La scrittura nel dietroscena
Tre percorsi tra le Note azzurre di Carlo Dossi

di in: Bazar

Non è un caso che Dossi pensasse di sottotitolare le sue Note azzurre – un libro giunto a noi in forma di scartafaccio di fogli e cartigli distribuiti in 14 cartelline azzurre (da cui il nome dell’opera): “dietroscena dei miei libri”. Le Note azzurre sono, infatti, un libro “secondario”, perché scritto senza alcun obiettivo letterario particolare o esplicito, ma soltanto per dar fondo a una vena e per dar corso a un flusso di scrittura, che altrimenti – ossia in una generica opera, o in un’opera di un certo genere – non avrebbero mai potuto trovare espressione adeguata. Questa vena, o flusso di scrittura, è caratteristica di tutti quei testi che solitamente definiamo “zibaldoni”: opere aperte in cui vale una sorta di sospensione di tutte le regole dei generi, mentre scattano, allo stesso tempo, una iperattivazione della riflessione critica e una esaltazione dell’estemporaneità del gesto dello scrivere e del leggere, che si riversano avidamente in ogni direzione, verso ogni sollecitazione o illuminazione che possa essere utile semplicemente a far continuare la vena a fluire.

Ecco perché l’immagine del dietroscena è un’immagine efficace, in ogni senso: sia allegorico (perché quello che conta è la rapidità del pensiero che annota o legge in ogni dove, non la scena dell’opera che pensa a se stessa), che temporale (l'”opera”, se mai verrà, verrà dopo, in un “secondo” momento, e magari sarà addirittura “opera altrui”, curata da altri, e così via).

Annota giustamente Dante Isella: “Queste Note azzurre sono, innanzitutto e particolarmente agli inizi, il taccuino di lettura di uno scrittore”. Sono, come dicevamo, uno zibaldone. Lo zibaldone, infatti, più che un'”opera”, è un taccuino di lettura, godibile e leggero proprio perché non si è (ancora) fatto “opera”, non ha pensato o non ha avuto il tempo di farsi “opera”, e sopravvive fino a noi solo come un gesto del pensiero, risultando spesso più meraviglioso e stupefacente dell’opera stessa. D’altronde è risaputo che nei dietroscena avvengono cose turche, tutte da immaginarsi…

Le Note azzurre di Dossi sono utili anche per mostrare come spesso la scrittura tragga origine all’incrocio con una lettura, e viceversa. A questo proposito, si pensi a tutte le altre definizioni che Dossi pensava di mettere in epigrafe alle Note azzurre, definizioni altrettanto fantastiche e illuminanti, ma altresì esemplari di un metodo di lavoro in cui si intrecciano il proprio (la lettura) e l’altrui (la scrittura), spesso senza badare troppo alle differenze, in un processo unico e unificato di scrittura-lettura: “Selva – di pensieri miei e d’altrui/In seme – in fiore – in frutto/ Lazzaretto dove il D. tiene in quarantena i propri e i pensieri altrui/ Cervello di carta, aperto in sussidio/ Dell’altro già zeppo/ Granai di riserva per le probabili carestie”. In molti scritti di natura zibaldoniana son presenti e rintracciabili, anche piuttosto frequentemente, osservazioni e appunti vari che contengono riflessioni sulla forma stessa in cui chi scrive si sta cimentando, osservazioni e appunti che trattano insomma esplicitamente dello scrivere e del leggere in una certa maniera impensata e improvvisa caratteristica degli zibaldoni o dei taccuini di appunti. Anche le Note azzurre non sfuggono a questa regola, e contengono frammenti del genere, utili altresì a far comprendere come ilmomento dell’opera, in uno zibaldone, è davvero secondario.

Ho scelto allora, per dare un’idea del tipo di scrittura di Dossi, tre percorsi, ovvero tre tipi di frammenti o serie di appunti. Un po’ come avviene nello Zibaldone leopardiano, così in tutti i testi di questo tipo, di solito, è possibile rintracciare sottottemi, indici, linee specifiche di riflessione, leggibili autonomamente se estrapolati o messi in evidenza.

