Esiliato di qua, esiliato di là: l’ultimo romanzo di Juan Goytisolo

Analisi (e storia editoriale italiana) di un romanzo fondamentale di uno dei più importanti autori contemporanei, Juan Goytisolo. Con la traduzione inedita, in esclusiva per Zibaldoni, delle prime pagine del romanzo.

Fotogramma dal video dei Pearl Jam Do the evolution.

L’ultimo romanzo di Juan Goytisolo è uscito in Spagna ormai quattro anni fa, nel 2008, presso Galaxia Gutenberg e Círculo de Lectores con il titolo El exiliado de aquí y allá 1. Una seconda informazione utile, a questo punto, potrebbe riguardare l’eventuale edizione in lingua italiana del romanzo. Duole molto comunicare che al momento non esiste. Quantomeno non fisicamente. Ne esiste infatti una traccia fantasmatica. Esiste un titolo in italiano: L’esiliato; esiste un editore: Cargo; esiste un traduttore, che non verrà tirato in ballo perché ritenuto non responsabile del misfatto; esiste talvolta un anno di pubblicazione: il 2010; esiste, ultimo ma, per logica di mercato, più importante, un prezzo: quindici euro. Su amazon.it vi è applicato addirittura un 15% di sconto, due euro e 25 centesimi: con 12,75 euro ce lo si può portare via. Peccato che la triste realtà del volume – logorante per i pochi eventuali appassionati nostrani dello scrittore nativo di Barcellona – sia quella dei “lista dei desideri”, “attualmente non disponibile”, “pozzo dei desideri”, ecc. L’esiliato sta quindi per compiere il suo terzo anno dalla non-pubblicazione ufficiale.

Il lettore appassionato (e aggiornato), che magari segue da molto tempo le vicende dello scrittore spagnolo e che legge i suoi articoli su elpais.com, non potrà non cogliere l’ironia della vicenda: Goytisolo non ha quasi mai mancato di scagliarsi contro il mercato, sia quello della conoscenza che quello sistemico, quello reale. È da più di due anni che L’esiliato soccombe sotto i colpi di preordini, sconti e “rilegature sconosciute”.

Di più. Chi si fosse preso la briga di affrontare l’edizione originale del romanzo, quella citata sopra, giungerà a un ulteriore livello di ironia seguendo le vicende del «Mostro del Sentier», che ne è il protagonista.

 

Cinque anni prima di El exiliado de aquí y allá usciva Telón de boca, quello che per lo stesso autore avrebbe dovuto essere la sua ultima opera di finzione, scritto in seguito alla morte della moglie, Monique Lange, alla quale lo scrittore era sempre rimasto legato, anche dopo le dichiarazioni d’omosessualità e il trasferimento in Marocco 2. Il gesto venne interpretato come un commiato e il romanzo in questione fu letto come un testamento 3. Sotto questa luce, El exiliado sarebbe il romanzo postumo di un Goytisolo tuttavia ancora in vita.

Esiste una stretta relazione fra El exiliado e un altro romanzo di Goytisolo, Paisajes después de la batalla. Un vincolo che non fa del primo una vera e propria seconda parte del secondo – tanto quanto la seconda parte del Quijote non è semplicemente una continuazione della prima -, bensì un secondo romanzo che ne condivide il protagonista. Il sottotitolo di El exiliado è infatti «La vita postuma del Mostro del Sentier». Il punto di vista è centrato nel protagonista, il suo «Aldiquà» è infatti un aldilà. L’aldiquà del «Mostro» è messo in comunicazione con l’«Aldilà» – il mondo dei vivi – attraverso la tecnologia, cioè in questo caso l’e-mail («mostrosentier@hotmail.com»). Il mondo dei morti goytisoliano è infatti il ciberspazio. Da tale posizione il protagonista cerca di trovare una spiegazione alla sua morte, avvenuta per via di un attentato terroristico di cui si parla al termine di Paisajes, attraverso l’aiuto di internet. La navigazione per la rete dà così vita a una sorta di delirante diagnosi dell’attualità, creando una polifonia di voci e stili che passano per la pubblicità, la stampa, le mail di spam, le encicliche papali o i comunicati terroristici. Il testo è d’altra parte costellato di domande, molte delle quali di natura riflessiva o autoriflessiva: «Chi era diventato più pazzo, il mondo o lui?», «Che diranno di me?». D’altra parte, se «Il Sistema e l’Antisistema si completano a vicenda», il protagonista pare chiedersi chi siano, in fin dei conti, i responsabili dell’inesorabile distruzione verso la quale il mondo si sta dirigendo: a questo arriva il «Mostro», nel chiedersi come sia avvenuta la sua morte, finendo per diventare a sua volta terrorista.

