Articoli di Stefano Zangrando

“Questo articolo sarebbe dovuto uscire, in una versione appena diversa, il 1° gennaio scorso. Il giorno prima, nel pomeriggio, Marco Olivotto mi comunicò la morte, avvenuta da poche ore, di Paolo Benvegnù. Chiamai Enrico De Vivo e fermai la pubblicazione. Fu un turbamento grande, non ero pronto a unirmi al coro mediatico del lutto. Il San Silvestro con Marco, quella sera, fu un veglione funebre. Due giorni dopo salutammo Paolo nella camera ardente a Brescia, ma a me ci volle un po’ per tornare ad ascoltarlo, poi ci ho messo cinque mesi per riprendere in mano questo testo. Mi hanno incoraggiato amici con cui ho da poco condiviso un concerto-tributo per questo artista senza eguali, alto negli esiti e capace di muovere e instaurare affetti ovunque arrivasse. L’impressione, in simili spettacoli, che Benvegnù sia vivo, vivissimo in tutti quelli che lo ascoltano e l’hanno amato, mi ha indotto a lasciare il racconto così com’era: al presente, come se Paolo fosse davvero ancora qui”. S. Z.

Pablo d’Ors l’ho scoperto grazie al consiglio di lettura di un amico scrittore, e non poteva essere altrimenti. Proprio così: con l’estinguersi delle librerie indipendenti – nel 2014 hanno chiuso tutte e tre quelle che frequentavo sulla linea del Brennero – e in assenza di una pubblicistica abbastanza autorevole da opporsi allo smarrimento del senso [continua]

«Mi chiedevo se tutta quella fortuna l’avrei mai inserita nel mio cosiddetto curriculum, come si usa fare oggi, che tutto finisce nel curriculum, fesseria delle fesserie: fare le cose anche perché “fanno curriculum”– ma cos’è questa obbedienza al “curriculum”? E fino a che età, poi? Fino a quando uno deve dipendere dal proprio “curriculum”? Trentacinque [continua]


Riprendo dopo vari mesi la riflessione avviata con il post inaugurale di questa rubrica. Qui a Zibaldoni si sapeva che in seguito mi sarei ritirato nel silenzio, e ho trovato comprensione per la mia impasse. Un collaboratore della rivista, in particolare, si è mostrato particolarmente caloroso, raccomandandomi di non mollare, letteralmente di «tener testa agli [continua]

Salve. C’è un uso corrente della parola «lanternino» che è quello al quale ho pensato nel concepire questa rubrica. Si dice «avanzare col lanternino» nelle situazioni senza via d’uscita o quasi, quando tutto intorno a noi pare oscuro e privo di risposte, oppure talmente saturo di disvalori, o quelli che a noi paiono tali, che [continua]

Caro A., da dove nasce questa tua improvvisa insofferenza verso chi dichiara di stare “lavorando a un romanzo” o di voler finalmente, dopo due plaquette di poesia o vent’anni di lavoro dipendente o tre da blogger, “scrivere un romanzo”? Da sempre non condividi l’uso che della parola “romanzo” fanno le persone mediamente colte del tuo [continua]

Non so, conosco scrittori che fanno man bassa di tutto o quasi quel che vivono – e lo fanno bene, appunto perché sono scrittori. Io invece, che sono sempre meno sicuro di aver imboccato la strada giusta, non ci riesco. C’erano almeno due o tre esperienze, ultimamente, che mi sarebbe piaciuto fissare in parole, sapendo [continua]

Spesso un romanzo nasce da una semplice immagine, un’intuizione, e altrettanto di frequente, dei grandi romanzi a rimanerci impressi sono i personaggi più che le loro azioni. Quanti episodi del Don Chisciotte sono ormai soltanto ricordi vaghi, mentre l’anelito tragicomico del cavaliere della Mancha e la grassa prosaicità del suo fedele Sancho Panza sono ben presenti e [continua]

Tra Kiš e Flaubert Massimo Rizzante, in un saggio dedicato all’«ideale enciclopedico» di Danilo Kiš, ne sottolinea l’appartenenza al grande albero genealogico del romanzo moderno: «Penso che l’ideale enciclopedico di Kiš sia intrinseco all’arte del romanzo e alla sua storia: esso rappresenta sua permanente aspirazione a riprodurre in una forma – “attraverso una strategia polifonica” [continua]