I tre tipi di frammenti che ho scelto tra le Note azzurre sono dunque:

– quelli che riguardano il leggere e lo scrivere, ovverosia, il leggere e lo scrivere precipui dell’autore;

– alcune note curiose e sapide e variegate, che alludono all’illuminazione del pensiero, all’attimo che lo scrittore coglie con felicità e leggerezza (la scelta è limitata alle prime duemila note, per il motivo suggerito da Isella, secondo il quale nelle Note azzurre soprattutto agli inizi si sente la forza particolare della scrittura);

– una serie di annotazioni a volte “in seme”, a volte “in fiore”, a volte “in frutto”, che costituiscono il laboratorio linguistico di Dossi; trattasi per lo più di appunti sulle etimologie intrecciate di parole italiane, latine, greche, germaniche, dialettali, etc.

Dossi era appassionato archeologo, e secondo me raccoglieva le Note azzurre proprio con un gusto archeologico, che lo portava a essere molto attento al lampo che emanano piccole frasi sepolte, infimi racconti dimenticati o minime scaglie di pensiero fossilizzato, capaci di alludere inaspettatamente a qualche perduta cattedrale o a una misteriosa tomba.

P.S.: I numeri in grassetto sono quelli delle note nel manoscritto originale di Dossi.

Edv

*

 I. Leggere e scrivere

520. L’uomo che sa leggere parla cogli assenti, e si mantiene in vita gli estinti. Egli è in comunicazione con l’universo – non conosce la noja – viaggia – s’illude. Ma chi legge e non sa scrivere è un muto.

760. Il gran Milton è da leggersi la domenica, tra il profumo degli incensi, e le armonie dell’organo.

1381. I difetti in Dante, in Manzoni e altrettali, sono le macchie del Sole. A volerle studiare ci si perde la vista. Uno studio curioso potrebbe essere quello – Le meraviglie nei difetti de’ Sommi.

1427. Il chiaro-di-luna della malinconia feconda i pensieri.

1588. A me piacciono i libri gravidi di pensieri, perché dal leggerli passo insensibilmente a pensare per conto mio. Li paragonerei ai succialatte che avviano i capezzoli restii.

1589. Il meditare da solo è onanismo – il pensare con altri (conversare) è coito.

1591. La rima a Giusti era suggeritrice d’idee.

1616. Pochi sanno leggere bene dentro di loro, pochissimi a voce alta. Per quanti accenti metti sulle parole tue – c’è un accento che vale più di tutti e non si può segnare, l’accento dell’affetto.

1622. La semplicità stessa rado è che non sia artificiosa. Talvolta è il sommo dell’arte (Dionigi). – Colla scienza si arriva alla primitiva semplicità – La difficile facilità di Manzoni e Rovani – Si ha da persuadere più con la scelta che non con la copia (Tommaseo).

1719. Dossi, quando scrive, fa salti mortali sullo stesso posto.

1783. La gazzetta o libro quotidiano recò danno al libro perpetuo, come ne avea già arrecato il libro annuale ossia l’almanacco – abituando gli scrittori allo scrivere affrettato quindi scorretto, e i lettori alla troppa facilità, che di rado va unita alla profondità o acutezza di pensiero. Al giornale si deve la perdita dell’originalità nello stile; e la moderna incolorità della lingua.

1784. Imitate gli antichi sommi – mi dicono. “Li imito bene” – rispondo. La virtù principale in que’ sommi è la originalità: è l’avere trovate nella letteratura e nella filosofia cose non viste dai loro antecessori. Ed io cerco di fare come essi. Li imito davvero, non imitandoli.

1786. Qualcuno si lamenta che molti artistici geni non abbian potuto studiare.Fu ‘na fortuna. Guai se di tempo in tempo non sorgesse qualche artista come lo Shakespear, dall’anima affatto fresca – affatto libera dagli impedimenti della scuola. Il progresso camminerebbe assai più lentamente.

1913. Oggidì, per maladizione della Scienza, gli artisti non possono più fare come il Deus li inspira, ma fanno come la critica vuole – atteggiano cioè i loro studi a quell’indirizzo che s’hanno dato ad intendere per l’indirizzo dei tempi. In altre parole, sanno troppo la gramatica per poter scrivere bene. –

1975. Io nei libri cerco sempre il loro autore. – Si osservi in un lavoro di Arte se l’anima del suo autore è completa. Può mancare l’ultima mano in un lavoro d’autore d’ingegno completo: mancherà sempre per quanto apparentemente finito, in autore d’ingegno incompleto. –

2216. Importa alla fama di uno scrittore scrivere bene e non molto. Chi non conosce il volume di Omero? chi conosce le quattro migliaja di Didimo?