Il motivo della relazione con Paisajes – sorta in realtà in un secondo momento – viene spiegato da Goytisolo con un fatto accadutogli realmente. Nel corso della guerra civile in Algeria, lo scrittore spagnolo era rimasto molto impressionato da una signora cui era stato ucciso il marito senza che venisse mai a conoscenza del perché. Secondo Goytisolo «le motivazioni di una simile violenza sono sempre nazionalistiche, ideologiche, religiose» 4. Paisajes si conclude con la morte del «mostro», quindi «quale maggior desiderio se non quello di poter conoscere perché sei stato ammazzato?» 5.

L’occasione deve aver innescato una sorta di volontà compositiva soggiacente, che andava a completare e attivare alcune riflessioni esposte nel prologo del terzo volume delle Obras completas, quando Goytisolo parla di Paisajes e della sua «visione dello spazio urbano» che, a distanza di cinque lustri, gli sembra «più attuale che al momento in cui era stata profilata»: «Ciò che nel 1981 percepivamo appena, oggi è diventato lampante» 6.

Lo spazio urbano di Paisajes diventa in El exiliado il ciberspazio, un ambiente tanto indefinito quanto l’aldilà. Il protagonista è un flâneur le cui passeggiate senza destinazione si spostano dalla città moderna alla città virtuale. Per vedere e constatare lo stato della società contemporanea non occorre più peregrinare per le strade delle metropoli, è sufficiente accendere il computer e scegliere ciò che si vuole vedere, o come informarsi.

 

La navigazione – telematica, s’intende – è insomma la moderna via per viaggiare attraverso le rovine della civiltà. Perché Goytisolo percepiva già quasi trent’anni fa, in Paisajes, la distruzione della civiltà attraverso quella dello spazio urbano, del linguaggio, del racconto, della società civile.

Dalle rovine potevano spuntare solamente i germogli della letteratura, del romanzo, aggrappandosi a vecchie radici un tempo soffocate dal cemento: la tradizione. Dal recupero della tradizione cervantina e dall’interpretazione del romanzo come mezzo per comprendere la realtà, in un momento in cui la scienza positivista è da tempo in crisi ma sembra che la società ancora non se ne accorga (cercando invece sempre più di assecondare la propria sete di realtà), potrebbe nascere una nuova sensibilità, forse più capace di adattarsi ai nostri tempi.

Una lettura approfondita e in certo modo “enciclopedica” dell’opera gotisoliana  – soprattutto a partire da Señas de identidad (1966), primo romanzo della «trilogia di Álvaro Mendiola» – può fornire al lettore molti strumenti utili a un’elaborazione non solo teorica, ma personale e soggettiva, della realtà. L’ideologia del progresso è in crisi, il mondo sovraffollato subisce ogni giorno sovraccarichi di richieste di energie non rinnovabili, i sistemi economici sono in collasso. La cosiddetta “moneta virtuale”, su cui l’Occidente ha costruito la propria ricchezza, deve fare i conti con l’esaurimento delle risorse e con un Oriente che ora rivendica la propria adesione a un mondo economico realmente fittizio, per riscattare decenni di povertà. E l’uomo deve invece fare i conti con la propria stupidità, con il disinteresse, con mezzi di comunicazione corrotti e falsi, con la tv, la letteratura, l’informazione “di evasione”: un mondo in cui ognuno può connettersi con “tutti gli altri”, ma in fondo non ha molto da dire, magari può solo sbirciare qualche foto o commentare lo “stato” di amici e conoscenti. Il fatto è che la realtà non può più progredire. Sono necessarie politiche di risparmio e ottimizzazione delle risorse, stabilità. L’immaginazione non può più farsi realtà, non si possono proiettare i propri sogni in un futuro progredito in cui tutto è possibile. L’unica realtà in cui l’immaginazione può concretizzarsi è quella romanzesca. «Conosciamo già il mondo; adesso dobbiamo immaginarlo», scrive Carlos Fuentes chiudendo un breve saggio dedicato proprio a Goytisolo 7. Il territorio del romanzo può rendere tangibile, sulla propria pagina, ciò che è intangibile. Il romanzo può offrire le risposte a un desiderio di progresso ora irrealizzabile. La realtà romanzesca assomma tutte le potenzialità del mondo e rende ciò che nella realtà è limitato, illimitato. Kundera, nel chiedersi se, in un «mondo “che non è più il suo”», il romanzo fosse destinato a scomparire, finiva per rispondersi con un «non lo so» molto più rivelatore di quanto possa sembrare a prima vista. Perché la letteratura è il territorio del dubbio, non ci sono mai certezze. Esistono però le coordinate soggettive di chi percepisce il mondo e intende creare un universo romanzesco: «il romanzo non può più vivere in pace con lo spirito del nostro tempo: se vuole continuare a scoprire quello che ancora non è stato scoperto, se vuole “progredire” ancora in quanto romanzo, può farlo solo andando contro il progresso del mondo», scriveva Kundera per la prima volta nel 1986. Mettere in dubbio la realtà, quindi. E quale miglior strumento per farlo se non il romanzo? Scardinare la supremazia dell’avvenire, «il peggiore dei conformismi, la vile adulazione del più forte», sul presente, la sua decisiva influenza esercitata sull’uomo contemporaneo post-avanguardie. D’altronde, sarà proprio l’avvenire a giudicarci. Cercare l’armonia con esso ci spinge in avanti, facendoci perdere di vista il presente e con esso ogni capacità di giudizio o di critica. La critica del presente è sempre rivolta verso l’avvenire, il progresso. Ma vivere in un continuo futuro ne annulla ogni competenza nel giudizio del presente. E quindi Kundera concludeva chiedendosi: «Ma se l’avvenire non rappresenta ai miei occhi un valore, a che cosa tengo, allora?»; e rispondendosi in modo tanto ridicolo quanto sincero: «io non tengo a niente tranne che alla denigrata eredità di Cervantes» 8.

