Intervista a Enrico Careri

Enrico Careri

Gustavo Paradiso: Ciò che sorprende in Manuelito se ne va è che all’inizio sembra che scrivi a caso, senza una direzione, senza storia, poi invece vien fuori una costruzione polifonica che fa credere il contrario, ossia che tutto sia pianificato fin dalle prime righe, e tuttavia il lettore continua ad avvertire insieme ordine e caos. La prima domanda viene quindi spontanea: come è nato Manuelito?

 

Enrico Careri: Non so, non ricordo bene, di sicuro ho iniziato a caso, come faccio sempre, mi metto lì e scrivo, poi a un certo punto qualcosa succede e la storia ― si fa per dire ― prende forma. Di solito non succede niente per un bel po’, in Manuelito però c’era fin dall’inizio il dipinto di Pere Borrell del Caso, Escapando de la critica, che mi ronzava nella testa, col giovane spiritato che cerca di uscire dalla cornice. Ne avevo visto la riproduzione nella recensione della mostra Inganni ad arte. Meraviglie del trompe l’oeil dall’antichità al contemporaneo (Palazzo Strozzi, ottobre 2009 – gennaio 2010) apparsa su Repubblica il 15 gennaio 2010 e mi aveva colpito perché sembrava anticipare Icaro involato e La rosa purpurea del Cairo, dove rispettivamente Icaro esce da un libro e Jeff Daniels da un film.

 

Gustavo Paradiso: Quindi non è il tema della fuga a dar vita alla narrazione.

 

Enrico Careri: Escapando de la critica c’è fin dal quarto capitolo, ma la fuga diventa tema molto dopo, quando la struttura del romanzo ha ormai preso forma. Dopo l’inizio casuale (che non è un espediente, faccio sempre così) alle mie spalle appare Gina, la collaboratrice domestica, che legge sul monitor quelle prime frasi insensate e mi sgrida perché una persona seria, un professore, quelle cose non le scrive. Nei primi capitoli si limita a leggere e a commentare, poi prova a suggerire la trama, infine non vista aggiunge interi capitoli. A quel punto il romanzo va avanti da sé, non devo far nulla, solo scrivere.

 

Gustavo Paradiso: Dopo Gina scrivono anche moglie, figlio e fidanzata.

 

Enrico Careri: Scriviamo in cinque, ciascuno col suo stile e i suoi punti di vista, ma i protagonisti sono gli stessi e le storie pian piano finiscono per convergere sulla mostra Inganni ad arte e su Manuelito. Il titolo originale era AA.VV., autori vari, poi ho preferito Manuelito se ne va, ma AA.VV. rendeva bene il significato del romanzo, che è nella sua struttura polifonica. La fuga dalla materia dell’arte ― quadro, libro, film ― è solo il materiale tematico, il vero soggetto è la scrittura a più voci, dunque la scrittura. Scrivo perché mi piacciono le parole, non le storie.

 

Gustavo Paradiso: Hai detto che “a un certo punto qualcosa succede e la storia ― si fa per dire ― prende forma”. Che significa quel “si fa per dire”?

 

Enrico Careri: Manuelito è un’eccezione, la storia c’è, il lettore che ha bisogno di storia rimane soddisfatto, ma di solito scrivo per scrivere, per la mia salute mentale, tra le cinque e le otto del mattino, poi vado in piscina e alle dieci posso iniziare la giornata. La scrittura ― come il nuoto ― mi serve solo a star bene, quindi la storia non è necessaria. Ma a un certo punto viene da sé, non ci posso far niente, a un certo punto le cose capitano. Se potessi, se ne fossi capace, eviterei gli accadimenti. Mi piacerebbe scrivere un romanzo in cui non succede nulla ma il lettore non riesce a staccar gli occhi dal libro, come se fosse musica, non significa nulla ma l’ascoltiamo felici.

 

Gustavo Paradiso: Ma allora perché non scrivi direttamente musica?

 

Enrico Careri: Perché la musica è il mio lavoro, insegno musicologia, non potrei con le note aver la stessa libertà che ho con le parole, sarei ipercritico, continuerei a lavorare, mentre per me la scrittura è divertimento puro. E poi non sarei capace di farmi ridere, che in fondo è il mio vero obiettivo. Quando mi rileggo non riesco a capacitarmi d’aver scritto quella roba là, rimango sempre di stucco. L’umorismo è sempre difficile, ma con i suoni è difficilissimo, ci son riusciti in pochi e lo capiscono in pochissimi.

 

Gustavo Paradiso: Quanti romanzi hai scritto?

 

Enrico Careri: Ho iniziato alla fine del 2008, poi ho continuato tutti i giorni, non posso farne a meno. Ne ho scritti dodici, più una raccolta di cinquanta racconti brevissimi. L’ultimo romanzo s’intitola Antica natica, è ambientato nel bar di seconda classe della nave traghetto Giovanni Pascoli. L’ho quasi finito, finora non è successo nulla, forse questa volta ce la faccio.

 

Gustavo Paradiso: Se togli la storia qualcosa deve pur restare.

 

Enrico Careri: Restano le parole, poi certo l’ironia, la leggerezza, il sorriso, non c’è bisogno d’altro.

 

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