2370. A scrivere io soffro. Ogni linea è per me un dolore. A chi è condannato a molto pensare, Dio avrebbe dovuto concedere, per lo meno, un paio di cervelli indipendenti fra loro, come concesse un pajo di braccia, affinché l’uno potesse lavorare durante il riposo dell’altro. Così, invece, bisogna soggiacere agli stupori mentali prodotti dal rilasciarsi dei nervi: così, bisogna aspettare il riflusso delle idee, come l’onda del mare. – La più parte degli scrittori hanno le parole e non i pensieri: io con i pensieri non ho la parola.

2379. Molta è la differenza tra i libri creati all’aria aperta, e quelli costruiti in uno studio. E come la si capisce! I primi sanno di fresco; gli altri sentono il chiuso, la muffa. Bisogna sempre alternare lo studiare al produrre. Producendo senza studiare, cioè senza versarci in corpo materia prima, andiamo a rischio di esaurirci: studiando troppo, senza produrre rischiamo invece di crepare d’indigestione e soffocamento. – Fin quì, il Dossi nello scrivere un libro, non ha ancora smesso il pericolosissimo vizio di consigliarsi a chi ha già scritto in proposito. Eppure il Dossi si accorge di avere testa bastante a scriverne uno da solo. Gli è come colui che s’appoggia a un bastone, malfidente di gambe che pur sono salde. Getti dunque il bastone!Per esso le gambe buone potrebbero affievolirsi.

3258. Non si può scrivere con fedeltà del presente, ma solo del passato o del futuro. – S’imaginano le grandi opere letterarie o in momenti di somma gioia o di sommo dolore: si scrivono nella calma.

3564. Nello scrivere un libro sono due stadi – il primo di porre, l’altro di torre. La giudiziosa amputazione delle idee, val spesso più del suo contrario.- Il non pensiero od il mezzo sono non rado i migliori – L’imaginazione fresca, e l’imaginazione riscaldata. Quella, all’apparire di un tema, ne vede tosto lo sviluppo, la forma, e lo foggia a ferro caldo. – Questa, abbozza lo sviluppo, poi, dopo un prudente intervallo, ne cerca la forma. La prima imag[inazione] può usarsi nei lavori di piccolissima mole, all’altra bisogna ubbidire in quelli di lunga in cui occorre di aver sott’occhi tutto il lavoro innanzi foggiarlo nelle varie sue parti. Dalla imag[inazione] fresca abbiamo però le impressioni forti; dalla riscaldata le fini.

3619. Scrivo troppo male per scrivere a te – dicevami la mia A. Ed io: t’amo troppo, per ricordarmi, leggendo le lettere tue, che c’è una sintassi e una ortografia.

3686. Penso, scrivo, lavoro dì e notte senza riposo, perchè c’è la pazzia alla porta che attende ad entrare, e a farmi pagare il mio conto, non appena mi fermi – Vigila semper!

4003. Della vita intellettuale e della fisica. Sono al balcone – mi sento squilibratissimo. (!) Vedo in giardino il Porro, aitante della persona, tutto salute ecc. Invidio alla sua vita. Penso e confronto la vita infelice dei nervi e quella felice dei muscoli. Entro, seguendo il mio destino, nello studio, sconfortato e piangendo. Mi metto a leggere, poi a scrivere. A poco a poco mi si compone la cerebrale congestione del genio, e l’entusiasmo conflagra. Capisco allora quanto le gioje intellettuali vincano le altre, e dico, pensando al P.: egli non avrà mai questa divina voluttà.

4031. Meno si sa scrivere e più si scrive. Chi non sa, ad es., d’ortografia mette in ogni parola che scrive più lettere che può; e così chi non sa di letteratura impiega, ad ogni pensiero, più che può parole.

4457. Bisogna pure saper scrivere bene, per scrivere male come sa il Dossi.

4578. Io peno più assai a scrivere una minuta di ufficio di poche righe male, che una pagina letteraria bene. Anche per scrivere male ci vuole la sua brava fatica, i suoi appositi studi – starei per dire, il suo genio. Non è cosa da tutti. E’ indicibile spasimo a me, sempre in cerca di nuove e belle frasi, doverne continuamente scartare appunto perchè e belle e nuove – sostituendole con altre, vecchie, scriteriate, sconclusionate. E naturalmente le mie minute sono sempre cancellate e corrette dai capi sezione e divisione, i Manzoni e i Danti dello scrivere idiota. – (gennaio 78) Rientro al Ministero – rivedo i vecchi compagni; molti capelli grigi ecc. Che hanno mai fatto in questi cinque anni? Sempre la stessa cosa, la stessa sciocchissima cosa. Io almeno diedi alle lettere – un Regno de’ Cieli – de’ Ritratti umani e una Colonia Felice.