Kundera è tanto prossimo a Goytisolo quanto lo sono le rispettive esperienze d’esilio: Parigi, per entrambi; poi però il Marocco per lo spagnolo, cioè uno spostamento profondo a livello culturale. Sia l’uno che l’altro hanno «visto e vissuto la morte del romanzo, la sua morte violenta (ad opera di proibizioni, della censura, della pressione ideologica) (…) nel mondo (…) che si suole chiamare totalitario» 9. Per il ceco «Fu chiaro, allora, che il romanzo era perituro; così come era perituro l’Occidente dei Tempi moderni». Il romanzo risultava infatti incompatibile con il modello totalitario, fondato sulla relatività e l’ambiguità delle cose umane: un’incompatibilità non soltanto politica o morale, ma ontologica. Diverse verità contro una sola Verità, totalitaria, decisamente inconciliabile con lo spirito del romanzo.

 

Un’ultima semplice equazione riporterà al discorso su El exiliado e, quindi, Paisajes. Ancora una volta sarà d’aiuto il romanziere e saggista ceco per avviare una riflessione. Kundera sosteneva che, «se Cervantes è il fondatore dei Tempi moderni, la fine della sua eredità dovrebbe significare qualcosa di più che una semplice sostituzione nella storia delle forme letterarie; annuncerebbe la fine dei Tempi moderni». In poche parole, chi si arrogava il diritto di pronunciare i vari «necrologi del romanzo» avrebbe dovuto, sul versante della pars construens, affrettarsi a proporre un valido modello formale destinato a fornire una nuova struttura per l’umanità intera.

Goytisolo in questo senso narra la distruzione del contemporaneo. Si colloca oltre il moderno cervantino – che anzi mirerebbe a ristabilire, ovviamente attualizzandolo -, per far comprendere al lettore quanto necessario sarebbe un recupero dello stesso. Cervantes è il fondatore di una modernità, interrotta da una accelerazione del progresso umano mal gestita e forse delirante, che ora diverrebbe nuovamente attuale, se compresa. Anche per questo, come soggiunge de Aguinaga, i due romanzi goytisoliani in questione non prefigurano paesaggi postmoderni; infatti «sarebbe più opportuno parlare di una modernità che ha trasceso se stessa, di una metamodernità, e non solamente di una fase posteriore alla modernità» 10. È un corollario del Rimbaud – anch’egli passato attraverso una fase distruttiva del linguaggio che, per precocità, aveva però comportato un’autodistruzione fisica e psicologica – della conclusione di Une saison en enfer, quando diceva che «bisogna essere assolutamente moderni» 11.

 

Tornando all’ultimo romanzo di Goytisolo, l’autore ne spiega la genesi formale nel modo seguente: «Dopo Telón de boca iniziai a scrivere monologhi, voci che mi capitava di ascoltare, parodie di discorsi. Quando arrivai ad accumularne una dozzina mi resi conto che c’era un legame fra essi, che non erano isole bensì un arcipelago» 12. È una vicenda compositiva analoga a quella che aveva generato, un quarto di secolo prima, Paisajes después de la batalla. Come quello, El exiliado è un romanzo «privo di discorso, una prosa in azione e senza racconto», nel quale è ricercata «la concentrazione a fronte dell’estensione» 13. In quel caso, a incorniciare il testo era presente una citazione tratta da Bouvard et Pécuchet, in questo una tratta da un’aforisma dello scrittore austriaco Karl Kraus e resa così da Goytisolo: «Che il mio stile si impossessi dei rumori del tempo».

