anche nel sonno, pensò subito dopo, si vedono immagini e si dicono e si ascoltano parole, e allora anche nel sonno ci si danno arie e ci si mette nella posa di quello che dorme. E la morte eterna, allora? Se la immaginò come uno stato perfetto, una felicità assoluta senza desideri, perché i morti nelle tombe o dispersi come cenere nell’aria non avevano più parole da pronunciare per darsi delle arie, non avevano più fenomeni ai quali reagire. Erano, ecco tutto. Era forse quella la verità?

Impossibile dirlo. L’unica cosa che si può dire è che quella sera, come ogni sera, andò a letto e si addormentò. Poi, il mattino dopo, i rumori e la luce del giorno tentarono di svegliarlo.