4981. Tento di usufruire gli accessi congestizi al capo, che certamente sono di pazzia, a scopi letterari e scrivo. La ejaculazione del pensiero mi calma.

II. Curiosità

48. Il conte Carena avea usato di alcuni preparati di Mercurio. A un tratto s’imaginò di essersene immagazinato nel corpo una gran quantità. Tripilla sempre. Cerca ogni modo per farsi estrarre il mercurio ch’egli crede di contenere – vuol bagni di elettricità – piglia joduro. E da dodici anni è perseguitato da una simile imaginazione.

61. Tale applicò 4 usci alle quattro pareti dell’unica sua camera, perché altri credesse ch’egli abitava un appartamento.

64. Un principe Belgiojoso, cieco, non volea confessare questo suo difetto, anzi cercava d’illuder sé stesso di non averlo. E però aveva dato ordine a un suo servo, quando qualche signora gli veniva a far visita, di correrle incontro, e poi di correre tosto da lui a descrivergli l’abito, l’acconciatura ecc. di detta signora. Alla quale entrando, egli p. es. dicea …Oh marchesa, che bella toilette… quel rosso vi sta a meraviglia ecc.

105. Si sotteravano i morti sul campo, la notte della battaglia. Gridavano alcuni feriti ai becchini…Per carità… noi non siamo che feriti – E i seppellitori ghignando – a darvi ascolto, nessuno di voi sarebbe morto – e giù nella fossa.

318 a). Corbetta, si distingue per valore a Custoza; Leopoldo Pullé, si distingue colle sue commedie sui teatri, Raimondo Boucheron è autore di una insigne opera sulla Armonia, e tutti e tre sono fatti cavalieri della Corona d’Italia, i due primi per aver appartenuto un anno al Comitato del Carnevalone, l’ultimo per esser socio di una certa academia: il che vuol dire che in Italia quando si vuole dar premi a chi ne merita, si cerca almeno di non premiarne il merito. Ricorda pur Verdi fatto senatore del Regno pel titolo di pagare 3000 lire d’imposte!!!

337. Nel “De tranquillitate animi” Seneca dopo aver insegnato bellissime cose per mantenerla, conchiude con un elogio alla felicità che si trova nel vino.

339. Dice S. Agostino, il gran freddurista, di credere l’impossibile, appunto perché impossibile.

341. Una lettera della Ballerina Carmine a Rovani finiva “e se non mi comprendi, indovinami!”

376. Tale entra in una chiesa, dove si stava preparando lo scurolo per il venerdì santo, e soprapensieri chiede: che c’è? – L’è mort noster Signor – risponde una vecchietta. – Mort? – fa egli – comè? se saveva nanca ch’el fuss ammalaa.

377. Il prof. di litografia, credo, Tanola, diceva non bastare tutta la vita di uomo per imparare a far bene la punta ad una matita.

387. Camerini non riuscì mai a fare un libro, ma sempre prefazioni. Gli stessi suoi cosidetti libri non sono che prefazioni… Così è di Beethoven, che metteva tutta la sua musicale stoffa nelle sinfonie, tanto da non restargli più nulla per l’opera.

486. Cesare Cantù è un letterario ciabattino. Forbice e colla, ecco il suo stile.

496. Un certo pittore faceva il ritratto a una gran dama – gli cade il pennello – si sbassa a riprenderlo – ma nella fretta e nello sforzo gli sfugge un peto. E resta colla testa abbassata, e non l’ha ancor da levare.

497. Tale milanese, parlando dei francesi, diceva “i scarp hi cìamen bott (bottes) – i bott hi ciamen coo (coups) – i coo hi ciamen tett (têtes) – e i tett, tetton (tétons) – oh che parlà de cojon!”