Lo stesso aforisma, raccolto in Detti e contraddetti, recita nella sua forma completa e tradotta: «Dicono che tutti i rumori dell’attualità sarebbero rinchiusi nel mio stile. Perciò i contemporanei ne avrebbero nausea. Ma i posteri lo potranno tenere come una conchiglia all’orecchio e sentirvi la musica d’un oceano di fango» 14.

Tali rumori spingono Goytisolo a percepire che «la nostra società è intrappolata fra il consumismo e il terrore», un terrore che, specialmente dopo l’11 settembre 2001, si è pian piano trasformato in «mercanzia» 15: un terrore spettacolarizzato a cui l’autore contrappone un umorismo 16 smisurato in un racconto intenso e, come detto, concentrato. Una concentrazione analoga a quella di Paisajes, focalizzata nel frammento. La distruzione totale comporta infatti un mondo frammentato, quindi anche un essere frammentato, un’istanza creatrice divisa e smembrata nelle voci di autore, narratore e personaggio: tutti riflessi, spesso e volentieri distorti e parodiati, di uno stesso, unico essere: Juan Goytisolo. Ecco perché El exiliado è un romanzo postumo: uno di questi goytisolo, dopo Telón de boca, era forse morto.

 

Dopo quasi trent’anni dalla pubblicazione di Paisajes después de la batalla, è ora finalmente possibile tenere il romanzo «come una conchiglia all’orecchio», per «sentirvi la musica d’un oceano di fango» 17. Ed è forse ciò che sarà possibile fare con El exiliado in un futuro non troppo remoto, in cui il territorio della battaglia si sarà spostato definitivamente dalla metropoli al mondo virtuale. Poiché già oggi la tecnologia invade la città: in El exiliado, il protagonista constata, durante una visita al Sentier, che al vecchio anonimato urbano è stato appiccicato – come un’angosciante carica esplosiva al petto – un ingente apparato di sorveglianza impersonale continua: telecamere di videosorveglianza ovunque e la coscienza angosciante della loro presenza. Un eccentrico impermeabile e un paio di occhiali scuri sono sufficienti a destare i sospetti dei Servizi Segreti.

E d’altra parte internet è l’universo del frammento: chiunque può crearsi in libertà la propria informazione, la propria cultura globale. Avere tutto e in qualsiasi momento, stando di fronte a uno schermo. Un aiuto concreto per vedere tutto il mondo dal proprio sgabuzzino, senza bisogno dell’immaginazione. È un perfetto corollario alla dimensione del «mostro» nella sua stanza della Rue Poissonnière, in Paisajes, quando chissà si limitava a immaginare le sue peregrinazioni per il Sentier con il solo ausilio di una cartina della metropolitana. Peccato che sia già morto, e che, nonostante ne abbia avuto la possibilità, non sia nemmeno riuscito a capire le ragioni di ciò: «La sua vita nell’Aldiquà è stata tanto inutile quanto quella compilata all’interno dello zibaldone delle sue escursioni per il Sentier». El exiliado è stato tanto inutile quanto Paisajes. Ogni tentativo di indagare le ragioni della propria «esistenza parassitaria» e della sua improvvisa scomparsa si scontrano contro la finzione e l’assurdità di quanto ci circonda. Nessun pentimento, tuttavia, e nessun colpevole: «La piccolezza stessa ci salva: quel preciso miscuglio – il suo – di insignificanza e persistenza».

Così si conclude la parabola del «Mostro». Con le parole di un narratore che ne sancisce la definitiva inutilità e incapacità (anche se, quantomeno in Paisajes, il narratore «non è affidabile (…) non smette di ingannarti nemmeno per un istante») 18. De Aguinaga annota che più che una resurrezione, la vita postuma del protagonista di El exiliado è una moratoria della morte definitiva, un’inutile proroga che non serve a dissipare alcuno dei suoi dubbi esistenziali 19.

D’altra parte, come per Paisajes, un’analisi completa e profonda di El exiliado non sarà forse possibile finché lo scenario delineato da Goytisolo non troverà attuazione nel mondo della realtà. Potrebbe forse mancare ancora poco tempo.

 

Alla morte del personaggio sopravvive il testo, unica verità. Testo come espressione di un linguaggio. E, nelle parole di Kraus: «Chi non perdona al linguaggio non perdona alla cosa» 20.

