Le età della vita, le età del romanzo. Su La vita adulta di Andrea Inglese

Per lo sguardo che rivolge al rapporto dei personaggi con la loro età, il romanzo di Inglese squarcia un velo. Nella maggioranza dei casi, avanziamo nella più assoluta incoscienza dell’osservatorio temporale, di giorno in giorno diverso, da cui ci affacciamo sulla vita. Ciò è sempre vero, ma a maggior ragione nel regno della «giovinezza permanente» a cui condanna un mercato del lavoro influenzato da un capitalismo sempre più spietato e di cui il sistema artistico contemporaneo, ossessionato dalla ricerca spasmodica della “novità”, costituisce una metafora evidente.

di in: De libris

Ne La vita agra (1962) Luciano Bianciardi aveva raccontato la difficile lotta per la sopravvivenza e per l’affermazione di sé attraverso lo sguardo di un traduttore precario, alter ego dell’autore, trasferitosi a Milano dietro la spinta di improbabili progetti di vendetta contro il sistema. Ne La vita adulta (2021) Andrea Inglese recupera il tema del precariato lavorativo ed esistenziale già affrontato nel suo romanzo d’esordio Parigi è un desiderio (in cui compariva un riferimento diretto a Bianciardi), ma lo esamina in relazione al contesto dell’industria artistico-culturale. La citazione di Gombrowicz posta in apertura ne anticipa il tema: oggi che la pressione esercitata dal mercato sembra esaurire ogni spazio vitale, come può qualcuno, e in particolare qualcuno che se ne sia imposto la ricerca, ad esempio un artista o un intellettuale, trovare ancora la sua Forma?

Nina Dumo e Tommaso Zappa, i protagonisti del romanzo di Inglese, sono entrambi di Milano ma si collocano a due diverse latitudini del vasto territorio anagrafico di solito ricompreso nella cosiddetta età adulta. Nina ha da poco superato i trent’anni, è una performer di arti visive e vive a Berlino; la sua vita le appare come una lunga sequela di frammenti la cui assenza di giuntura la fa sentire libera da un passato altrimenti opprimente. Tommaso invece è alle soglie dei cinquanta, è un critico d’arte e non ha mai lasciato Milano; archiviata la speranza di poter mai essere annoverato tra i critici «di serie A» per la sua connaturata incapacità di allinearsi con il gusto pop del vasto pubblico, si divide tra le supplenze annuali in un liceo, l’attività di redattore per la rivista Campoarte e la vita familiare. Le loro esistenze scorrono estranee ma parallele. Un narratore esterno le ripercorre a capitoli alterni, contrassegnati da titoli ironici: Al 99% siamo frutto di decisioni altrui, L’amore è un’immagine che hai nella testa, Quando ci si diverte, non c’è da scherzare, ecc.