498. Dice T. Cremona che pitturando paesaggi gli vien voglia di pisciare.

512. In una sala del cappellano imperiale della corte austriaca a Milano si raccoglievano ogni sera dieci o 12 amantissimi della musica classica – e lì sonavano le più serene melodie della Germania e dell’Italia. Tra gli altri, sonava egregiamente il violino un consigliere di Stato – il quale, deposto l’archetto, pigliava la penna a firmare, colla più grande fermezza – le sentenze di morte dei facinorosi italiani. – E poi si dice: music, the food of love.

571. Correnti – dice la Perseveranza – rifiutò jeri di far parte della commissione tale, appartenendo già a 22 altre. (!) Questo tratto di delicatezza ecc…. Domando io se non sono da impiccare e Correnti e l’autore dell’articolo laudativo.

574. Raramente s’è dato un ciarlatano più spudorato del professore * dell’Università di ** – in cui la impudenza tenea luogo di scienza – Fu lui che riuscì a fare 16 lezioni sull’elettricità, quando l’elettricità come scienza era ancora bambina – con brillantissimi discorsi che nulla dicevano – fu lui, che s’incaricò di mostrare il gabinetto di anatomia all’imperatore Ferdinando, dicendo imperturbabilmente i più madornali spropositi, mentre l’egregio Panizza diventava di tutti i colori – fu lui che si mangiava annualmente la dote del gabinetto di fisica… in conseguenza di che, scopertasi la cosa, dovette per evitar la prigione, uccidersi. – *, qualunque cosa gli si fosse dimandata, rispondeva – e non all’ingrosso – ma nel più minuto dei modi insufficienti.

595. L’affamato pittore Lazzari va sempre a trovare gli amici sulla fine del pranzo, e pulisce la tavola dalla mollica di pane, vuota se può il mastelletto della senape e l’ampollino ecc. Lodiamo la sua delicatezza di non andarci in principio.

633. Il De-officiis, si trovò in pescaria: parte della seconda decade di T. Livio in una sacchetta.

634. Quando il carnefice, mostrando la testa tagliata di Maria Stuarda, gridò: dio salvi la regina! – la testa gli sfuggì dalla mano. Maria era grigia – e coperta di treccie finte.

638. A Roma si usò spesso, per economia, quando il Senato per es. ordinava che in ogni municipio si erigesse una statua al tale o tal altro – di adoperarne una già scolpita, cambiandovi il nome sul plinto – oppure la testa sulle spalle. – Si usarono pure per le statue delle imperatrici coquettes pettinature mobili di marmo, affine di tenerle sempre pettinate all’ultima moda.

762. Tra le imprecazioni genovesi, si trova “che tu possa inghiottire un paraqua chiuso e cacarlo aperto – Che il mare gonfi tanto da cacciare i pesci nel culo del padre eterno – Che possano cader dal cielo in una botte tutti i santi con Gesù Cristo per tappo”.

793. Di Franck medico, che impiegò tutti i suoi guadagnati averi per erigersi un monumento funebre colossale (sul lago di Como), può dirsi che “restituì al cimitero quanto il cimitero gli diede”.

1127. A Napoli, si trovano ancora persone che osano dirvi: Eccellenza, comandate un abatino? comandate un canonico?… Cavaliere, volete un testimonio falso? (1870).

1345. A Lugano chi cavava i denti era il boja.

1346. Pochi sono i maestri che nei loro discorsi, anche fuori di scuola, non usino ripetere due o tre volte le stesse idee con diverse parole.

1348. Tale vanissimo letterato, passeggiando per la città, si vede adosso gli occhi di tutti, e lusingato, già gusta il reddito della celebrità. Ma, a casa tornato, e volto un ammiratore sguardo allo specchio, si accorge che lo guardavano tutti… per la sbottonata brachetta.

1694. Ecco l’origine dell’uso di esporre le scarpe sulle finestre, la sera dell’Epifania, uso tradizionale nei bimbi. E’ certo che i signori Re magi, per venire da noi, hanno fatto un lunghissimo viaggio – e i viaggi sciupano le scarpe – quindi, è pur certo, che la migliore offerta che noi possiamo far loro, allorché passano da casa nostra, sia quella,… delle scarpe. Essi poi gentilmente contracambiano l’offerta con qualche loro mercanzietta, dolci, giochi ecc…. e di ciò i bimbi li ringraziano cordialmente.

1736. Arlecchino diceva allo spaccalegna: “senti, facciamo metà fatica per uno – tu segherai ed io ad ogni colpo farò l'”aah!”.