Assunto, quest’ultimo, quanto mai calzante per la parabola romanzesca di Juan Goytisolo, nella misura dello stretto legame che l’autore tesse fra vita e linguaggio, legame che accompagna ogni evoluzione linguistica a un’evoluzione per così dire biografica, uno spostamento (poiché, a dirla con Lukács, non c’è romanzo senza spostamento).

D’altronde, la figura di Kraus pare agire nel Goytisolo di El exiliado come Flaubert per il Goytisolo di Paisajes, cioè come una sorta di guida, un accompagnatore decontestualizzato e riattualizzato come poteva essere Virgilio per Dante. Rimanendo sostanzialmente all’interno dei canoni formali bachtiniani, in una città che si prospetta come postbaudelairiana e alternata a un aldilà quanto mai figlio della società tecnologica, Goytisolo trova un nuovo alleato per opporsi alla società; una figura, come Baudelaire nel caso di Paisajes, probabilmente filtrata attraverso il colino di Walter Benjamin: appunto Kraus 21. Nel binomio costituito da Paisajes e El exiliado esistono infatti due letture lievemente idiosincratiche del degrado dell’informazione 22: la stampa sensazionalista nel primo, spam e junk mail nel secondo. A tal proposito saranno utili le affermazioni di Benjamin esposte nel contesto della sua analisi «Di alcuni motivi in Baudelaire» 23, quando sostiene che «nel sostituirsi dell’informazione alla più antica relazione, e della “sensazione” all’informazione, si rispecchia l’atrofia progressiva dell’esperienza 24.

In questo Goytisolo trovava un alleato in Karl Kraus, il quale aveva dedicato molta della sua esperienza come fondatore del Die Fackel alla satira rivolta al giornalismo. Benjamin sintetizza, nel suo saggio sullo scrittore austriaco, la posizione di Kraus nei confronti del giornalismo, richiamando tra l’altro un personaggio non nuovo all’esperienza goytisoliana, Baudelaire. Secondo il tedesco l’”arte per l’arte” – dogma applicato dal decadentismo anche all’amore – ha stretto un legame fra competenza e sapere artigiano, tecnica, e ha fatto risaltare al meglio la poesia quando l’ha separata dallo sfondo della letteratura, tanto quanto l’amore dalla lussuria. E quando Kraus dice che la necessità può fare di ogni uomo un giornalista, ma non può fare di ogni donna una prostituta, intende svelare ciò che costituisce una sorta di doppio fondo della sua polemica contro il giornalismo. Secondo il tedesco è stato il Kraus «esperto letterato, artista, anzi dandy» a scatenare tale «lotta inesorabile» contro il giornalismo, più che il «filantropo, l’illuminista amico degli uomini e della natura». E l’antenato del primo non può che essere proprio Baudelaire. E infatti solo lui ha odiato tanto quanto Kraus la «saturazione del buon senso», il compromesso che venne attuato dagli intellettuali con esso, al fine di trovare un riparo sicuro nel giornalismo. Un giornalismo visto come «tradimento della letteratura, dello spirito, del demone», ridotto a una chiacchiera in cui «ogni appendice letteraria ripropone l’insolubile problema del rapporto di forza tra stupidità e cattiveria, delle quali è espressione». Il giornalismo è «in fondo, la perfetta corrispondenza di queste due forme di vita: la vita sotto il segno del puro spirito o della pura sessualità, che è alla base di quella solidarietà del letterato con la meretrice di cui la testimonianza più indistruttibile è nuovamente la vita di Baudelaire» 25.

La comparazione fra Kraus e Baudelaire proposta dal pensatore tedesco offre la misura dello spostamento fra Paisajes e El exiliado. Inoltre, riannoda il discorso a quella «saturazione del buon senso» flaubertiana (comune a Bouvard e Pécuchet) che il goytisolo/«monstruo» avrebbe interiorizzato nella sua collezione parigina di ritagli e trascrizioni di articoli e annunci pornografici. Le «Riflessioni ormai inutili di un condannato» 26sarebbero la negazione del «compromesso che gli intellettuali hanno concluso (…) per trovare alloggio nel giornalismo» 27, e la riaffermazione di un modello letterario e di intellettuale nuovo. La frammentazione estrema proposta da Kraus con la forma aforismatica gli permette finalmente di accedere a quella fronda dell’albero romanzesco goytisoliano cresciuta lungo il ramo la cui origine è Paisajes después de la batalla e il cui termine è El exiliado de aquí y allá.

