Dialoghetto sulla poesia neolatina.
Sette poemetti inediti di Fernando Bandini

Eh certo, e in più Bandini scrive in diversi tipi di versi: esametri, distici elegiaci, strofe alcaiche, trimetri giambici… La lunghezza dei poemetti varia tra i 51 versi e i 200, una lunghezza media molto superiore a quella della poesia in italiano, dove pure non mancano i poemi di una certa lunghezza, in controtendenza con la poesia italiana contemporanea e in particolare con l’ermetismo, che fioriva ai tempi della gioventù di Bandini, ma da cui lui si è sempre tenuto lontano.

di in: De libris

Tre voci.

Prima voce (il curioso):

Come andiamo con la poesia neolatina?

Seconda Voce (l’ignaro):

Prego?

Prima voce:

dico la poesia neolatina. Sì, la poesia in latino dopo la morte del latino: Petrarca, il Rinascimento, i Gesuiti…

Seconda Voce:

ah ecco, mi sembrava, ma c’è ancora? C’è ancora oggi chi scrive poesie in latino?

Terza Voce, il recensore (d’ora in poi R,):

scusate se mi intrometto. Volevo parlare proprio di un volumetto appena uscito. Il titolo è in fondo a questo dialogo, con tutti i dati necessari. L’autore a dire la verità è morto da otto anni, ma possiamo ancora considerarlo un contemporaneo. È Fernando Bandini, vicentino, un poeta ben noto e apprezzato per la sua poesia italiana (Tutte le poesie, a cura di Rodolfo Zucco, Milano, Mondadori, 2018). Ma non è il solo. Già Bandini ricordava il newyorchese Henry Schnur e noi possiamo ricordare gli italiani Mauro Pisini e Walter Pisini, Antonino Grillo, Florindo Di Monaco, Orazio Antonio Bologna, Oreste Carbonero, Massimo Scorsone e molti altri, che si leggono oggi anche in rete [1]

Prima e Seconda Voce:

Accidempoli, non credevamo. Ma dicci di Bandini.

R.:

in Tutte le poesie di Bandini, inframezzate tra le poesie in italiano, apparivano alcune poesie in latino e anche in dialetto vicentino. Tra quelle in latino, anche una Epistula ad Andream Zanzotto poetam, in cui difendeva proprio la possibilità di scrivere poesia in latino, anche in latino, facendo così rivivere almeno per un momento quella lingua che lui stesso accetta di chiamare lingua morta. Bandini e Zanzotto, quasi coetanei e quasi conterranei, erano amici, e può darsi che prima dell’Epistula, che Bandini non pubblicò mai (è uscito postumo, tradotto da Giovanni Pellizzari), i due amici poeti avessero parlato di questo argomento. O forse Zanzotto si era semplicemente meravigliato con lui perché scriveva poesie in latino. Il curatore del libro, Rodolfo Zucco, ha pubblicato opportunamente nello stesso libro uno scritto occasionale di Bandini, una conferenza intitolata Scrivere poesia in latino oggi, che contiene un’altra difesa e altri argomenti in favore della poesia in latino, detta neolatina, appunto. Lo faceva sempre pacatamente, nel suo stile, e direi in modo non definitivo, secondo la sua inclinazione. A mio parere una certa influenza è stata esercitata su Bandini dal fatto che i suoi poeti prediletti avevano scritto tutti, accanto alla loro lingua, anche in latino: Baudelaire e Rimbaud cari al poeta maturo e Pascoli, il poeta della sua infanzia.

Prima e Seconda voce:

ma non è di questo libro che ci dovevi parlare.

R.:

avete ragione, ve ne parlo adesso. Il titolo in italiano suonerebbe “Il dono del mio ricordo e del mio amore”, ed è un po’ un completamento del primo. Si sapeva che Bandini, che non ha mai raccolto in un solo libro le sue poesie, aveva lasciato molti inediti, italiani e latini. Alcuni erano già stati recuperati e messi a frutto da Rodolfo Zucco in Tutte le poesie, altri, nel ramo neolatino, sono stati raccolti da Leopoldo Gamberale, professore emerito di Letteratura latina alla Sapienza di Roma. Bandini aveva vinto diversi premi destinati alla poesia neolatina.

Prima voce (singolarmente ben informata):

eh sì, ad Amsterdam, dove il Certamen Hoeufftianum era stato vinto più volte dal suo Pascoli, come ci dicevano anche a scuola, e a Roma (Certamen Capitolinum e Vaticanum). Ma adesso hanno chiuso, tranne il Capitolinum.

Seconda voce:

speriamo bene.

Prima voce:

andiamo avanti.

R.:

Gamberale ha pensato giustamente che Bandini avesse mandato anche altre poesie a questi concorsi e che non sempre avesse vinto premi e medaglie. Ha così inseguito le tracce di altre poesie di Bandini, sconosciute, presso gli archivi delle istituzioni che, nel tempo, avevano lanciato i concorsi, a Amsterdam e a Roma. I premi chiudono, ma gli archivi, con le carte che ci sono dentro, restano.