1766. La vera letteratura dell’ultimo popolo è quella dei muri. – Le taverne a Pompei, i cessi da noi ce ne offrono pagine eloquentissime. Resta ancora a scriversi un libro intitolato “Storia della letteratura sui muri” – Il muro è la publicità che si sottrasse sempre alla censura – è là dove fu consegnata la pura opinione popolare ecc.

1792. Una gran parte degli uomini, due o tre anni prima di morire, è colpita dall’estromania terribile malattia priapica – e ciò spec. in quell’epoca della vita che è detta “l’estate di S. Martino”. Altra malattia, indizio di una prossima fine e che si manifesta nell’ultima parte della vecchiaja è la copromania, ossia smania cacatoria.

1819. Nell’educazione dei nostri vecchi c’era il bel uso di chiudere per qualche ora i figli disobedienti nel cesso, che allora non era all’inglese, e neanche alla mezza inglese. Questi poveri bimbi si tiravano poi fuori quasi asfissiati, e i parenti, perdonando loro, li riamettevano in sala e al loro bacio, puzzolentissimi.

1869. Salomone chiese a Dio la sapienza – e Dio, fìlosoficamente, gli diede l’oro.

III. Etimologie

3. strigosus (Gellius) = magro, il nostro milanese “striaa” da strix, strige (strega) vampiro succhiasangue.

7. Aurum in Gallia effutisti (Svetonio) – scialaquasti, il nostro mil. te mandaa a fass fôtt.

14. Degno di nota come la più parte dei filosofi, essendo in fondo del medesimo parere sul bene e sul male, non s’accordassero mai per l’incertezza del significato delle parole da essi usato.

21. Se oggidì si scrivesse secondo la stretta etimologia oppure si leggesse, nessuno capirebbe più nulla; tanto le parole si dipartirono dal loro primo razionale significato.

22. solarium = solajo, la parte più alta della casa, perchè anticamente – in cima alla casa, si costruivano terrazze per i bagni di sole.

24. Utilissime nelle lingue sono le parole che esprimono idee generali; che non sviano quindi nelle descrizioni la fantasia del lettore – com’è p. es. di obices, cose che si oppongono.

100. Testes, testicoli, perché testimoniano la virilità. Priapo, dio degli orti, perché stava testimonio dei furti – ofen, ted., forno – offella, offa.

116. àrta krìthina = pani d’orzo, grissini (pare) – tapeinòs, tapino – uperétes, ministro, servo, prete – kraipàle, ingordigia, crapula.

127. Pàppas, pappa – voce famigliare del figlio verso il padre.

139. Gonna, gown – abbigliamento da donna – forse da gyné. – E difatti l’abbigliamento è la donna.

144. dàmar, moglie, dama – càminos, fornace, camino – barýs, faticoso, pesante – bara (milanese).

146. hesternum diem, gestern, yesterday.

164. Borrare, tremare pel freddo da borràs vento di tramontana – excreare, cracher, sputare.

221. Caritas vuol dire anche carestia – ogni cosa rara ha prezzo, è cara.

261. pan – tutto – il pane è appunto tutto – edoné, gioia, felicità, ecc. – CF. dono – traghémata, dolci, treggea – Nilo (nihil) il nostro filo – nulla. – panatuneìa, festa solenne in onor di Minerva. Vi si sarà mangiato qualche torta. Vedi panettone.

272. thaumàzo, mi maraviglio, to amaze, meravigliare – sòma, il corpo, soma (peso) – chithàra, ghitarra – òlos, tutto, all (ingl. pronuncia oll), all (ted.) – esthlòs, edel – esthìo, essen – kaléo, to call –

273. kahl, cal-vo – roh, ro-zzo – toll, c-oll-erico – satt, sta-is, sat (mil.) – rund, ro-to-ndo, ronde (franc.) – fahl, fallo –

274. Oi apò skenés, modo di dire simile al milanese, quii del teater, quel della birra, quii del fer rott ecc.

278. L’uso di sincopar le parole sì in latino che in italiano – matus, per madefactus (CF. matella, orinale) – compro, per comprato etc. – Il Portogh. è spagnolo sincopato.

283. haematites, pietra di color sanguigno, donde la nostra matita (lapis, pietra) – Così rubrica dicevasi antic. l’indice, perchè scritto in rosso – Monile, braccialetto, da monere, rammentare – l’odierno souvenir. – camella, gamella (scodella, voce mil.) – carpere somnum, carpià (milanese) – dicta facit, detto fatto –

312 a). cuculo in Plauto anche adultero – forse da cucullus, cappuccio col quale l’adultero si copriva il capo per recarsi dalla moglie infedele – Cuculo si dice ora al marito.