 

Un’ultima puntualizzazione. Al termine della lettura di El exiliado, il lettore appassionato di Goytisolo, che aveva da tempo abbandonato la speranza di avere fra le mani la traduzione italiana del romanzo, non potrà non sorridere di fronte all’ironia involontaria creata dalla paradossale vicenda editoriale dell’edizione nostrana fantasma. L’esiliato naviga nell’etere da ormai quasi tre anni, senza lasciare nemmeno una traccia nel «Aldilà», il nostro aldiquà. Sarà quindi questo il suo perpetuo esilio virtuale, così simile a quello del suo protagonista?

 

*

 

Estratto di traduzione delle prime pagine del romanzo

 

 

Nell’Aldiquà

 

Quando gli capitava di pronunciare una delle sue orazioni funebri in favore di un qualche conoscente del quartiere, il barbiere italiano dell’angolo – che era sempre meglio evitare per via della sua logorrea e del costante ricorso a verità lapalissiane – era solito commentare con il risolino tipico di chi si crede tanto acuto:

«L’altra vita dev’essere proprio bella, lei non crede? Nessuno, che io sappia, ha mai desiderato tornare di qua!»

Tuttavia il patriota adepto di Forza Italia si sbagliava di grosso poiché, sebbene smembrato, il nostro volle ritornare al pianeta presso il quale un terrorista attivò la carica esplosiva nascosta all’interno della fodera del suo impermeabile e lo spedì nell’Aldiquà. Si ritrovò così di colpo in un internet café deserto, circondato da migliaia (forse milioni?) di computer corredati di altrettanti posti a sedere e tavolini. Un pannello gigante, che si accendeva e spegneva, ripeteva incessantemente un messaggio: UNIVERSO VIRTUALE. Non sapeva a chi affidarsi né cosa ci si aspettasse da lui, e vagò così nel vuoto di quello spazio infinito finché, sfinito, si sedette di fronte a una delle tastiere e si vide ritratto nello schermo, con il suo berretto e i suoi occhiali scuri, etichettato come Mostro del Sentier.

Che poteva fare se non esplorare le possibilità offerte dalla galassia elettronica, con i suoi dati e informazioni e il suo vasto ventaglio di programmi per tutti i gusti ed età? La vecchia memoria era stata sostituita da una nuova, attraverso la quale poteva, nonostante l’inettitudine e l’accidia, ricucire il filo della posta elettronica che riceveva. Iniziò così a scambiare messaggi – le sue caustiche divagazioni e fantasie – con visibili o anonimi internauti a cui bastava premere mostrosentier@hotmail.com per entrare in contatto con lui, attratti chissà dall’estremismo puerile e dalla scarsa affidabilità di alcuni scritti che tu, indulgente lettore, potrai giudicare di persona.

 

 

Primi passi

 

L’astuto lettore si chiederà in quale modo un tipo maldestro come lui, incapace di aprire un ombrello o di caricare un orologio, possa navigare utilizzando il suo computer ed entrare in contatto sia con il mondo da cui si congedò che con la nebulosa d’astri dell’Aldiquà.

La morte non è come pensi, amato collega: presto o tardi lo constaterai. Allo stesso modo puoi trovarti in un internet café delle dimensioni di uno stadio olimpico oppure fluttuando leggiadramente nello spazio, intrappolato senza scampo in un ingorgo con la sola e indesiderata compagnia di un tassista madrileno – di cui potrai ascoltare il monologo sui diritti umani, avanzando nella lettura -, o ancora incapsulato nel minuscolo cervello di una pavoncella che si dà arie da professore.

Mie fantasie? Vieni, rompi la debole membrana che ci separa e vedrai con i tuoi occhi virtuali la pavoncella, l’ineffabile vicina di casa dello scomparso Mostro del Sentier. Ascoltala, mio scettico amico, mentre si prodiga in perle di saggezza col suo becco corto e dritto, e agita il suo corpo tracagnotto e il suo piumaggio gialloverdognolo.

«Ah, se l’avevo detto mille volte! Sono dappertutto, come i microbi di un’epidemia! Rubano e trafficano droghe per finanziare i loro attentati. Sa, sono in attesa di una convocazione per una marcia patriottica e vorrei che lei vi partecipasse con me. Se non sganciamo un’arma nucleare direttamente sui loro paesi d’origine, saremo perduti: ci annichiliranno!»

Impossibile tapparsi le orecchie, fratello mio: lei ne difetta. I rumori del tempo giungono direttamente al suo spirito, senza ricorrere ai sensi. L’etere abbraccia tutto, perfino quell’insignificante conversazione.

 

 

Candeggi

 

Chi può dare credibilità alle parole di un morto? L’improbabile lettore di queste righe le avrebbe liquidate con una scrollata di spalle e schiaffate al volo nel cestino. Però, credetemi, sarebbe stato un errore.

