L’altra faccia dell’America

In occasione dell'uscita dello ZiBook Cronache americane, Gustavo Paradiso intervista l'autrice Francesca Andreini, che dopodomani 6 giugno presenterà la sua opera a Washington.

Gustavo Paradiso: L’America è lontana?

Francesca Andreini: “Dall’altra parte della luna”, diceva Lucio Dalla. Ma lui cantava di un’America inarrivabile moralmente, nella canzone. I suoi protagonisti erano chiusi in una realtà trita dalla quale la fantasia, la libertà e la novità rappresentate dall’America erano precluse. Non potevi nemmeno posarci la mente, così come sul lato misterioso del nostro satellite, che sai che c’è ma che non vedrai mai.

G. P.: E in Cronache Americane?

F. A.: Con la mia famiglia siamo andati a viverci, in America, e io racconto di una lontananza diversa, che viene proprio dall’averlo raggiunto, il luogo dei sogni. Il momento in cui devi scendere a patti con la realtà, perché hai sempre pensato che ci fosse un mondo possibile, da qualche parte, in cui poterti rifugiare. E ora che ci sei, nel rifugio ideale, per sognare non ti rimane che la luna.

G. P.: L’altra parte, però.

F. A.: Esattamente!

G. P.: Però alla fine… possiamo parlare della fine?

F. A.: Ovviamente no! Però, alla fine, c’è un’illuminazione che dà un valore speciale a tutta l’esperienza.

G. P.: C’è un tono particolare, nelle Cronache, che mi ha colpito. Una specie di malinconia  “a prescindere” per cui anche nella fase iniziale, l’avventura della scoperta, si intravede come la filigrana di un distacco, la consapevolezza di una provvisorietà. Da cosa viene?

F. A.: Senz’altro dal fatto che il mio trasferimento è “a termine”. So già che vivrò negli Stati Uniti per un certo periodo di tempo determinato e quindi la mia immersione nello spirito del paese è parziale, e il mio abbracciare la nuova esperienza ha il retrogusto delle cose che non saranno mai del tutto tue.

G. P.: Il che, però, ti ha permesso anche di analizzare non solo i sentimenti che provavi nel vivere finalmente nel paese dei sogni, delusioni e perplessità compresi, ma anche di astrarre dal quotidiano pensieri di carattere più generale.

F. A.: Sì, è vero. Il discorso si sposta continuamente dai fatti quotidiani a generalizzazioni, tentativi di capire, parallelismi fra stili di vivere diversi.

G. P.: Ma senza pretese di oggettività.

F. A.: Tutto parte dalle mie faccende private, il mio carattere, le mie reazioni. Credo che la cosa divertente delle Cronache sia proprio questo.

G. P.: Ecco, parliamo di divertimento. Ho trovato le Cronache divertenti, anche quando narrano di momenti difficili.

F. A.: Grazie, un gran complimento. Ci sono un paio di fatti un po’ più drammatici, ma ho cercato di raccontarli con una lucidità secca, che li rendesse fruibili. E poi il tono si risolleva continuamente, il mio più grande sforzo è stato quello di non perdere mai la leggerezza. O almeno di non perderla a lungo.

G. P.: In effetti c’è una estrema varietà di toni. A volte conciso, altre evocativo, altre ironico, altre quasi jazzato… lo stile cambia di paragrafo in paragrafo; come mai tutta questa mutevolezza?

F. A.: Le Cronache sono un resoconto personale, seguono l’andamento dei miei pensieri, delle mie sensazioni. Evidentemente i miei percorsi interiori sono stati piuttosto frastagliati, nei miei primi due anni americani. E lo stile delle Cronache rende conto di queste avventure emotive.

 

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