430. L’idea del moderno cappello a cilindro può essere stata tolta dal modius (moggio) che tiene in capo Giove Serapide.

431. bajulus, facchino che porta pesi – CF. baule, cassa contenente roba.

432. brabeum, premio che si dava ai vincitori nei giochi pubblici. CF. il nostro grido di bravo! ai vincitori, attori ecc.

440. Le alberelle, specie di salici, non da albero, ma da albus, bianco. Latinamente, si dicevano albae… quos pumiliones dicimus graece nànous appellant (Gellio).

563. Naseweis, saputello. CF. Dante (Parad.), nasetto, nello stesso senso.

567. home, heim, casa – heimlich = segreto – pokal, pecchero, boccale.

679. poneròs, malvagio – povero (milanese pover) misero qual filosofico rapporto!

687. etaìron, compagno, quasi éteron, altro. – lubrica testa (Ovidio) = slitta.

698. schoìnos, giunco – scoin (milanese) scopino – kóre, fanciulla, e pupilla dell’occhio, niña (spagn.) id.

715. querer (spagn.) amare, l’antico ital. cherere. – quaerere, cercare.

758. core (ingl.), gheriglio, quasi cuore, interiore – mil. cucurucu.

823. charà, allegrezza, cara (milanese) nell’escl. oh cara! (oh gioja!) – dokeì moi, daucht mir, mi sembra – flegma, infiammazione, (in it. flemma, l’opposto) – babàlion, cana Balia -.

825. fìltra = amores – chi dice dunque filtri amatori, dice amori amatori.

921. skòmma – poene dixerim morsum figuratum, scocch (milanese) V. Macrobio L. VII. III dove parla anche delle loidorìa, quibus nec vocabula Latina repperio etc. – Sunt alia scommata minus aspera quasi edentatae beluae morsus.

923. uri Gallica vox et qua feri boves significantur. CF. il cantone d’Uri, svizzero, che porta per arme la testa di un bue selvatico (id.).

927. baiòs, piccolo, basso – bajo (spagnolo).

932. Lethum, mors apò tes léthes, hoc est ab oblivione dictum. Alii per antiphrasim dictum putant ab adiectivo laetus, quod minime sit laetum, sed omnium rerum tristissimum. (!!) – (La stessa ragione per cui alcuni dottissimi etimologisti fanno derivare lucus, bosco sacro, da lux,-cis – appunto per non potervi penetrare la luce!).

977. morosi amantes – fantastici amanti (Cicerone) – i nostri moros. – domum, home – Intyba, indivia – cichoreum.

1008. ebriosa acina (Cat.) – hesternus dies, yesterday – cerasus, scires (mil.) – mea Pila est (Plauto), ho la palla in mano.
1018. victricesque moras Fabii (Propertius) – hic nulla puella, il n’y a plus d’enfant – pallium tuum, paltò

1039. Potniades, cavalli di Potnia, poney? – mo, per ora dal latino modo.

1040. tibi ducitur uxor – sparge, marite, nuces (Virg.?) – CF. nuces e nozze – pan e nos mangià de spos (mil.) – La noce emblema, dicono, della copula stendendo il guscio il velo sull’interno mistero. Io troverei invece questo emblema nella necessità di rompere il guscio per arrivare al dolce frutto.

1071. A proposito dei pedanti che trovarono da dire su Manzoni che aveva usato nei suoi “Promessi” lo per ciò – V. Dante Purg. XI v. 141… Faranno sì che tu potrai chiosarlo, cioè chiosare ciò. – La pedanteria è figlia dell’ignoranza.

1081 b). (V. 1071) Ai pedanti che non vogliono moderno ma odierno, si possono
citare i due versi di Dante, che è la nostra prima autorità in fatto (i pedanti direbbero in atto) di lingua. “Per modo tutto fuor del moderno uso” (Purg. C. XVI, v. 42)… “Che quanto durerà l’uso moderno” (Purg. XXVI, v. 113) – cunta (Dante) per indugio, da cunctari – cuntee (milanese) – coto, pensiero. CF. con coito e trova i rapporti tra la generazione degli uomini e delle idee.