Oltrepassando la fragile membrana che ci separa dall’Aldiquà ci trasformiamo, ma senza cessare di essere noi stessi, e contempliamo a distanza la nostra minuscola Terra, dando una stima del suo pur esiguo valore. Seduto di fronte al suo computer, il Mostro scorre messaggi e annunci risalenti a quando il tempo ancora trascorreva, infiltratisi misteriosamente fino alla sua pagina web coperta da password:

 

Fatti largo nel tanfo della massa con il tuo modello di limousine disegnato apposta per te e per la crème Chantilly del pianeta.

 

Mettiti in contatto con la Forza Aerea della base Wright, a Dayton, in Ohio. L’offerta ti interesserà.

 

Dal momento che l’elenco di proposte è così lungo, il defunto si dedica con tutta l’anima a redigere a sua volta un messaggio per un destinatario sconosciuto e tuttavia affine, immagina, alle proprie idee sovversive e al suo ruvido umorismo:

 

Se l’amore per lo Spirito Santo rende le anime candide, perché la Banca che porta il suo nome non dovrebbe poter sbiancare il denaro? Se sei d’accordo, entra in contatto con noi e inviaci i tuoi risparmi. Il Paraclito te li farà fruttare.

 

Non ancora abituato alla velocità che caratterizza il ciberspazio, con ammirata sorpresa il nostro esiguo eroe scopre d’aver immediatamente ricevuto in risposta una lunga lettera o, per meglio dire, un sermone. Per sua disdetta, il testo è in latino e l’unica cosa che riesce a desumerne è la firma dell’internauta: un enigmatico Monsignore.

 

 

Nostalgia dell’Aldilà

 

Tornava inevitabilmente a gironzolare per il quartiere. Nessuno pareva riconoscerlo nési fermava a salutarlo o a parlargli del tempo.Cercava di allontanarsi dal suo domicilio al fine di evitare un incontro intempestivo con i vicini. Nonostante ciò sapeva d’essere filmato da un’infinità di telecamere di vigilanza. Sebbene la sua figura non rispondesse al profilo del terrorista tipo diffuso dai mezzi d’informazione, i suoi occhiali scuri e il suo eccentrico impermeabile, improprio per una mattinata soleggiata dalla temperatura estiva, avrebbero chissà potuto destare i sospetti degli uomini dell’intelligence. Si sedeva al tavolo di un caffè dalle parti dell’arco di Ludovico Magno e s’accendeva una canna. Senza nemmeno prendere l’ordinazione, il cameriere gli segnalava il cartello indicante il divieto di fumo all’interno del locale, al che, un po’ imbarazzato un po’ confuso, gettava il mozzicone atterra. La sua proverbiale accidia lo tradiva.Scendeva lungo l’entrata della metropolitana più vicina, comprava un biglietto allo sportello e, dopo aver consultato con finto interesse la mappa, desistevadal ripetere una volta di più il suo abituale tragitto verso le zone promiscue e potenzialmente conflittuali per risalire di nuovo sul marciapiede zeppo del boulevard. Bisognava depistare i suoi eventuali inseguitori, perciò ripeteva l’antico itinerario dell’eroe de L’educazione sentimentale, giungendo improvvisamente presso la sede del quartier generale dell’ultra-mediatico presidente della Repubblica. Intimato ad allontanarsi dall’imponente servizio d’ordine, tornava sui suoi passi fino a incontrare insperatamente un filosofo del maggio del ’68 dalla ondivaga capigliatura grigiastra, avvolto nella propria aureola di consigliere aulico.

 

 

Guy Debord l’aveva detto

 

Presto! Sul set! Ah, se m’è venuta un’idea! Ho bisogno di parlarne di fronte alle telecamere, accaparrarmi l’attenzione dei media con una conferenza stampa di massa! Come riannodare il filo delle mie riflessioni se nessuno mi ascolta, se nessuno mi contempla? Le batterie del mio cervello si scaricano, cessano di funzionare! Chi può parlare al vuoto, far risplendere la forza apodittica della propria intelligenza senza il contatto stimolante col pubblico? L’immagine della mia persona, proiettata in tempo reale, ravviva la brillantezza e l’energia del mio discorso. Attento ai suggerimenti del mio consigliere, appoggio il mento sul palmo della mano e mi immergo in una breve ma luminosa meditazione. Il pubblico virtuale trattiene il fiato. Cavillo, argomento, convinco. Sono un miscuglio di Socrate, Nietzsche e Pat Robertson.