Prima e seconda voce:

vero, ed è stato così?

R.:

sì, Bandini era riuscito spesso vincitore in questi concorsi, più affollati di quello che si crede, ma non sempre, e altri suoi testi, anonimi per regolamento, ma riconoscibili, sono saltati fuori. Ma, altra scoperta, le carte di Bandini donate dagli eredi all’Accademia Olimpica di Vicenza, conservavano le stesse poesie presentate ai Certamina, su cui qualche volta Bandini, mai soddisfatto, aveva lavorato ancora, e anche poesie nuove.

Prima e Seconda voce:

roba bella?

R.:

eh sì, e questo tesoro è contenuto di Memoris munus amoris: sette poemetti composti dal 1967 fin verso il 1990. Leopoldo Gamberale, il latinista di Roma di cui vi ho parlato, che era venuto a suo tempo a Vicenza per studiare da vicino il fondo Bandini conservato all’Accademia Olimpica, dà nel libro un preciso esame filologico dello stato di questi testi che appaiono più di una volta nella carte Bandini. Non solo, ha fatto anche delle bellissime traduzioni. Queste non sono semplicemente alineari…

Voci:

… alineari?

R: riga per riga, come è comune oggi. Ma è una traduzione metrica, di cui lo stesso traduttore ci illustra i criteri complessi in un paragrafo del libro. Gli esametri latini diventano spesso endecasillabi, qualche volta caudati

Voci:

caudati?

R.:

sì, cioè con l’aggiunta di un altro versicolo (verso breve), in maniera di allungare un po’ il verso italiano perché possa rendere tutto il contenuto di quello latino. E, miracolosamente, la traduzione da Bandini è quasi sempre letterale. Ritroviamo così nei versi della traduzione il tono pacato e riflessivo tipico di Bandini.

Voci:

scrivere versi in latino con le lunghe e le brevi non deve essere facile.

R:

Eh certo, e in più Bandini scrive in diversi tipi di versi: esametri, distici elegiaci, strofe alcaiche, trimetri giambici… La lunghezza dei poemetti varia tra i 51 versi e i 200, una lunghezza media molto superiore a quella della poesia in italiano, dove pure non mancano i poemi di una certa lunghezza, in controtendenza con la poesia italiana contemporanea e in particolare con l’ermetismo, che fioriva ai tempi della gioventù di Bandini, ma da cui lui si è sempre tenuto lontano.

Voci:

Va beh, ma puoi darci un esempio?

R:

Certo. Sono contento che vi stiate appassionando a questa materia, che non è da tutti. Ma grazie alla traduzione in italiano può diventarlo.

Eccone un brevissimo esempio, cari amici, dall’ultimo e più recente dei poemi, dedicato da Bandini alla memoria del padre:

Sancti Martini brevis aestas ecce propinquat,

in Campis Sanctis turbula tristis adest ;

colchica nunc etiam vivunt, flos ultimus anni,

ut maestumque vale pascua muta replent.

Hoc cras mane tuum decorabo flore sepulcrum

                        Et nostri memoris munus amoris erit.

Gamberale: “Ecco, è vicina l’estate breve di san Martino,/ nei cimiteri una piccola folla si aggira./ Vivono ancora i colchici, ultimo fiore dell’anno,/ empiono i pascoli muti come un mesto addio. / (…) Con questo fiore domani adornerò la tua tomba/ e sarà il dono del ricordo e del mio amore”.

Voci:

i colchici?

R.:

il colchico, fiore di colore viola pallido, cresce nei prati in autunno. Apollinaire, poeta che sta ultimo sulla linea Baudelaire – Rimbaud cara a Bandini, ha scritto una bellissima poesia sui colchici, paragonati agli occhi dell’amata.

Voci:

dove la possiamo leggere?

R.:

in Internet, ragazzi, in italiano e in francese. Ma, vi dirò, Bandini, naturalista quanto poeta, non aveva forse bisogno di un richiamo letterario. I suoi uccelli, gli insetti, gli alberi sono presi dal vero e appoggiati a Linneo e ai naturalisti più che a altri poeti. L’ultimo verso è quello che sta all’origine del titolo del libro, come ho già ricordato. Gamberale, che li ha scelti come titolo, nella traduzione italiana ha sciolto il sintagma “memoris amoris” in una dittologia, il “dono del mio ricordo e del mio amore”, con magnifico effetto.

Voci:

Queste poesie parlano di uccelli, insetti, alberi?

