La comicità del quadrato

di in: De libris

A leggerlo seriamente, o silenziosamente, si rischia di scambiare L’irragionevole prova del nove di Giovanni Campi (Edizioni Smasher, 2014) per un’opera istruttiva e didascalica, con gli ultimi ritrovati filosofici in tema di verità e affini serviti caldi e fumanti. Invece bisogna prendere questo libro come un canovaccio di commedia, recitarne le battute a voce alta e con tono enfatico. Soltanto così si riuscirà a sentire come le parole cozzano e bisticciano senza posa non per cercare un senso o un’agnizione, ma per provare a farci ridere per l’ultima volta. L’irragionevole prova del nove è un libro ispirato alla comicità, e con le residue possibilità di ridere che ci restano intende fare i conti.

Sulla scena due personaggi, Simpliciter e Complicatibus, dissertano acutamente di un quadrato e dei calcoli da fare per inserirvi i numeri più appropriati. Questa è la storia, se di storia si può parlare. La disputatio va avanti per un centinaio di pagine tenendo come sfondo labile e pretestuoso l’argomento geometrico-matematico, ed è giocata sul capovolgimento continuo di tutto ciò che viene detto. Ma soprattutto punta sulla messa alla berlina del linguaggio, perché tutte le parole, i discorsi e la sintassi sono parodizzati e mistificati con la severità ilare e il rigore strambo di un professore di matematica finito al manicomio. Il risultato è una scrittura complicata appositamente per ridicolizzare le ultime icone sacre del nostro mondo: i numeri e la razionalità analitica che li propaganda come soluzione di tutti i mali. Numeri e razionalità che pure non tanto tempo fa avevano ispirato i reverendissimi Abbott e Carroll a scrivere opere di immaginazione esatta, ma che nel libro di Campi sono invece i bersagli che alludono al predominio di un’immaginazione astratta e radicale grazie alla quale ogni minimo significato delle parole è cancellato, e al lettore-spettatore restano solo scheletri e ossa, ossia suoni e calembour, bisticci e nonsense.

I personaggi di Campi, benché falliscano gloriosamente, è come se “dessero i numeri” per tentare un’improbabile ridefinizione del tutto. Simpliciter rimprovera di continuo a Complicatibus la mancanza di senso delle sue affermazioni, il divagare, l’infondatezza delle sue teorie, rappresentando così una posizione residua di quella comicità antica che pure è un punto di riferimento chiaro de L’irragionevole prova del nove. Complicatibus di questa medesima comicità è la quintessenza, il precipitato, la sedimentazione: sulla sua bocca ogni affermazione diventa controvertibile, discutibile, insensata, infondata, imprecisa, inadeguata, incoercibile, inutilizzabile. In una parola: ineffabile. Complicatibus non dice più niente, non ha niente da dire o da sostenere, e non se ne vergogna. Anzi, si vanta delle sue astruserie, del suo cervello che si arrovella a vuoto e della sua loquela insulsa.

Riesce ancora a far ridere L’irragionevole prova del nove? Forse sì, se ci si accontenta di recitarlo ad alta voce senza pretendere di ricavarne nulla. Solo in questo modo si riesce a restituire alle (sue) parole la loro infondatezza originaria, che è anche il presupposto dell’operazione letteraria di Campi. La comicità de L’irragionevole prova del nove è scarnificata, metafisica, prosciugata di qualsiasi umore, ma ha ancora qualcosa da dirci proprio per le sue qualità orali e teatrali. I suoi numi tutelari sono i personaggi sbandati e catatonici di Beckett, che farebbero ridere a crepapelle se non fossero ingolfati dalla consapevolezza del loro autore. Le facce di riferimento (ma solo le facce) potrebbero essere quelle di Buster Keaton o di Harry Langdon, ovvero di tutti i comici malinconici dei film muti, sempre in procinto di smettere la maschera e di trasformarsi in filosofi ultracontemporanei. Precisamente come i due personaggi di Campi, stracolmi di consapevolezza autoriale e ansiosi di emettere verità definitive e folgoranti:

 

SIMPLICITER: Dove conduce Lei? Non c’è via dove sia: dov’è Lei? Lei, Lei dov’è? Forse che sia, questa via, che non ha via d’uscita, una via di fuga?

COMPLICATIBUS: Avere dove andare non è essere dove andare; non avere dove andare è forse essere. O forse non si è da nessuna parte, e ci si lascia andare via, e si lascia andare via, via. Via, c’è solo e soltanto condotta d’andare: lasciare essere con, lasciarsi essere con; lasciare essere insieme, lasciarsi essere insieme. Abbandonare, abbandonarsi.

 

In un mondo dominato dall’opinabile, dove ogni affermazione è subito smentita dal suo contrario; dove tutto e il contrario di tutto hanno la meglio simultaneamente nei libri scolastici come alla tv e nei social network (Giovanni Campi dà vita al personaggio di Teqnofobico Chiocciola su Facebook); dove l’esperienza ha smesso da tempo di offrire non dico insegnamenti ma umili consigli; dove comicità e realtà sono continuamente reversibili e confondibili: in un mondo siffatto, la folle contraddizione in termini sulla quale si basa L’irragionevole prova del nove sembra una categoria utilissima per interpretare lo sbando che ci circonda.

E poi si sa, più severo e rigoroso di un folle non c’è nessuno. E solo un folle poteva farci capire che anche i numeri, di questi tempi, diventano irragionevoli.

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