 

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Bibliografia

 

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BENJAMIN W. (a cura di R. Solmi), Angelus Novus. Saggi e frammenti, Giulio Einaudi Editore, Torino 1995 [1962];

 

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KRAUS K., Detti e contraddetti, Adelphi, Milano 1992 [1972, 1909];

 

KUNDERA M., L’arte del romanzo, Adelphi, Milano 2008 [1988, 1986];

 

RIMBAUD A. (a cura di I. Margoni), Opere, Feltrinelli, Milano 1993 [1993, 1873];

 

RODRÍGUEZ MARCOS J., “La literatura es el dominio de lo raro”, presso http://www.elpais.com/articulo/narrativa/literatura/dominio/raro/elpepuculbab/20080830elpbabnar_1/Tes.

  1. L’edizione di riferimento per l’articolo è J. Goytisolo, El exiliado de aquí y allá, Galaxia Gutenberg/ Círculo de Lectores, Barcelona 2008 [Traduzione mia].   
  2. Cfr., fra gli altri, le memorie Coto vedado (1985) e En los reinos de Taifa (1986).   
  3. Cfr. L. V. de Aguinaga, “El exilio después de la batalla”, in Quimera. Revista de literatura, n. 312, noviembre 2009, pp. 46-49 [Traduzione mia].   
  4. Da un’intervista realizzata da J. Rodríguez Marcos e pubblicata il 30 agosto del 2008 su elpais.com: http://www.elpais.com/articulo/narrativa/literatura/dominio/raro/elpepuculbab/20080830elpbabnar_1/Tes [Traduzione mia].   
  5. Ibid.   
  6. Le citazioni sono tratte da J. Goytisolo (a cura di Antoni Munné), Obras completas. Novelas (1966-1982) (vol. III), Galaxia Gutenberg/ Círculo de Lectores, Barcelona 2006, p. 38 [Traduzione mia].   
  7.  C. Fuentes, “Juan Goytisolo e l’onore del romanzo”, in Geografia del romanzo, il Saggiatore, Milano 2006 [1997, 1993], pp. 56-70 (cit. a p. 70).   
  8. Le citazioni (anche le seguenti) sono tratte da M. Kundera, L’arte del romanzo, Adelphi, Milano 2008 [1988, 1986], pp. 29-38.   
  9. Idem.   
  10. L. V. de Aguinaga, “El exilio”, in Quimera n. 312, cit., p. 49 [Traduzione mia].   
  11. A. Rimbaud (a cura di I. Margoni), Opere, Feltrinelli, Milano 1993 [1993, 1873], p. 242.   
  12. J. Rodríguez Marcos, cit.   
  13. Cfr. un articolo di Miguel Lorenci apparso su diariodeleon.es il 7 settembre del 2008: http://www.diariodeleon.es/noticias/cultura/juan-goytisolo-autor-del-libro-el-exiliado-de-aqui-y-alla-el-terror-se-ha-convertido-en-una-mercancia-_405014.html  [Traduzione mia].   
  14. Cfr.K. Kraus, Detti e contraddetti, Adelphi, Milano 1992 [1972, 1909].   
  15. J. Rodríguez Marcos, op. cit.   
  16. A tal proposito Kraus scriveva: «Dove non si ha più la forza di piangere né di ridere, lo humour sorride fra le lagrime» (K. Kraus, Detti e contraddetti, cit., p. 142).   
  17. K. Kraus, op. cit.   
  18. J. Goytisolo, Obras completas (vol. III), cit., p. 1033.   
  19. L. V. de Aguinaga, “El exilio”, in Quimera n. 312, cit.   
  20. K. Kraus, op. cit., p. 132.   
  21. W. Benjamin, “Karl Kraus”, in W. Benjamin (a cura di R. Tiedemann e E. Ganni), Scritti 1930-1931 (Opere complete vol. IV), Giulio Einaudi Editore, Torino 2002 [1972-1989], pp. 329-358.   
  22. Cfr. L. V. de Aguinaga, “El exilio”, in Quimera n. 312, cit., p. 49.   
  23. Cfr. W. Benjamin (a cura di R. Solmi), Angelus Novus. Saggi e frammenti, Giulio Einaudi Editore, Torino 1995 [1962], pp. 89-130.   
  24. Idem, p. 93.   
  25. Le citazioni sono tratte da W. Benjamin, “Karl Kraus”, cit., pp. 344-345.   
  26. Cfr. J. Goytisolo, Obras completas (vol III), cit., p. 1037.   
  27. Certo, Goytisolo prosegue a tutt’oggi la propria collaborazione con El País, ma ha d’altra parte da sempre posto una netta separazione fra la sua esperienza di finzione e quella saggistica e per così dire “miscellanea”, magari anche dovuta a necessità economiche specificamente reali (sarebbe questo forse il suo unico compromesso).