R.:

Sì, ma anche di cose molto più grandi e di scenari cosmici. Alcune riguardano il presente e prevedono perfino il futuro, come Astronauta naufragus, che mostra, appunto, un astronauta che si perde con la sua navicella nello spazio (tema fantascientifico, come scrivono Zucco e Gamberale), o Mors volucrum (La morte degli uccelli) dove si evoca una strage e la scomparsa degli uccelli provocata dai pesticidi (e non si teme oggi la scomparsa delle api?). Come si vede, c’è una vena distopica in queste composizioni di Bandini, confermata da altre sue poesie in italiano. Ma molte poesie attraversano in su e in giù il tempo storico, come Feria sexta in Parasceve (Venerdì Santo) dove sono evocate la guerra mondiale e le fortezze volanti che fendevano il cielo e gli Ebrei che passano il Mar Rosso. Tra i tuoni di un temporale primaverile le campane annunciano la Pasqua. La mamma racconta al poeta bambino la leggenda eziologica della macchia rossa sul petto del pettirosso. Quel ciuffo è stato colorato una volta dal sangue di Cristo colato dalla croce sul petto dell’uccellino da una spina della corona messa in testa a Gesù durante la crocefissione. Molte poesie contengono sezioni diverse, collegate ora con transizioni lente ora brusche, veri voli pindarici. La figura del padre morto compare in latino non solo nell’Elegia in memoriam patris, ma anche in Portus Luni (Il porto di Luni) che descrive una camminata sulle rovine dell’antica Luni e i pensieri che la accompagnano.

Voci:

cose vecchie, ma anche nuove e nuovissime, accipicchia!

R.:

 sì, un po’ di tutto, ma un tutto bandiniano.

Voci:

che tutto quello che ha scritto Bandini sia bandiniano un po’ ce l’aspettavamo.

R.:

sì, beh… ma forse non che Bandini sapesse assimilare dei versi di altri poeti, e assimilarli così bene che, una volta inseriti nella sua poesia, non si riconoscono dai versi solo suoi:

Voci:

per esempio …

R.:

per esempio il verso finale di Alcedonia, in italiano I giorni dell’alcione: così chiamavano i Romani un uccello o forse più uccelli la cui identità non è del tutto definita, ma forse è il “martin pescatore”, volatile presente in tante poesie di Bandini. Il verso questo:

non redit insontum viridis paradisus amorum

questo è da Baudelaire:

… le vert paradis des amours enfantines,
l’innocent paradis. . . 

e sappiate che Baudelaire aveva messo un titolo in latino alla poesia che contiene questi versi, Moesta et errabunda.

Voci:

va bene, cerchiamo se abbiamo ancora a casa il Campanini-Carboni, per capire qualcosa di questo latino, o bisogna avere il Calonghi?

R.:

 … che ai miei tempoi si chiamava Georges …

Voci:

ci vorrà anche una grammatica, ce la dovremo comperare.

R.:

leggetela però con animo nuovo però, non date troppa importanza agli ablativi singolari della III in –e e in –i.

Voci:

li sbagliavamo sempre, ma poi ci siamo accorti che li sbagliavano anche i Latini.

R.:

anche Bandini, nelle sue bellissime e complessissime poesie, faceva degli errori di latino, che i giudici dei certamina gli segnalavano benevolmente nelle loro relazioni. Quando, studente ritardatario, si presentò agli esami di latino all’Università di Padova, i professori non si accorsero di quello che sapeva, ma solo di quel po’ che non sapeva, e gli dettero voti più che mediocri, che gli abbassarono la media.

Voci:

ma nonostante questo, grazie a Bandini e ai suoi continuatori, si può dire che la poesia neolatina c’è

R.: c’è, c’è.

Sipario.

*

Fernando Bandini, Memoris munus amoris. Introduzione, traduzioni, note ai testì di Leopoldo Gamberale, Genova, San Marco dei Giustiniani, 2019, pp. 140.

*

Lorenzo Renzi ha insegnato Filologia romanza, Lingua e letteratura romena, Teoria e storia della retorica e Lingua e letteratura provenzale all’Università di Padova. Tra i suoi libri ricordiamo «Come leggere la poesia» (1997), «Proust e Vermeer. Apologia dell’imprecisione» (1999), «Le conseguenze di un bacio. L’episodio di Francesca nella “Commedia” di Dante» (2007), «Come cambia la lingua. Italiano in movimento» (2012), la «Grande grammatica italiana di consultazione» (2001) e la «Grammatica dell’italiano antico» (2010), tutti usciti per il Mulino. Il suo libro più recente, «Lettere dalla Grande Guerra. Messaggi, diari e memorie dall’Italia e dal mondo», è uscito per Il Saggiatore nel 2021. Tutte le poesie italiane di Fernando Bandini (Vicenza, 1931 – 2013) sono state pubblicate da Mondadori. Con Meneghello, Rigoni Stern e Zanzotto ha pubblicato «Il Veneto che amiamo» (Edizioni dell’Asino 2009). Nel 2019 è uscito per CLEUP «Studi sul Rinascimento. Lingue e cultura a Vicenza», che raccoglie i suoi interventi accademici.


[1] Vedi Gianluca Fùrnari, Poesia neolatina nell’ultimo trentennio, In L’Ulisse. Rivista di poesia, arti e scritture, 23, novembre 2020, pp. 556-583 (limitata all’Italia); sito Poesis Latina Hodierna, a cura di Marc Moskowitz.

Un commento su “Dialoghetto sulla poesia neolatina.
Sette poemetti inediti di Fernando Bandini

  1. Antonio Devicienti

    Grazie per questa splendida proposta e per aver ricordato un poeta di enorme valore.