Versi in vacanza

"La letteratura è la malattia/ e la cura/ e ancora la ricaduta"

di in: Captaplano (0)

INTROIBO

La casa di campagna

con il suo ragno

                          da non molestare

mai lassù nell’angolo

e le guinee a pavoneggiarsi in vaso:

appena entrati in punta di piedi

tu tiri lo zaino

giù dalle spalle e il fiato sospeso

per tutto il verno che ogni cosa attende

rinnovando quel sogno

                                      che durerà

vent’anni

o trenta giorni appena

Hai visto come giocano le figlie

tra i fiori? Ruzzano come caprette,

inscenano l’istante perfetto;

come quella volta sotto i lampioni

con i fiocchi e i compagni di scuola

                                                          a turbinare.

La quercia ai limitari del nostro

da lassù in alto snella le protegge

con le foglie intercetta il vento

come con tante orecchiette di Ermes

che le mezze parole di sconforto

ischerza e nella luce dissolve

Piace diventar lirici ai cittadini

tra quattro zolle d’erba,

osservare che balugina sghembo

il filo del ragno ogni tanto

e si fa metafora serva

di quanto c’è non c’è e appena afferro,

la banalità increspata del tempo

Credevamo che questo pezzo d’erba

perfettamente liscio e privo di periglio

fosse come lo racconta Orazio,

piccolo Eden senza serpente

che strisci avanti verso il nulla;

ma quando in guanti bianchi con unghie

il gattino balza sul caco

mentre la madre inciampa

                                          sulla canna

viscida e verde come una biscia

anche il tempo vacilla

Insomma per la casa avita

non si tratta soltanto di durata

ma anche di quanto la vacanza tenga

fede al suo nome bianco;

guarda ad esempio i tre tigli immobili

gialli e neri come grandi turbanti

di matrone negre non sentono il tempo

non sognano la fuga

non sembrano nemmeno umani

come invece sono nell’enorme

                                                  dimenticanza

Qualcosa tra noi non va

ci dice, nel tempo andante, la casa

di campagna poiché è nel ripetersi

che spicca la variazione delle cose:

una lingua d’ombra o falsa lucentezza,

tra le foglie una manciata di prugne

per esempio mi porti

come pietre livide nella corrente

con il gesto scotitore

                                  dell’estate

arido e fragrante

che ha però tra noi qualcosa di sospetto.

Vedi, la piccola natura

dell’orto e del giardino è infida

come uno specchio andrebbe oscurata

la nostra piccola anima

Si gira in tondo cercando la brezza

mentre stecchita al sole una vespa

pare il sarcofago d’oro ticchettante

verso l’oltremondo. Ma se ti guardo

dentro l’estate lunghissima e pigra,

in cui si rimanda a chi sa quando

l’impetuoso sfrenare di nubi

come fregi sullo scudo del cielo,

anche i segni si lasciano cadere

e questo vieto sentore montaliano

e il tu tra le labbra rimpicciolito

che come doppiofondo suona vuoto

Strane e pesanti placente

                                         le zucche

pesano sulla terra;

diventeranno spettri cavi

per la festa estranea cappelli, sottovasi

e comunque ricordi

per ciò che ci resta in comune:

lo scherzo la morte, la generazione

Anche le palline magiche

induriscono con l’età come arterie

ed è forse meglio che inseguire

i loro schizzi impazziti:

ne ho trovata una nel prato,

residuo di qualche figlia piccola

incenerita nella luce degli ibiscus;

se la interrassi crescerebbe

                                            buttando

verso l’alto come fagioli

e un nugolo di bimbi-folletti

sguazzando sotto il rubinetto 

animerà tenera l’insalata

per noi vecchi di denti

CONGEDO

Non si legge non si scrive:

assolutamente arresi alla stagione

e a una dermatite atipica

che sfoga sulle copertine

di marocchino rossa.

La letteratura è la malattia

                                           e la cura

e ancora la ricaduta.

Del resto si viene qui per difendersi

dal caldo, dai rimorsi

di non amare la casa dei vecchi,

finché in fondo al crepuscolo

brilla il ritorno al negotium;

per lasciarsi alle spalle come talpa

un mucchietto di pensieri e versi

smottati sulla terra

                               con la tarda

consapevolezza che niente

nemmeno tra noi resta indenne

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