1126. La parola capriole (capriola) fu inventata da Mad.lle le Fevre, valorosa grecista, nel tradurre Aristofane (V. 1339) – La parola ferrovia venne trovata dal Prof.re Luigi Sailer (almeno a quanto mi fu assicurato).

1242. pupum – puerum, popô (mil.) – to ènteron, le interiora, venter – psolùs mentula carentes, s’cioli – Stultissima sunt haec et ad quae ridenda, non unus sufficit Democritus (Erasmo) – paidopoieìn coitare, fa i piscinitt (mil.) – l’ineffabile, l’incomprensibile (Dio) – Afflavit Deus et dissipati sunt (iscriz. della medaglia coniata in Ingh. in occasione della perdita della Grande Armada di Filippo di Spagna).

1250. CF. il ve latino, malauguroso, col ve-r- germanico, di un simile valore.

1314. marsh, marais – marsc (milanese) putrido – CF. l’an latino all’an inglese. – Worm in Shaksp. per serpente. CF. Dante, il gran vermo.

1324. stubble, stoppia – tatter, guenille CF. tatter (milan.) – postern, potèrne, postierla (pusterla, mil.), postes (lat., porta esterna) – ramp (ingl.) ragazza vagabonda CF. Veneto Carampana, vecchia puttana – bark, scorza, barca, piccola nave, dall’essere le prime navi fatte di scorza d’albero – Prester John (Sh.), Pretejanni (Dante), Preterkan. –

1325. a good nose is required also, to smell out work for the other sense (Shakespear). V. 1304. CF. il naso latino nel senso di gusto artistico.

1339. Trojan in gergo inglese significa ladro. Sarebbe forse un lontano eco della venuta di Enea in Italia? – settimana, sette mattine, semaine, in ingl.sennight, sette notti – rut a caper, trinciar una capriola – si trova in Shakespear; quindi M.lle Le Febre ha poco merito nell’invenzione della parola capriole (V. 1126).

1341. Origine delle chiappe (mezzi uovi) che si mangiano a Pasqua. Cristo fugge dal sepolcro. I giudei si mettono a gridare: ciappa ciappa (in mil.) – In ingl. chap, significa fessura, fesse (francese) – ciapp (milanese).

1351. Buona mano – si dice quella stretta di mano in cui c’è dentro denaro. La mano della pura amicizia sarà la cattiva. – mancia, cià-la-man (Qua la mano).

1660. loco (spag.), pazzo = lôcch, mil. intontito – no me riña Usted mas (spag.) -règnela minga, mil. – querer, spag. amare e volere (ant. ital.cherere) – rociada, sp. = rosciada (pioggia grande) – bottega da apothéka – engatar, sp. = ingattià (attraper) – azienda, it. da hacienda, sp. facenda – kyne (nome del cane di Tobia) chino spag., chien, kynòs – despierto, sp.(svegliato) aspèrt, mil. – badea, sp. melone d’aqua insipida = badee, mil.stolto – chenada, sp. = cinada (sciocchezza) – catabul, sp. scuderia = catabuj, mil. rumore – cholla, sp. sommità della testa, giudizio, spirito = ciolla, mil. in (set ona gran), il
contrario.

1725. I Greci riponevano la grazia nell’ultima semplicità del concetto e dell’espressione (Tommaseo) – Gli scrittori attici detti sicci da Cicerone, quasi ad esprimerne la sanità dello stile.

1731. Alcune idee sincopate in aggettivi, si potrebbero rinnovare, riscomponendole in frasi. Per es. cieca rabbia non fa più effetto perchè abusata. Dite rabbia senz’occhi – e rinfrescherete l’effetto.

1761. Fra gli aggettivi che sono metafore, ma che pel troppo uso hanno perduto il filo, citare lo “svignarsela” – il “ringalluzire” ecc. Le parole, al filologo, sono quasi tutte metafore – Col tempo divengono spesso metafore di metafore, e però talvolta tornano semplici; per raddoppiar la metafora la perdono. – Guai se si leggesse etimologicamente un libro del giorno! non si capirebbe più nulla.

1775. cocker, ingl., dorloter, cocorina, cocorà (parole usate tra noi bimbi e la mamma nostra nella medesima idea).

1827. Cric in milanese vale “silenzio”, “basta” e simili, e trova un riscontro nel grido d’arme dei Molac di Brettagna “Gric à Molac!” (“silenzio a Molac”) salvo che Gric voglia dire come Krieg, guerra.