Come le due voci di una fuga, le storie di Nina e Tommaso sembrano sorreggere una struttura romanzesca di stampo musicale, nella misura in cui risulta tutta fondata sull’approfondimento di un’unità tematica. Attraverso le cronache delle vicende lavorative e affettive che coinvolgono Nina, Tommaso e i numerosi personaggi che ne contornano l’esistenza, ogni capitolo getta una luce diversa sul senso di essere adulti. Spesso questo scaturisce da pochi dettagli, rilevati dai personaggi a margine delle loro esperienze più significative (come per Nina la rottura con il suo ex fidanzato e gallerista Raffaele Danova) o secondarie (la battaglia di Tommaso con sua moglie Sara per la scelta dell’arredamento), e viene restituito per mezzo delle frequenti riflessioni saggistiche che farciscono il romanzo. Così Tommaso, considerando la sua difficoltà di voltare pagina e decidersi su come investire la discreta eredità ricevuta dallo zio, si rende conto che dopo i trent’anni «qualcosa era rimasto fermo, incastrato, creando un senso d’intasamento. Ogni esperienza tendeva a sedimentare incanaglita, per annodarsi a tradimento con tutte le altre»; mentre prima le vite apparivano ancora vuote, «sembrava impossibile riempirle in modo continuativo, un amore scacciava l’altro, così come una scoperta intellettuale o un impiego vergognosamente remunerato». Per lo sguardo che rivolge al rapporto dei personaggi con la loro età, il romanzo di Inglese squarcia un velo. Nella maggioranza dei casi, avanziamo nella più assoluta incoscienza dell’osservatorio temporale, di giorno in giorno diverso, da cui ci affacciamo sulla vita. Ciò è sempre vero, ma a maggior ragione nel regno della «giovinezza permanente» a cui condanna un mercato del lavoro influenzato da un capitalismo sempre più spietato e di cui il sistema artistico contemporaneo, ossessionato dalla ricerca spasmodica della “novità”, costituisce una metafora evidente. Catturati dal suo giogo, ciò che allora perdiamo non è solo la cognizione della nostra condizione di mortali, ma proprio quella della nostra età mentale e biologica. Il mistero dell’età è allora uno degli ultimi che si offrono al genere di disvelamento, relativo e ipotetico, di cui è capace il romanzo. In quello di Inglese le pieghe del tempo si rilevano nei particolari. Nelle rughe che addolciscono il viso di un amante che ricompare dopo anni. Nelle crepe di un vecchio mobile i cui cassetti, ormai vuoti e privi di sorprese, saranno riempiti da altri. Nella rapidità con cui crescono i bambini, che come Camilla, la figlia di Tommaso, scompigliano «la linea dei giorni», riuscendo a «scavare baratri tra un martedì e un mercoledì». In una delle versioni del mito di Atalanta, la veloce cacciatrice si accorge del declino della sua giovinezza specchiandosi nella mela d’oro lanciatele da Ippomene durante una gara di corsa. La verità romanzesca messa in luce dalle pagine di Inglese è invece la seguente: scopriamo la nostra età, quindi capiamo chi siamo, solo specchiandoci negli altri; nelle persone con una diversa età. Il significato che assume in questo romanzo la «vita adulta» si ricava allora dalla specifica arte della relazione inerente alla sua struttura formale.

Verso la fine del romanzo Nina e Tommaso si incontrano per dare vita a una comune impresa artistica. Ma per la logica delle coincidenze spesso insita nei romanzi il loro incontro avviene ben prima, sviluppandosi attraverso la fine rete di corrispondenze che lega i vari capitoli. Ad esempio, nella parte centrale, al lungo flashback sulla vita di Nina a New York al fianco di Danova, che si conclude con la rievocazione dell’esuberante performance, Pissing Women, che determinerà l’uscita di Nina dal jet-set, corrisponde il racconto dell’incontro di Tommaso con Bravermann, pubblicitario visionario e generoso mecenate, da cui scaturirà la sua unica occasione di congiungere il successo intellettuale e mediatico, prima del ritorno ai compromessi quotidiani. L’alternanza osservata nella progressione delle storie di Nina e di Tommaso risulta così organizzata secondo un principio di contrappunto ironico per il quale, sebbene ambientate in diversi contesti spaziali o temporali, esse sembrano sviluppare una complice risonanza.

Una volta Milan Kundera ha scritto che il modo migliore di capire il romanzo è confrontarlo con il suo opposto, la poesia lirica. Nei versi lirici il poeta esprime se stesso, proietta la sua personale visione del mondo. Tra le stagioni della vita umana è allora la giovinezza a rappresentare l’età lirica per eccellenza: il periodo in cui l’individuo, ancora concentrato sulla scoperta di sé, vede il mondo a sua immagine e somiglianza. Se la lirica è associata alla giovinezza, il romanzo è un’arte nata già adulta. Votato all’esplorazione dei suoi temi secondo diverse prospettive, nel romanzo la presunta verità dell’autore non ha maggior peso di quella dei personaggi e il senso che ne ricava è sempre desunto dal gioco delle corrispondenze inerente alla forma. Ciascuno a suo modo, Nina e Tommaso realizzano che nella vita «le cose non vanno mai come dovrebbero andare». Edificare una biografia coerente che conduca a una piena affermazione nel mondo si rivela come l’ultima delle illusioni giovanili. Ma la speranza di conseguire attraverso l’arte una forma superstite di vita adulta non è per questo perduta: per Nina e Tommaso, e per noi, lettori di romanzi, si schiude forse nella possibilità di uscire ciascuno dalla propria “storia” per porla in relazione a quella degli altri.